Dopo avervi fatto vedere il Lago delle Rovine vi porto un po’ più in alto per una gitarella che è una delle mete immancabili di ogni estate betullosa: il Valasco, un bellissimo pianoro incastonato nel cuore delle Alpi Marittime (sempre in alta Valle Gesso, Cuneo). Tecnicamente il Valasco è il fondale di un antico lago colmato da detriti alluvionali, mentre oggi questo prato d’alta quota è una specie di pulsante cuore verde attraversato da un torrente sinuoso e custodito da una corona di creste appuntite. Sì, una di quelle bellezze da cartolina, forte del contrasto tra un altipiano quasi paludoso circondato da montagne severissime. E questa è la natura, perché poi c’è la fantasia umana ottocentesca, che in un luogo tale aggiunge un castello turrito dai colori bizzarri. Così la cartolina è completa, perfetta e mozzafiato.
Non stupisce che negli anni sia diventato uno dei luoghi simbolo del Parco delle Alpi Marittime (con oltre mille presenze quotidiane durante la bella stagione), così come non stupisce che io usi sistematicamente il Valasco come “gita/biglietto da visita” per fare incontrare ignari ospiti con la grandezza sublime delle Alpi. È sempre amore a prima vista, non può che essere altrimenti per un luogo tanto suggestivo e ricco.
Rimando al fondo del post i dettagli per raggiungere il sito (anche se abbondano carte e guide più precise di me), mentre condivido qui parte della quantità immensa di ciance con cui, in ogni stagione, e con ogni accompagnatore condisco le salite al Pian del Valasco. I punti fermi di queste chiacchierate/camminate sono sostanzialmente tre: biodiversità, leggende e Storia.
1.All’interno del Parco delle Alpi Marittime il Valasco riveste un interesse naturalistico molto particolare: il piano è in larga parte una torbiera di origine glaciale, che per la sua fragile biodiversità è stata inserita nelle zone tutelate dall’Europa dalla Direttiva Habitat. Sul pianoro il torrente rallenta la sua corsa impetuosa in morbidi e sinuosi meandri: i terreni a fondo sabbioso trapunti di pozze d’acqua e piccoli stagni, sono colonizzati da due piante carnivore molto curiose, la (Drosera rotundifolia e Pinguicola leptopceras) che mangiano con gran gusto gli abbondantissimi, piccoli insetti. Il principale abitante animale è però una piccola rana rossa, la Rana temporaria che ha questo nome in virtù della macchiolina scura che porta sulle tempie (di seguito la scheda della mia guida bacucca, e una foto della rana -credo-, è sgranatissima, ma non volevo disturbarla e ho messo lo zoom al massimo)! Ovviamente il Valasco è una specie di grande parco divertimenti per ogni naturalista/piccolo entomologo, perché oltre ai vari stadi della suddetta ranocchia montanara (uovo, girino, adulto, a seconda del periodo dell’anno), abbondano farfalle, gerridi e idrometre (quegli insettini che pattinano sulla superficie dell’acqua), libellule, coleotteri, bisce d’acqua, zanzare e moscerini. Insomma, queste zone umide sono un vero e proprio miracolo di vita, anche se, gli studiosi specificano come la maggior parte di questa ricchezza sia invisibile ai nostri occhi: batteri, alghe e diatomee sono presenti in comunità molto complesse e rare, che necessitano di protezione e attenzione particolari (seguite sempre meticolosamente le indicazioni dei cartelli guida sul comportamento da tenere nell’area).
2. Passiamo ora all’aspetto leggendario del Valasco, che ovviamente è quello in cui sguazzo più volentieri. All’arrivo sul pianoro, sulla sinistra rispetto al sentiero, si erge come un gendarme un poderoso masso erratico.
