Settembre fa rima con conserve. Il bel frescolino notturno e l’orto ancora rigoglioso propiziano l’arte sottile e raffinata di mettere sotto vetro tutto quel che ci regala la coda dell’estate. Certo agli occhi di molti sono attività ormai desuete e anzi addirittura antieconomiche in una parte di mondo che, bontà sua, ha abbattuto i limiti spazio-temporali della natura per darci tutto, o quasi, in ogni stagione dell’anno. Io comunque a tutti quelli che strabuzzano gli occhi quando racconto le mie immense faticose imprese settembrine ricordo un bellissimo servizio del National Geographic di qualche anno fa dedicato al “Futuro del Cibo”… l’inchiesta evidenziava la vicenda di una famiglia americana che trovandosi improvvisamente in uno stato di povertà era riuscita a mantenere un’alimentazione equilibrata e ricca di vegetali grazie all’orto e alle conserve (entrambi realizzati seguendo gli insegnamenti di vecchi libri trovati in biblioteca). Ecco, il mio continuare ostinatamente a fare conserve anche quando basterebbe andare a comprarle per averne di buonissime, è un modo per tendere la mano al passato, e alle donne della famiglia che hanno realizzato queste delizie prima di me, e allo stesso tempo insieme ai barattolini di vetro in dispensa, metto via un sapere antico che potrebbe sempre tornarmi utile.
In ogni caso, visto che questa storia delle conserve è cosa che appare assai bacucca, vi parlo qui di cinque libri sul tema, anche loro (ad eccezione di uno) piuttosto attempati. Non che manchino ovviamente proposte editoriali sull’argomento più recenti, e aggiornate (magari con fotografie che qui sono completamente assenti, c’è solo qualche disegno). Ma questi sono i punti di riferimento cartacei di casa mia, i libri della mia mamma, quelli che ho sempre visto leggere, sfogliare e segnare prima di ogni piccola grande impresa conserviera. Bastano pochi accorgimenti per adeguare questi testi alla contemporaneità…ed è per questo che continuo ad usarli con grande soddisfazione.
Il mio prediletto in assoluto è “Sotto Vetro” di Gianna Montecucco Rogledo (il libro delle conserve preferito da mia mamma, e ora anche da me) del quale vi ho già parlato con affetto e devozione in più occasioni (sono sue le ricette delle “prugne Regina Claudia giulebbate”, quella della “confettura di giuggiole”, ma anche la “marmellata di cedri”).
L’autrice è affidabile, seria, rispettosa delle tradizioni e comunque creativa al punto giusto. Il suo libro è uno di famiglia, e se potesse parlare racconterebbe con entusiasmo 50 anni di imprese folli, assurde, esilaranti e deliziose combattute dalla famiglia intera schierata tra cantina, cortile e pentoloni per l’occasione.
Seguono a ruota due librini verdi anni ‘80, manuali pratici interamente dedicati a “riabilitare” le cose fatte in casa in anni di benessere e consumismo sfrenato, durante i quali coloranti e conservanti artificiali rendevano POP qualunque cosa, persino i barattolini della nonna. Quello di Zina Boniolo è dedicato a tutte le conserve di verdura, mentre quello di Enrica Viziale alle marmellate e alle gelatine (sottolineo l’uso generico de termine marmellata, ancora lontano dalla divisione odierna di impostazione anglosassone che vorrebbe il termine “marmellata” riservato esclusivamente ai preparati di agrumi e zucchero, e “confettura” per tutto il resto. Solo nel 1982, infatti, il D.P.R. n.401 introdurrà a livello industriale – e anche nel parlato – la distinzione tra marmellata e confettura nell’ordinamento italiano, recependo la direttiva comunitaria di tre anni prima che obbligava a distinguere tra le due preparazioni).
In ogni caso i due volumetti si completano a vicenda, e pur essendo superatissimi per certi aspetti (dal “coperchio in paraffina” al consiglio totalmente anti-igienici tipo di rimuovere la muffa in superficie ai barattoli andati a male e ricuocere il tutto per recuperare le provviste) funzionano ancora molto bene come “calendario” per controllare la stagionalità di frutta e verdura e programmare le conserve. Ah, ovviamente io sono innamorata dei loro disegni in bianco e nero, così belli e un po’ fuori dal tempo.
