Nella borsata di libri che mi sono portata al Lago delle Rovine per la mia giornata di relax ce n’era uno particolarmente adatto alla cornice alpina: “La cucina di Montagna”, di Francesca Negri. L’ho ricevuto in dono dalla mia cara Amica Irene, che conoscendo il mio amore per i monti e per i cibi bacucchi, ha capito subito che avrei apprezzato questo genere di ricettario.

Il filo conduttore naturalmente è la cucina d’alta quota, ovvero 315 ricette della tradizione praticate sulle montagne italiane. Il libro è diviso in regioni, con una parte più corposa per le Alpi, tutte precedute da una introduzione generale dell’autrice. Dopo aver gironzolato a lungo tra piatti esotici e sconosciuti delle montagne dello stivale “ho attaccato” il Piemonte e la sua gastronomia, così mi son trovata davanti la ricetta dei Gofri, che vuoi per la somiglianza con le nuvole bianche e corritrici di passaggio sul lago, vuoi per la loro croccante bontà mi si è piantata in testa diventando un’idea fissa. Tornata a casa ho cercato maggiori lumi in un altro libro letto qualche tempo fa sulla cucina tradizionale delle Vallate Occitane: “…e così facevamo festa” a cura di Consuelo Ferrier. L’autrice, ha mescolato sapientemente il manoscritto di Secondina Lantelme, classe 1923, di Pragelato a parti dell’epistolario di Giuseppe Ferrier (classe 1894). Il risultato è un’ indagine etnografica (e gastronomica) godibilissima sulla vita pragelatese di un tempo. Questi “racconti dei nostri vecchi” sono rimasti con dolcezza, e forse con un filo di malinconia, nella mia mente… (incredibile rendermi conto di quanto la parlata della Valle Chisone sia simile a quella della mia cara Valle Gesso – entrambe sono Vallate Occitane Piemontesi, anche se piuttosto distanti)!
In conclusione i buoni libri sono come le ciliegie…uno tira l’altro (graazie Irene!) e così alla fine ho trovato la ricetta perfetta per dei goffri davvero speciali…
Queste cialde antichissime, che la memoria popolare fa risalire agli antichi ferri “à gaufres” utilizzati dalla Chiesa per confezionare le ostie, erano usate in alternativa a pane e pasta. Consuelo Ferrier ricorda come le famiglie molto povere o molto numerose, dedicassero alla produzione di gofri una intera giornata ogni settimana. In questo modo un alimento di buon gusto e veramente economico (si prepara con acqua farina e lievito, esattamente come il pane), contribuiva a sfamare la famiglia nel latte, o in brodi e minestre al posto della pasta (più costosa) o del pane (più laborioso). Quasi dimenticati negli anni Settanta, i gofri godono oggi di una nuova popolarità che, trasformandoli in un originale street food, li ha portati a valicare gli impervi pendii delle vallate d’origine.
Io, manco a dirlo, ho voluto rifare la ricetta pragelatese d.o.c, quella più semplice e povera (priva di latte e uova), che regala gofri pallidi, ma croccantissimi e adatti ad ogni farcitura, sia dolce che salata. Entrambe le ricette lette sui libri citati hanno dosi da “sagra del popolo”, o da famiglia con “figlipersquadradacalcio”, cioè partono tutti con 1 kg di farina. Io, per non finire sommersa di gofri, pure buonissimi, sino all’autunno ho ri-proporzionato il tutto. Ah, avendovi fatto vedere in più occasioni il mio babelico sgabuzzino delle carabattole, sembrerà strano, ma non possiedo il ferro tradizionale in ghisa che in Valle Chisone viene usato per cuocere i gofri (è piuttosto ingombrante e necessita di supporto in ferro e apposito fornellino a gas, e ladolcemetà mi spedirebbe a dormire con tale ferro in fondo al giardino!). Ho ovviato usando una semplice biscottiera elettrica per cialde sottili. La mia biscottiera è rettangolare, mentre “La goufrìa” è rotonda (25 cm di diametro), quindi i miei gofri sono un po’ più piccoli del dovuto, ma per il resto li abbiamo adorati, addirittura senza farcitura, ma a pezzetti tipo cracker!
Gofri di Pragelato (“Lou gofri”)
Ingredienti per circa 12 gofri (da 15 cm di diametro):
250 g di farina 0
un pizzico di sale
200 ml di acqua a temperatura ambiente + altri 100 ml il giorno successivo
2 g di lievito di birra disidratato
Procedimento:
La sera precedente preparare “lou crissènte” mescolando in una ciotola la farina setacciata con il pizzico di sale. In un bicchiere stemperare i 200 ml di acqua con il lievito di birra disidratato. Poco a poco con una forchetta unire il liquido alla farina fino ad avere un impasto piuttosto denso che andrà lasciato riposare tutta la notte a temperatura ambiente in un angolo riparato della cucina (coprire la ciotola con uno strofinaccio pulito o con della pellicola alimentare). Naturalmente c’è anche chi lo prepara al mattino per cuocere i gofri al pomeriggio (riducendo quindi a circa 6 ore la lievitazione).

Il giorno dopo, un’ora prima della cottura, diluire l’impasto con 100 ml di acqua tiepida per ottenere una pastella liquida (vedi foto).
Trascorso questo tempo scaldare bene il ferro in ghisa per gofri (quello originale si chiama “goufrìa”), poi ungerlo con un pezzetto di lardo (c’è chi sostituisce con burro o con olio) e cuocervi una cucchiaiata abbondante di pastella comprimendola bene tra le due parti del ferro. Come vi ho detto io li ho cotti nella biscottiera elettrica goffrata per cialde sottili (la vedete qui sotto) che sopperisce egregiamente all’attrezzo originale, comunque anche nella biscottiera vale la regola che il gofri è cotto quando, aprendo il ferro, la cialda si stacca dalla piastra. Procedere sino all’esaurimento della pastella, poi farcire i gofri caldi secondo i gusti (ormai sono diventati un rinomato streetfood, per cui scatenate la fantasia: sono buoni con farciture a fantasia, sia dolci che salate: affettati, formaggi, confetture, cioccolato, miele).
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