Ora già la definizione di “masso erratico” è un ossimoro delizioso della nostra lingua che non manca di stuzzicare ogni volta la mia fantasia. Poi immaginare questo macigno precipitato in tempi remoti da chissà quale altissima vetta (le cime circostanti attualmente raggiungono i 3.000 metri), e poggiato delicatamente sul prato da una lingua di giaccio, è una di quelle immagini che aumentano la mia capacità di incantarmi a contemplare la potenza e la meraviglia del creato. Peccato che questo sia semplicemente l’aspetto geologico della storia. Quello scoperto nell’età della ragione, e parzialmente accettato da adulta. In realtà da sempre, arrivare al Valasco significa arrivare alla “Tomba del Mago Merlino”. Saltellarci intorno, provare a salirci, fotografarlo. Non è un sasso qualunque, e non è nemmeno una tomba qualunque. Gli abitanti e i numerosissimi assidui appassionati della Valle Gesso lo sanno benissimo. Questo macigno è un luogo speciale, che merita una specie di doveroso, gioioso omaggio ogni volta che si sale fin quassù. Mi rendo conto che il nome Merlino sia piuttosto fuorviante. Tutti pensano alla Spada nella Roccia della Disney, a Semola e ad Anacleto. Un mago c’è, e anche una leggenda, ma sono tutt’altro genere rispetto al ben più celebre ciclo arturiano. Dunque, sin da piccola sono stata un’avida ascoltatrice di storie, così mio papà era costretto a pescare negli angolo più remoti dei suoi studi per avere sempre fantasiose avventure da raccontarmi. Una di queste era legata ad un giovinetto rapito dai pirati saraceni e fatto schiavo nel lontano Oriente. Intelligentissimo e arguto il ragazzo apprese l’arabo, la magia e l’astrologia, sino a che, mettendo a frutto i suoi saperi, non riuscì a guadagnarsi nuovamente la libertà. Tornato in patria utilizzò l’arte medicamentosa e tutte le sue conoscenze per guadagnare fama e ricchezze, e senza modestia alcuna decise di farsi chiamare Merlino, come il famoso mago cantato dall’Ariosto nell’Orlando Furioso. Il successo era tale che Merlino venne accolto alla corte di Galeazzo Sforza, dove dominavano sotterfugi, inganni, e malignità. Merlino predisse a Galeazzo una morte violenta per mano di tre congiurati nella chiesa di Santo Stefano a Milano, ma la visione non gli garantì la benevolenza del suo bizzoso principe. Caduto in disgrazia Merlino decise quindi di riparare in Piemonte, dove Amedeo IX di Savoia gli permise di ritirarsi sulle Alpi del Cuneese. Qui, nella natura selvaggia, nutrito dall’amore sincero per una donna del luogo, Merlino dimenticò le nefandezze della sua vita di mago di corte, per mettere tutta la sua scienza al servizio dei valligiani, gente schiva, ma sincera ed eternamente riconoscente. Quando Merlino morì i valligiani costruirono una bara in odoroso abete, che interrarono al Valasco accanto al torrente Gesso e «a perpetuarne la memoria nei posteri, vi trascinarono sopra tal sasso che non sarebbesi potuto smuovere senza l’aiuto di demoni».*
Insomma, questa è la storia del Merlino della Valle Gesso, e se come diceva Arturo Graf «le leggende sono menzogne ricche di verità», non mi è difficile immaginare un medico erborista ritirarsi su queste splendide montagne. Il masso erratico del Valasco, inspiegabile come questa figura misteriosa giunta dal gran mondo, ne è la tomba, nel senso di memoria, che i valligiani conservano e tramandano in segno di gratitudine verso il loro prezioso guaritore e confidente.
3. Infine impossibile non stupirsi di trovare un castello con torri merlate a 1760 metri di quota. Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia amava particolarmente la Valle Gesso, tanto per le battute di caccia al camoscio, galli forcelli e pernici, quanto per le scappatelle amorose con le fanciulle valligiane. L’alta Valle Gesso era già da tempo un luogo di villeggiature estive in cui il re poteva rivendicare il privilegio esclusivo di caccia (previo accordo con i municipi interessati, e lauto compenso della Tesoreria Reale, nessuno, ad eccezione del sovrano avrebbe potuto cacciare o pescare in un dato territorio). Vittorio Emanuele, già in possesso di questi diritti, decise di acquistare il pianoro del Valasco dal Comune di Valdieri per costruirvi una residenza da utilizzare come comoda base per le battute di caccia al camoscio.
