In queste belle giornate i pisellini verdissimi mi fanno pensare a una piccola e magica scena libresca che ogni primavera torno a rileggere. Nessuno, credo, è mai riuscito a descrivere quella fascinazione per la natura che coglie ognuno di noi nella bella stagione così come ha fatto Goethe ne “I dolori del Giovane Werther”. Il libro, non è neanche il caso di dirlo qui, ebbe un successo straordinario e un’interpretazione controversa sin dalla sua pubblicazione (1774). Amato, odiato, tradotto, parodiato, emulato, condannato, assunto a emblema della gioventù, fu un vero e proprio avvenimento di costume che lo portò lontanissimo dalla semplice definizione di “romanzo del Desiderio d’amore”. In nome di tutto quel che il libro rappresenta si dimentica spesso di leggerlo, o almeno di gustarsi la meraviglia che si annida nelle sue pagine oltre, o nonostante, quello straziante spasmo d’amore per cui è celebre.
21 Giugno, Goethe, in mezza paginetta, coglie tutta l’aspirazione all’armonia di una umanità che si arricchisce e cresce non solo nel contatto con il sublime (e la Cultura), ma anche nella vicinanza all’umile e all’attività pratica (la Natura). Il suo Werther va nell’orto, coglie pisellini dolci, li sgrana, poi li cucina, e, seduto accanto al fuoco per rimestarli legge Omero. Davanti a quel pentolino di piselli Goethe addensa tutte le contraddizioni dell’animo umano: il maschile e il femminile, il divino e l’umano, il realismo e il sogno, la classicità e il romanticismo, la giovinezza e la vecchiaia, il germanesimo e la latinità, la tragedia e la commedia, la cultura e la natura. E tutta la misera limitatezza di Werther (che è anche la nostra) svanisce nella gioia di un gesto semplice, vero e antico come cucinare qualcosa che si è coltivato…
“Quando allo spuntar del giorno esco e m’incammino verso Wahlheim e là nell’orto dell’osteria raccolgo da me stesso i piselli e mi metto a sedere e li sgrano leggendo frattanto il mio Omero…quando nella piccola cucina prendo un tegame, ci metto il burro, i piselli, il coperchio e mi siedo accanto al fuoco per rimestarli di tanto in tanto, mi sento pieno di vigore come gli arroganti pretendenti di Penelope che da sé macellavano buoi e maiali, li squartavano e li arrostivano. Non c’è niente che mi dia una sensazione di calma, di autenticità, come queste usanze di vita patriarcale che io, grazie a Dio, intesso senza affettazione nella mia esistenza di tutti i giorni.
Come son contento che il mio cuore sappia provare la semplice, ingenua delizia dell’uomo che mette sulla mensa un cavolo coltivato da lui stesso, e non il cavolo soltanto, bensì tutti i giorni belli, il bel mattino che lo piantò, le dolci sere che lo innaffiò, e la sua contentezza nel vederlo crescere di giorno in giorno: tutto si concentra in quell’istante.”
LIBRO PRIMO 21 giugno 1771
“I dolori del giovane Werther” di Johann Wolfgang Goethe
Data la nota passione di Goethe per la buona tavola, e l’abbondanza di suoi documenti, c’è anche chi si è preso la briga di studiare i suoi scritti privati (epistolari e diari) alla ricerca della ricetta dei “Pisellini alla Werther”! La ricetta non c’è, e non poteva essere altrimenti, per cui in “Zu Tisch mit Goethe” (di Erich Grasdorf e Peter Brunner) è indicata come plausibile sostituta una ricetta di “Piselli con panna agli aromi” tratta da ricettari dell’epoca. Io non ho seguito neppure quella…mi sono fatta ispirare dalle numerose suggestioni del momento.
Perdonate l’approssimazione, ma mi sembra più consona al romanticismo intimistico…
-In una pentola dal fondo spesso fondere un pezzetto di burro con un cucchiaino di farina bianca. Mescolare con cura, poi aggiungere i pisellini appena sgranati. Mescolare con un cucchiaio di legno, poi coprire i piselli con del latte fresco intero. Salare, pepare e cuocere incoperchiato a fiamma viva fino a che il latte non sarà stato quasi completamente assorbito dai piselli (qui dovreste avere il tempo di leggere Omero per circa 10/15 minuti, ma non concentratevi troppo sulla lettura!). Togliere la pentola dal fuoco, fare riposare i piselli, poi aggiungere un tuorlo d’uovo e un trito di Dragoncello. Mescolare bene, e servire caldissimi.
Ros Mj dice
Che post bello, tesoro!! E come deve essere meraviglioso sul serio coltivare un ortaggio, curarlo e poi portarlo in tavola, davvero tutto si concentra in quel momento. La cucina in compagnia di Omero…mi fa sorridere. Quando studiavo nella mia cucina, a volte intervallavo una spadellata ad una lettura filosofica…un doppio, intenso piacere :-). Ottima ricetta per questi tempi di pisellini freschi… Un bacio, mia dolce amica <3
Sara e Laura-PancettaBistrot dice
Si respira autenticità nell'estratto che hai condiviso con noi!!Le usanze di vita patriarcale alla fine sono l'anima della cucina; per quanto si voglia tendere al moderno e al veloce è la calma della cura che dà sapore a quello che facciamo! Ci piace davvero molto questo piatto ispirato a questo libro che ci guarda dalla libreria e che da troppo non riprendiamo in mano! Buona serata
Francesca P. dice
Io ho divorato e adorato quel libro… struggente, forte, ero una ragazzina quando l'ho letto per la prima volta e ha lasciato una scia, un segno molto profondo… avevo sottolineato a matita tante frasi, alcune le avevo copiate anche su un quaderno, un'abitudine così "antica" che ormai sembra fuori moda… eppure com'era bello aprire quelle pagine un po' stropicciate e trovare parole così intense…
Mi piace molto partire da un libro e finire su una ricetta, brava… cibo per la mente! 🙂
coccolatime dice
assolutamente d'accordo con i tre commenti precedenti…..cibo per la mente è bellissimo!!!…mi piace associare i libri ai cibi…e come in questo caso qusti pisellini assumono un sapore e un gusto diverso…antico..ancestrale..bravisssima!!!