La prima cosa che ho fatto quando ho realizzato che avrei trascorso la primavera in Toscana, è stata controllare se Siena avesse un mercatino delle pulci. In fondo alimentari, abbigliamento, librerie, elettronica, ristoranti ci sono in ogni città, ma senza un mercatino di robivecchi come si può vivere? Come sottolinea ironicamente ladolcemetà non importa cambiare casa, letto, cucina, orizzonti e abitudini, mentre tutto corre io voglio almeno un punto fisso: le cianfrusaglie dei vecchi bauli.
In effetti non posso replicare alcunchè: è la semplice verità! Quindi dopo aver capito che ogni terza domenica del mese (ad eccezione di agosto) in Piazza del Mercato a Siena, nell’area del Tartarugone, c’è un delizioso mercatino d’antiquariato, modernariato e collezionismo il 17 marzo sono andata a farci un giretto. La giornata non era molto bella, ma la curiosità del mercatino compensava le nuvole grigie e il cielo basso.
Non potendo acquistare fragili quisquilie per la vetrinetta della mia credenza, o ingombranti amenità dedicate al Pallio, mi sono dedicata ai libri, che rimangono comunque il mio bottino preferito in questo genere di mercatini. Trovo sempre qualche tesoro abbandonato a poco prezzo, e in questo caso ho trovato anche un gentile omone baffuto, che non ha disdegnato un’amabile, lunghissima chiacchierata sulla cucina toscana.
Dal mercatino è passato un po’ di tempo (tra poco ci sarà il prossimo, il 21 aprile 2019, la domenica di Pasqua), ma prima di parlarvi di questo libro volevo ovviamente finire di leggerlo e gustarmelo con calma.
Profumo di casa è il diario di Laura Tanini de Miccis, dolcissima signora vissuta in una casa su un poggio toscano sul finire dell’800. Sua nipote, venuta in possesso di quaderni e incartamenti della nonna, li ha messi in ordine, e con rispettosa poesia li ha dati alle stampe nel 1981 inframmezzandoli con illustrazioni di Jorge Longaron e Daniela Veluti. Io, che amo moltissimo la scrittura autobiografica, sono rimasta incantata da questo ritratto su carta di una vita vissuta più di cent’anni or sono. Tenero e malinconico insieme, come solo le anime sensibili possono essere, il diario di Laura si compone di riflessioni intimistiche, consigli di economia domestica, ricette di cucina, trucchi di bellezza, lettere, e ritagli di giornale.
Se le parti dedicate alla casa, e soprattutto ai fornelli, potrebbero quasi essere state scritte ai giorni nostri, nelle pagine più personali è tangibile il peso del tempo, e la distanza che separa la fine dell’Ottocento da questa nostra epoca, specialmente in quella che la quarta di copertina definisce “irrequietezza”, ma che io chiamo semplicemente intelligenza, e indignazione di fronte ad una condizione femminile non proprio esaltante. La scrittura di Laura è percorsa da un fremito, battiti d’ala di una farfalla che pur riconoscendo i meriti e l’agiatezza della propria esistenza, vorrebbe volare altrove, vorrebbe essere un po’ più libera, un po’ più mondana, un po’ più felice. Nella tensione continua tra l’accontentarsi e l’immaginarsi diversa vince il buon senso, il matrimonio, e il dovere di una “brava donna di casa”. In fondo, credo, le sarebbe bastato davvero poco (magari qualche attenzione in più dal marito, qualche viaggio in treno verso Firenze, o qualche lettura più impegnata) per essere completamente soddisfatta.
In tutto questo credo che il quaderno domestico di pensieri&cucina, sia stato una piccola valvola di sfogo per una signora consapevole di non poter forzare troppo i limiti di una piccola comunità di provincia. Di pagina in pagina, tra la ricetta della schiacciata di cacio, un tonico astringente per l’incarnato, i concimi per rose, e qualche velleità letteraria Laura fronteggia il piccolo mondo antico che la circonda. Una casa, un borgo e una vita di coppia che certamente la rassicuravano e la facevano sentire protetta, ma che probabilmente erano uno spazio limitato e insufficiente per uno spirito critico e immaginifico, cui bastava vedere lo sbuffo della locomotiva, ai piedi delle colline, per figurarsi il treno, oltre il mare e oltre la terra, perdersi tra continenti arcani dell’ “invenzione fantastica”!
La carta ruvida e spessa, le illustrazioni acquerellate, e di tanto in tanto, qualche appunto in corsivo, contribuiscono a creare un’empatia speciale con questa cara Signora, e non posso negare di aver provato una sincerissima compassione per un’anima luminosa relegata in un angusto santuario domestico. La stretta al cuore è stata più forte sul finire del volume, quando Laura descrive il suo salotto rustico di animaletti da cortile (tacchini, papere, oche, gallinelle, maiali), accuditi con amore e allegrezza, conoscendone pregi, capricci e vanità, sino a dare a ognuno di loro un nome. Peccato che gli usi caserecci e la necessità decretassero ogni stagione la carneficina dell’intero salotto, con Laura sconfitta e prostrata a piangere notti intere l’uccisione dei suoi piccoli amici. Moglie di un cacciatore, che dopo una settimana di lavoro ogni domenica la lasciava sola a casa per seguire i suoi vizi venatori, Laura non aveva molto da fare, a parte scrivere i propri pensieri, per opporsi ad un’insieme di consuetudini sociali radicate, a volte arcaiche, se non addirittura necessarie a riempire la dispensa e la cantina.