Anche se sono molto a mio agio tra le bacuccate libresche, e nell’adattare le loro pagine alla mia dispensa moderna, tra queste “buone letture” a tema conserve non poteva mancare una fresca voce contemporanea. Ecco infatti il libro di Manuela Vanni, intitolato appunto “Fatto in Casa” (ne è stata stampata da poco una nuova edizione), dove si può trovare una buona infarinatura generica per tantissime preparazioni home made, dal dado, ai liquori, passando per i fiori canditi…
Io ho cominciato con una “confettura di cipolle rosse” e poi non mi sono più fermata, perché le sue pagine per una come me sono come le ciliegie: una preparazione dopo l’altra viene voglia di provare a fare in casa davvero tutto.
Concludo questa incursione nella mia biblioteca golosa con una vera e propria bacuccata (consideratela la “bonus track” della raccolta): Conserve Alimentari vegetali di Guido Rovesti, ristampa anastatica del volume pubblicato nel 1918. Fino a quest’estate non sapevo nulla dell’esistenza di questo Signor Agronomo e Perito Chimico Rovesti, e dei suoi importantissimi studi nell’ambito della fitocosmesi, poi nel giro di un mese mi sono trovata a possedere ben due suoi libri, molto curiosi, anche se ovviamente molto datati. Il primo me l’ha regalato la mia libraia dei sogni (Libreria Sognalibro di Borgo San Dalmazzo), ed è la ristampa di un lavoro interamente dedicato alla Lavanda (specie, storia, usi, distillazione, coltivazione) che era stato pubblicato nel 1925 dal comitato provinciale per le piccole industrie di Imperia.
Dentro ci sono ricette cosmetiche che somigliano a formule magiche, con ingredienti misteriosi e sconosciuti (tipo le “lacrime di benzoino” o il “balsamo del tolù”…), prodotti ormai scomparsi (chi usa più fiutare sali inglesi? Aspergersi di aceto per toeletta o profumare i fazzoletti con acque aromatiche?), senza contare le espressioni deliziosamente d’antan tipo “mescolare intimamente gli ingredienti”. Se non avessi appena letto questo strano librino viola e profumata di lavanda, credo che non avrei neanche notato sugli scaffali di una piccola enoteca quest’altro studio del signor Rovesti dedicato alle conserve alimentari. E invece l’ho aperto e letto la citazione iniziale me ne sono innamorata, esattamente come on tombe amoreux di certe cose oggettivamente inutili, ma bellissime nei mercatini delle pulci : «Io credo che un uomo onesto valga più di un uomo sapiente e che un libro coscienzioso debba preferirsi ad un libro riboccante di dottrina e di erudizione; perciò nello scrivere questo tenue studio, ho fatto quanto ho potuto per confermarmi a tale convincimento».
Tra le pagine poi è tutto un susseguirsi di macchinari e strumenti bizzarri attentamente illustrati (chi sospettava l’esistenza dei “cucchiai per giardiniera”per dare forma agli ortaggi prima di metterli in conserva?). E non manca una diffusa, pacata saggezza un po’ paternalista e un po’ didattica, che alla fin fine è rassicurante, come i consigli ripetuti allo sfinimento dalle nonne, che nessuno vuole mai ascoltare, e che invece distillano verità.
«L’homme ne mange pas seulement pour vivre, mais il le fait aussi par son agrement; il veut trouver dans l’accomplissement de cette necessité physiologique une satisfaction de l’existence. Così scrive un valoroso scienziato belga, il dott. Fernand Ranwez e la verità dell’asserto la possiamo constatare su noi medesimi. E prima di entrare nella descrizione dei processi domestici e industriali per la fabbricazione delle conserve per mezzo del calore, consigliamo quanti si danno a quest’industria a fare molte esperienze su piccola scala prima d’intraprendere una grande fabbricazione, a ricercare colla massima diligenza a fonte di ogni più piccolo difetto ed a studiarne le cause. Come per tutte le cose di questo mondo , il risalire causa causans è un principio di logica ed il seguire la logica porta ad un complesso armonioso che può definirsi perfezione ».
Ebbene quale libro di cucina oggi consiglia di procedere a piccoli passi, ritornare sui propri errori, correggersi e incamminarsi con logica verso la perfezione? Pochissimi perché nel nostro mondo al contrario ammiriamo più la perfezione dell’apparenza, che la conquista della perfezione, e preferiamo cominciare col fare il filetto alla Wellington o i macaron senza neanche sapere come sbucciare una patata castello o come fare una pasta frolla. Ecco vedete, leggendo cose bacucche sono diventata bacucca anche io… 😉
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