Parlare di Siena significa inevitabilmente parlare del Palio (beh, in realtà anche del Panforte, ma rimando i discorsi zucchero/mielosi ad un altro post). Così ho deciso che nel tempo che avrei trascorso qui a Siena questa primavera mi sarei impegnata per approfondire il discorso e capire davvero qualcosa di quella che agli occhi di noi profani sembra sempre una bizzarra medievaleggiante “corsa di cavalli” in una delle piazze più belle del mondo.
Se non so da che parte cominciare per capire qualcosa di nuovo, inizio sempre volentieri da un libro, ma cercare una buona lettura sul Palio a Siena per una forestiera è praticamente un’impresa impossibile: la letteratura sull’argomento è sconfinata, con volumi dettagliatissimi, memoriali, e cronache, che ripercorrono e analizzano ogni aspetto di questa manifestazione davvero molto antica e visceralmente sentita da tutta la città. Per fortuna la mia sconsolata desolazione davanti al grande scaffale “Siena Storia Locale” ha incontrato i consigli gentili del libraio della libreria Palomar (in via Rinaldini 1, cioè a 20 metri dalla centralissima Piazza del Campo), che dopo una lunga chiacchierata mi ha fatto vedere questo libro intitolato “Il Palio di Siena e i suoi simboli” di Alessandro Savorelli.
L’autore, insegnante di Storia della Filosofia alla Scuola Normale di Pisa, e appassionato studioso di araldica, è riuscito nell’ardua impresa di scrivere un delizioso viaggio (iniziatico per me) intorno ai simboli di ognuna delle contrade senesi. Il libro è una specie di “bestiario” illustrato e narrato, che di simbolo in simbolo conduce il lettore per mano in una foresta di colori, animali, mascotte, totem e giochi… Di pagina in pagina, o meglio, di contrada in contrada mi sono addentrata in un mondo antico, ho imparato a “leggerlo”, a riconoscerlo, e sull’onda di aneddoti divertenti sono sbocciate simpatie/antipatie e curiosità che mi hanno fatto venire una gran voglia di approfondire ancora, di camminare per Siena, andare a vedere questa o quella contrada, mettendomi a chiacchierare con chichessia per saperne di più.
Il consiglio del libraio di Palomar si è rivelato davvero prezioso: la formula delle due o tre paginette (comprese le illustrazioni) per ogni contrada sono una lettura leggera, anche se l’argomento è trattato con arguzia e riflessioni di un grande studioso. Un tema del genere può essere potenzialmente un “mappazzone”, perché come ripeteva continuamente il mio professore di Storia delle Religioni un’interpretazione disinvolta dei simboli può portare a clamorosi fraintendimenti. Non parliamo allora cosa non si può dire su un animale che campeggia da secoli orgoglioso sul vessillo e sul cuore di una contrada: araldica, astrologia, filosofia, psicanalisi, tarocchi, alchimia, magari anche la Smorfia e gli arcani maggiori e minori possono essere chiamati in causa per interpretare storia e gloria di una di queste curiose bestiole di contrada. Savorelli però non si perde in ciance e va dritto al dunque e con savia concretezza arriva rapidamente al senso di questa o di quella creatura che popola da secoli il variopinto “zoo di stoffa” del Palio di Siena.
