L’unico motivo che mi spinge a usare una delle tappe della mia “Strada Panoramica” per il Museo Civico di Cuneo è la mia grande passione per il buon Euclide Milano, lo storico di folklore e tradizioni piemontesi di cui vi ho parlato in più occasioni (sempre quello che leggo la sera prima di dormire). I musei civici sono una missione (e spesso un minestrone per mantenere la metafora culinaria che guida il mio blog). O si amano per vocazione, o molto più spesso si odiano per milioni di motivi più disparati (dal trauma della gita scolastica delle elementari, alla mancanza di un argomento dominante, per finire sul rimprovero di uno scarso appeal degli oggetti esposti). Non sarò certo io a farvi cambiare idea, né, ancor meno, il museo civico di Cuneo.
Sapendo però che l’ha fondato Euclide negli anni Trenta, e l’ha allestito con gran fatica (donando anche sue collezioni personali alla causa), non potevo proprio evitare di parlarvene (entusiasmandomi, come sempre su dettagli e quisquilie).
Dunque, per cominciare degni di menzione sono sicuramente il complesso monumentale di San Francesco (oggi secolarizzato), che ospita il museo, rara testimonianza architettonica dell’epoca medievale in quel di Cuneo. La grande Chiesa, oggi utilizzata per mostre temporanee, e il Chiostro sono testimoni silenziosi (ma non muti) della vita monastica che un tempo si svolgeva entro queste mura.
Al piano terra del museo preistoria e romanizzazione del cuneese si sovrappongono alla mostra “I Longobardi a Sant’Albano Stura” (dedicata agli scavi della necropoli longobarda rinvenuti durante l’apertura del tratto autostradale Asti-Cuneo). Forse la scarsità di didascalie approfondite impedisce una vera e godibile fruizione di questo piano terra, mancanze cui probabilmente si può ovviare con la visita guidata (compresa nei 3 euro d’ingresso nei w.e). In ogni caso nel susseguirsi di vetrinette scarne, con una polla d’acqua gorgogliante come sottofondo (video ossessivo), dedicate un minuto alla stele romana di Catavigno del I secolo d.C. Certo, a vederlo così in foto non sembra molto importante, e non sembra neanche passarsela benissimo, sommerso da materiali didattici, tendaggi e sgabelli.
Voi però datemi retta, avvicinatevi e andate a leggere la stele, se lo merita. Per prima cosa se lo merita perchè essere letta, a memoria imperitura, era lo scopo primario di ogni epigrafe antica. Poi se lo merita perchè nei tratti apparentemente insondabili dello scalpellino si annidano vicende che hanno incuriosito e affascinato fior fiore di studiosi.
La stele è l’iscrizione funeraria (consacrata agli dei Mani) di Catavigno, figlio di Ivomagus, morto venticinquenne, dopo soli sei anni di servizio militare, mentre la sua unità (la terza coorte dei Britanni dell’esercito retico -la Retia era l’attuale Austria- compagnia del centurione Gesato) transitava nella zona dell’attuale cuneese al seguito di Vitellio in marcia verso Roma. Per questo Paterno, commilitone carissimo ed erede di Catavigno, fece fare tale sepolcro.
Ora le questioni rilevanti sono tantissime (dal ritratto del soldato britannico con clava, all’onomastica celtica) ed evidenziate molto meglio di quel che posso fare qui io da una mostra sui “Cacciatori di Pietre” tenutasi qualche anno fa alla Biblioteca Reale di Torino ( bellissimo il catalogo e anche il secondo articolo di questo pdf per approfondire)*. Però siccome questa non è la sede per tecnicismi, vi dico solo che sul legame tra Paterno e Catavigno la fantasia galoppa a briglia sciolta. E dato che sono la solita fanciulla sentimentale, e che ho visitato il museo in aria di San Valentino, secondo me i due rudi soldati erano amanti. Punto.