La giunta comunale deliberò rapidamente la vendita nel 1868, cedendo così il vallone del Valasco (500 ettari) a favore del patrimonio privato di Sua Maestà. A settembre dello stesso anno il progetto della casa era già abbozzato, anche se rimanevano grandi dubbi sul luogo esatto in cui costruirla. Perché fosse a riparo dalle valanghe numerosissime in inverno, si decise di costruirla proprio al centro del pianoro (caratteristica la pianta quadrata con cortile interno). Anche se i soggiorni reali sono ben documentati e molto studiati, non si conosce esattamente la data di costruzione dell’edificio**. La palazzina, come in generale tutti i soggiorni reali in valle hanno lasciato un segno indelebile nella memoria e nella cultura locali, e se con la fine della monarchia terminò anche la storia della riserva di caccia nelle Alpi Marittime, cominciò però un nuovo capitolo per la storia di queste montagne, che nei decenni ha condotto alla formazione dell’odierno Parco delle Alpi Marittime. La Reale Casa di Caccia, dopo i fasti ottocenteschi, ha conosciuto anni di abbandono e trascuratezza, ma oggi, dopo un lungo restauro è diventata un accogliente e amatissimo rifugio escursionistico.
Insomma, l’avrete capito, anche semplicemente guardando le foto, salire al Valasco per me non è una gita qualunque, è la gita per eccellenza di ogni estate (e volentieri anche di ogni inverno con le racchette da neve). Ogni volta, immancabilmente mi stupisce e mi riempie gli occhi di una bellezza aspra eppure armoniosa… Spero di avervi fatto venire voglia di fare una bella camminata, o almeno di avervi raccontato al meglio uno dei miei posti del cuore (io capisco benissimo che Vittorio Emanuele abbia voluto farsi costruire una casa proprio qui!).
Escursione da Terme di Valdieri al Pian del Valasco:
Terme di Valdieri 1368 m
Quota massima raggiunta: rifugio Valasco, 1764 m
Dislivello in salita: 395 m
Lunghezza: 8,8 km l’intero anello
Tempo percorrenza: 0,60 -1,15 ore da Terme al rifugio Valasco, 1,50-2.15 ore l’intero anello.
Difficoltà: secondo la scala delle difficoltà del CAI questo percorso è considerato E, ovvero per escursionisti, con un itinerario su sentiero abbastanza evidente, che però richiedono già un po’ di esperienza in montagna e allenamento alla fatica; a volte possono essere presenti tratti esposti o passaggi su roccia. Anche se, utilizzando l’ex strada militare sia a salire che a scendere, l’escursione è considerata decisamente più facile (T, per turisti). Una volta raggiunto il Pian del Valasco si può proseguire l’escursione con una bella scelta di itinerari interessanti, (ad esempio verso il lago di Valcucca 2180 m, o verso i laghi di Valscura). Allego comunque qui sotto qualche fotografia della salita accanto al torrente per farvi rendere conto delle dimensioni e della praticabilità del sentiero:
*Questa leggenda che ho ascoltato tante volte è tratta dal volume del Sacerdote Maurizio Ristorto, “Valdieri, centro turistico di Valle Gesso”, pubblicato a Cuneo nel 1976. Qui invece si può leggere la leggenda raccolta da Euclide Milano e pubblicata nel testo “Nel Regno della fantasia. Leggende della provincia di Cuneo”, Torino, Ed. Bocca, 1931. Questa stessa versione è stata oggetto della lezione intitolata “Euclide Milano: un “cacciatore” di leggende nella riserva reale di caccia”a cura di Alberto Vissio Scarzello, ricercatore storico e Conservatore delle Universalità Archivistiche di Euclide Milano. Durante la serata, tenutasi a Sant’Anna di Valdieri venerdì 18 agosto 2017, è stata presentata anche una versione della leggenda legata alla Famiglia Brao pubblicata da Monica Brao sulla rivista bimestrale “Marittime” n.59, agosto 2017.
Di Euclide Milano vi ho parlato in più occasioni, in questi post: museo Civico di Cuneo, Palazzo Traversa di Bra.
**Sui soggiorni dei Savoia in Valle Gesso ho consultato:
“Le cacce reali nelle Alpi Marittime” a cura di Pietro Passerin d’Entrèves, Quaderni delle Marittime n.4. Blu Edizioni, 2013.
“I Savoia in Valle Gesso. Diario dei soggiorni reali e cronistoria del distretto delle Alpi Marittime dal 1855 al 1955”, edizioni Primalpe, 2018.
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