Ora, dopo questa lettura dotta passo al nazional-popolare: ho scoperto da un’amica che proprio quest’anno (2019) è stato realizzato a Siena un album di figurine interamente dedicato alla città, al Palio, e alle sue Contrade (si chiama “Figuriamoci Siena”). Se l’intento era quello di rivolgersi ai bambini e ai ragazzi con finalità didattiche (il Comitato Amici del Palio è impegnato in una costante attività di divulgazione delle tradizioni legate al Palio), so per certo che questo album, con relativo scambio di figurine, sta appassionando un po’ tutti i Senesi senza distinzioni di età. La mia amica mi ha raccontato che il momento di attaccare le figurine sull’album dopo cena è diventato un dolce rito che coinvolge l’intera famiglia, e io ho visto più d’una signora distinta scambiare figurine doppie sotto il Tartarugone il giorno del mercatino delle pulci…
Ho sempre guardato con invidia, e anche con rabbia, l’album delle figurine dei calciatori dei miei fratelli, e i gran traffici e mercanteggi che gli giravano intorno. Per le bambine non è mai esistito un equivalente valido, così dopo aver provato a fare l’album di Barbie, quello di Beverly Hills 90210, quello di Memole, e finanche per disperazione/emulazione quello dei calciatori di cui non mi importava proprio nulla, ho capito che il capitolo figurine è uno dei tanti incolmabili gap di genere che separano il mondo maschile da quello femminile.
Sapere di questo album cittadino, così bello e trasversale, ha riacceso in me la voglia di un gioco infantile che non ho goduto fino in fondo. Neanche a dirlo mi sono comprata l’album Figuriamoci (l’album costa appena 1 euro, e le bustine di figurine 80 centesimi, e si trovano in vendita dai tabaccai e nelle librerie della città). Sicuramente non riuscirò a completarlo, tre mesetti di vita senese sono pochi per trovare 433 figurine, ma ogni volta che vado in città mi compro qualche bustina e penso che in fondo ci sono cose, come la cultura, l’arte e le antiche giostre di cavalli che per fortuna non hanno genere, e che possono appassionare tutti, bambini, genitori, Senesi e betulle curiose di passaggio in questa città incredibile.
Infine, non potevo che guardare il Palio dalla parte della cucina. Vi ho già raccontato in questo post di Giovanni Righi Parenti e del suo bel libro dedicato alla cucina toscana. Bene, il dotto gourmet era senese, e in quanto tale ha scritto un curioso volume interamente dedicato al “Mangiare in Contrada”. Io, neanche a dirlo, l’ho trovato usato al solito mercatino delle pulci mensile dove abbondano testi e oggettistica tipicamente senesi. Ebbene, dopo aver letto delle 17 contrade, dei loro simboli, dopo essere andata a cercarle una per una, a vedere i loro piccoli musei, le loro chiese, le loro fontanelle, questo libro mi ha spalancato le porte sulle “cucine di contrada”. Ho capito cioè che il palio è sì una competizione serissima, ma anche una bella occasione per fare festa e sedersi a tavola uniti da un fraterno spirito di contradaioli…
Un tempo, racconta Giovanni Righi Parenti « tutto il faccendio era sulle spalle delle donne. Leggo nelle cronache di cinquant’anni or sono , quando bastavano le sedie ed i tavolini di casa per ammannire le cene. Dai “piani” l’arredo scendeva in strada…e da ogni finestra un insieme di “cestini”, con il filo portavano il servizio a domicilio in strada ». Non mancano nel testo meravigliose foto in bianco e nero, che documentano queste suggestive, rustiche cene (da palazzo a palazzo sopra le tavole imbandite archi in ferro sostenevano piccoli bicchierini dei lumini a olio, accesi uno ad uno per l’occasione festosa). Con il passare degli anni però il numero dei partecipanti a queste cene è cresciuto talmente, che la spontanea aggregazione di “vettovaglie e cibi” è diventata insufficiente. Con lo stesso spirito della piccola “società di mutuo e soccorso” che anima la contrada (una città nella città) sono state attrezzate delle vere e proprie “cucine di contrada”. Alcune, ci racconta l’autore, sono talmente ben organizzate da poter fare invidia ad un’osteria vera e propria. In ogni caso, tutte sono sempre gestite solo da cuochi amatoriali, che nel ricco calendario di appuntamenti e cene che precedono o seguono i due appuntamenti annuali del Palio (2 luglio e 16 agosto) prestano la loro attività con spirito di condivisione (il resto dell’anno di solito ogni contrada ha un vero ristorante come punto di riferimento per le occasioni goderecce)!