Ora che sapete quanto poco basta ad innescare la mia ciancia saliamo al piano superiore del museo, dove altra menzione meriterebbe l’imponente sipario del teatro municipale Toselli su cui è dipinta la leggenda della nascita della città di Cuneo. L’opera è stata realizzata da Gaetano Borgo Caratti, allievo di Francesco Hayez, ma ho usato il condizionale perchè il grande sipario è coperto causa allestimento Longobardi.
Ora finalmente arriviamo alla parte etnografica quella voluta e curata da Euclide, che sostanzialmente è un gran guazzabuglio di pezzetti di vita dei tempi andati allestiti in quelle che erano le celle dei monaci! Telai, credenze e stampi da dolci, insegne di attività commerciali, burattini, mazzi di tarocchi, velocipedi, pizzi, merletti, vestiti di inizio Novecento, forme di pane, cavaglia per segale, una ghironda, rappresentazioni del Carnevale alpino, e persino un portabara da neve.
Cose adorabili, su cui io perdo le ore…a maggior ragione conoscendo l’impegno di Euclide, la cui lungimiranza è racchiusa nella collezione di bambole Lenci, vestite con i costumi delle vallate alpine. Euclide, infaticabile cultore del folklore locale, portava personalmente una coppia di bambole Lenci nei diversi comuni del cuneese chiedendo ai rappresentanti delle istituzioni locali (era sempre in buoni rapporti con parroci e segretari comunali), di fare rivestire da una sarta le bamboline con gli abiti tipici usati nel giorno del matrimonio. In questo modo, grazie a queste ormai centenarie bamboline, noi oggi sappiamo tantissime cose interessanti sull’abbigliamento alpino (elementi che senza questi costumini sarebbero irrimediabilmente perduti).
A conclusione del percorso, dopo l’allegrissima slitta per bara, con ancor più allegro funerale montanaro dipinto sullo sfondo, chiude la visita la sezione dedicata alla devozione popolare, e in particolare una celletta le cui pareti sono coperte da tenerissimi ex-voto (alcuni molto antichi) provenienti da Cuneo città (Madonna degli Angeli) e dal Santuario di Castelmagno. Dovete sapere che adoro gli ex-voto, se in una Chiesa c’è la parete degli ex-voto io non esco prima di averli letti tutti, prima di aver pianto calde lacrime per persone cadute dal fienile/balcone/scala, bimbi salvati da situazioni impensabili, e povere anime uscite miracolosamente da terribili malattie.
Se sono ex voto però è andata a finire bene, quindi piango, ma quella madonnina senza grazia o quell’angioletto/Santo tozzo sulla nuvoletta nel quadro mi ricordano che è stato un grande spavento, ma qualcuno ha guardato giù dal cielo. Non sento ragioni, né brontolli della dolcemetà, io voglio leggerli e commentarli dal primo all’ultimo (il che piangendo in un museo rasenta il ridicolo). Non ci posso fare niente, ma quei quadretti simili ai disegni naif dei bambini (colori netti e prospettive rampanti) vedo un inno alla speranza più glorioso e felice di arredi dorati e gelidamente luccicanti.
P.G.R (per grazia ricevuta) la visita è finita.
Alla prossima amici del Betullablog
*Bibliografia:
-Museo Civico di Cuneo, in “Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità”, La Stampa, 2004.
–Cacciatori di Pietre. Th. Mommsen e Carlo Promis tra Torino e Berlino, Catalogo della Mostra, Biblioteca Reale di Torino (30 marzo-26 giugno 2015), a cura di Silvia Giorcelli.
–“Un soldato britanno a Cuneo: appunti di storiografia epigrafica” di Silvia Giorcelli in Quaderni del museo Civico di Cuneo, III, 2015.
Silvia dice
Le bambole Lenci! Mi ci sono imbattuta perché una volta cercavo l’origine del nome “pannolenci”… Che storia! (però un po’ paura me la fanno lo stesso eh… ?)
E gli stampi… Ma come sono?