Visto il mio amore imperituro per Flaubert non ho potuto evitare paragoni tra Laura e Madame Bovary: se Emma avesse tenuto un diario il risultato sarebbe stato qualcosa di simile a questo “Profumo di Casa”, in cui l’odore di pulito, di camino acceso e di cibo sulla stufa coprono forzatamente quello dell’autentica felicità.
Dopo aver finito il libro, un po’ intristita dai pensieri malinconici di Laura, mi son ricordata di Par les Champs et par les Grèves, opera postuma di Flaubert dedicata al lungo viaggio a piedi compiuto tra maggio e luglio del 1847 dallo scrittore con l’amico Maxime Du Camp nella Francia del nord-ovest. Sono andata a rileggerne qualche pagina, e vi allego qui di seguito una di quelle che è indicata dai critici come l’intuizione di ciò che poi sarà lo straordinario e sofferto personaggio di Madame Bovary:
Le strade di Blois sono deserte, l’erba cresce in mezzo al selciato; ai lati, rinchiudono grandi giardini lunghi muri grigi, interrotti da qualche porticina discreta che non sembra aprirsi che di notte al visitatore misterioso. Si ha la sensazione che qui i giorni trascorrano identici; che, in questa calma monotonia, dolce tuttavia come il suono d’orologi di chiese, i giorni debbano essere ricchi di un’invitante malinconia e di commoventi languori. Ci si diverte a immaginare, in queste tranquille dimore, qualche profonda e grande storia, una passione malsana che dura fino alla morte, amore ininterrotto di anziana devota o di moglie virtuosa; in tale scenario si pensa immediatamente a qualche bellezza pallida, con unghie lunghe e mani sottili, signora aristocratica dai modi freddi, sposata ad un uomo rude, a un avaro, a un geloso, e che si logora fino alla morte.
(Gustave Flaubert, Par les champs et par les grèves, in Voyages, I, pp. 166-168 -la traduzione dal francese è mia).
In conclusione sullo stesso sfondo in cui Laura ha vissuto (una provincia rigogliosa di natura e bellezza, ma di mentalità chiusa, monotonia e desideri irrealizzati), Flaubert ha incastonato il suo diamante: Emma Bovary e la sua tragica vicenda (non a caso uno dei primi titoli dell’opera era Madame Bovary. Moeurs de province). Ma se Emma rimane il prodotto di una mente geniale, la povera Laura è stata una donna in carne ed ossa, per la quale, come per tutte le situazioni ingiuste, provo un gran dispiacere. Purtroppo la nipote non ci racconta nulla del dopo…chissà com’è andata la vita della signora Laura? Con la famiglia, i figli, l’età, si è sopito l’amore per le lettere e il suo desiderio di fuga? Avrà continuato a cucinare, a raccogliere fiori, a portare gaiezza e pensieri profondi nel gruppo pomeridiano di amiche sferruzzanti?
È davvero un peccato non sapere nient’altro di questa persona, ma a me i racconti a finale aperto proprio non vanno giù per cui, lavorando di fantasia mi sono detta che al giorno d’oggi Laura sarebbe vegana, gestirebbe una fattoria didattica, avrebbe la compagnia dei social e di un’infinità di persone colte e sensibili che come lei difendono la parità e i diritti di ogni essere vivente…magari scriverebbe un blog di naturopatia, tisane e giardinaggio, e sarebbe una donna felice (con o senza un compagno). E solo così, immaginandomi Laura in un altro tempo, ho sentito quel “profumo” di campagna, casa, buona tavola e amore cui inneggia il titolo del libro.
zia Consu dice
Ma che prezioso bottino O_O questo libro è davvero molto interessante!
Pensa che io non sono mai stata ad un mercatino del genere e sono certa che potrei lasciarci un capitale…forse è per questo che inconsciamente mi freno a visitarne uno 😛
Alice dice
Davvero bello questo post, mi hai trasportato in quel tempo. E a quel mercatino devo proprio andarci…tutti quei piatti!! 🙂 Un abbraccio cara Beatrice.
Silvia dice
Quanta tenerezza e quanta empatia! Ho tante volte pensato lo stesso di mia nonna… ☺️
Beatrice dice
Uno dei miei libri preferiti sin dall’infanzia!
Ne conosce altri affini?
Betulla dice
Buona sera Beatrice! Senza dubbio “Profumo di casa”è unico perché è insieme un ricettario e un diario con in più le illustrazioni acquerellate. Però in qualche maniera, per affinità con la forza della figura femminile, mi sono venuti in mente “Ai piani Bassi” di Margaret Powell (ne ho parlato qui: https://betulla.eu/mrs-patmores-rosemary-oat-crackers/ ) e anche “Longbourn House” di Joe Baker che ho letto di recente. Il primo è un lavoro autobiografico, mentre il secondo è un romanzo ispirato al non detto di “Orgoglio e pregiudizio” (l’autrice ha immaginato la vita della servitù della casa della famiglia Bennet). In apparenza sono due libri che non hanno molto in comune con “Profumo di casa”, ma nella mia libreria sono sulla stessa mensola, per l’ispirazione che queste donne mi hanno regalato (e mi regalano costantemente quando le penso). Non so se è il genere di “affinità”che intendesse lei, in ogni caso mi ha fatto molto piacere il suo commento, grazie!