Giovanni Righi Parenti, con intelligenza e precisione, ha raccolto per ognuna delle 17 contrade senesi quelli che sono i piatti tipici: quelli antichissimi, storici, legati a questa o a quell’altra “cena della vittoria” a un fantino, a un contradaiolo, o ad un cuoco/cuoca capace di lasciare il segno della memoria gastronomica dell’intera contrada. Non mancano, qua e là, piatti più moderni, al passo con i tempi tanto da immortalare un’epoca, ma queste ricette un poco esotiche non sono che la minoranza, perché le 300 pagine del libro si compongono per lo più di ricette immortali, che come il Palio stesso affondano le radici in un terreno antico, immaginifico, e fertile, tanto da nutrire ancora oggi i sogni e le “godende”(i pasti) dei Senesi.
L’ultimo Palio tenutosi in maniera straordinaria il 20 ottobre 2018 per commemorare il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, è stato vinto dalla contrada Tartuca, cavallo Remorex, fantino Andrea Coghe detto il Tempesta. E proprio al “mangiare in contrada” della Tartuca appartiene questa ricetta, che ormai ha travalicato da tempo i confini di Siena, per diventare nel mondo uno dei simboli della toscanità.
PICI AL SUGO DI BRICIOLE*
« Pici » o « pinci » il nome di questo piatto di pasta casalinga deriverebbe dal verbo « appicciare » perchè, un tempo, le « trecce » dei pici, a « picce » si attaccavano ai vecchi camini in modo che la pasta fatta in casa si asciugasse prima al fuoco. Qualcuno a questo punto mi domanda: i pici son dunque una specie di…tagliatelle? – debbo rispondere di no ché il « picio » non è altro che un filo di pasta filato a mano e non tagliato.
Si prende una pallina d’impasto di acqua e farina di grano, più raramente con qualche chiara d’uovo (i pici mai sono impastati con farina ed ova) e girando tra il pollice e l’indice si lavora tirandola in un sol filo.
Era un lavoro svolto a veglia, soprattutto dai più vecchi e dai bambini che facevano a gara a chi filava il « picio più lungo » . Oggi si fanno anche…a macchina, ma così i pici non sono più quelli di un tempo…per lo meno sono privi di quel sapore d’umiltà che era presente anche nel cibo ai tempi de’ nostri nonni.
Fatti i « pici » o, più semplicemente, acquistati dal panettiere freschi si cuociono in acqua salata e quindi si condiscono col « sugo di briciole » che si prepara proprio dalle briciole di pane (non si deve sciattare nulla! – si diceva una volta -…ed anche le briciole si riutilizzavano).
Mettiamo le briciole in un padellino con poco olio d’oliva, un pizzico di pepe, poco sale e, a basso fuoco, gli faremo prendere colore rimestandole da renderle ben omogenee col condimento; con questo sughetto condiremo i nostri « pici », arricchendolo se siamo proprio ghiotti, con dosi massicce di pecorino piccante grattugiato.
Quale sposalizio d’amore, specialmente se avremo tenuto il sugo piuttosto piccante: Rosso di Montalcino, giovane, servito a 18°C.
* la ricetta è tratta da Giovanni Righi Parenti, “Mangiare in Contrada”, Edizioni Periccioli, Siena, 1985.
Oggi si trovano anche ottimi pici secchi stesi o arrotolati (in foto quelli del Consorzio Agrario, realizzati esclusivamente con farine da grano duro toscano). Allo stesso modo nei ristoranti i pici vengono serviti con molti altri condimenti: all’aglione, cacio&pepe, al tartufo…, anche se la pasta fresca e il sugo di briciole mantengono l’inarrivabile, arcaica bontà dei sapori semplici…
N:B: TUTTE le fotografie sono MIE ed è vietato qualunque utilizzo senza permesso!
Lascia un commento