In un tempo assai lontano era uso comune in quel di Valdieri fare nella notte del Giovedì Santo una solenne processione durante la quale veniva messa in scena l’intera Passione di Cristo. L’antica tradizione, comune a molti paesi del Cuneese, rischiava però anno dopo anno, di abbandonare i confini teatrali del simbolico per scadere in una rappresentazione sin troppo terrena dai risvolti eccessivamente violenti. I membri della Confraternita di Santa Croce (detta in valdierese “Crusà”) organizzavano la rievocazione scegliendo un confratello che rappresentasse Gesù nella salita al Calvario. Il pover’uovo, appesantito da una grossa croce di legno, veniva flagellato e schernito da altri confratelli incappucciati mentre vagava per le strade del paese con tragici canti come colonna sonora (da “In Monte Oliveti” al “Miserere”).
Il sinodo diocesano del 1827 aveva deciso di porre fine a queste drammatiche recite popolari, ma a Valdieri l’impressionante abitudine pasquale proseguì immutata ancora per una ventina di anni. Alla fine il vescovo in persona, chiedendo ai Valdieresi di adeguarsi alle “nuove” disposizioni, suggerì al parroco e alla Confraternita di dotarsi di una statua da portare in processione in sostituzione alla passione con figuranti in carne, ossa (e sangue). Fu così, che nell’aprile del 1845 il consiglio della Confraternita affidò a tale Antonio Roasio di Mondovì (scultore rinomato e molto in voga all’epoca), l’incarico di realizzare una rappresentazione lignea del “Cristo nel Getzemani” per la consistente somma di ben 2.000 lire sabaude.
Per rivalità e affettuosa amicizia che ci lega da sempre alle valli circostanti, i Valdieresi volevano una statua simile a quella posseduta dai confratelli di Demonte, nella vicina Valle Stura. Ma nella delibera è molto divertente leggere quanto la committenza avesse le idee chiare a riguardo: “far eseguire dal celebre scultore in figura di legno di altezza e grossezza naturali Gesù nell’orto dei Gezzemani” […] “un Cherubino sopra un’alta nube che presenta al Redentore la Croce, e l’amaro calice della passione, Gesù inginocchiato sul nudo suolo suda sangue, e languente cade supino nell’ammirare la dolorosa croce e l’amaro calice, ed un altro Cherubino che regge il cadente Redentore” […] “deve figurare una parte del suolo di un giardino, ed in un angolo del medesimo sorge un albero di ulivo all’altezza del Cherubino sopra la nube, affinché questo gruppo di statue sia cosa decorosa in questo oratorio ed oggetto di ammirazione ad ogni persona intelligente…”
(Ebbene Signor Rettore della Confraternita con velleità di magnate dell’arte, sarà contento di sapere che dopo 176 anni, ogni “persona intelligente”, o almeno affezionato e devoto valdierese ancora ammira ancora la bellissima statua da Lei immaginata?).
L’anno successivo, nell’aprile del 1846 la statua era pronta. Oggi Mondovì e Valdieri (che distano appena una cinquantina di km) ci sembrano praticamente a un tiro di schioppo. All’epoca però era una distanza considerevole, soprattutto dovendo spostare un delicato gruppo ligneo pesante diversi quintali. Il rettore della Confraternita Andrea Blua raggiunse lo scultore Antonio Roasio a Mondovì, e insieme organizzarono il trasferimento in Valle Gesso dell’opera. Il trasporto avvenne con due coppie di buoi. Per la notte, a metà strada, il convoglio si fermò a Cuneo, nel Duomo, dove la statua venne ritirata al sicuro. La leggenda a questo punto narra che il mattino seguente i Cuneesi, affascinati dalla bellezza del gruppo ligneo, non volessero più farlo partire per i monti: cosa se ne faceva un paesino come Valdieri di un tale capolavoro? Volevano ricomprarlo già bell’è pronto per adornare la loro imponente cattedrale. Ma il rettore (paladino dei montanari) con forza d’animo, rettitudine, e forse, aiuto divino, placò gli animi e la discussione, riuscendo a convincere i cuneesi di essere degni di opere d’arte di ben altro livello. Così il viaggio lento e faticoso della statua verso i monti riprese. Al bivio del “vecchio mulino” il parroco di Valdieri don Borelli, il cappellano della Confraternita don Giordana G. Battista e una folla festante che cantava “ave, rex noster”, accolsero trionfalmente la statua. Benedetto e portato per la prima volta in processione il 9 aprile 1846 il “Cristo nel Getzemani” entrò così ufficialmente nel patrimonio e nel cuore di tutti valdieresi.
A onor del vero non è che la statua abbia cancellato del tutto le appassionate recite dei confratelli della Crusà (alcuni personaggi della Passione partecipano ancora oggi alla processione – come i dodici apostoli incappucciati – rendendola curiosa e suggestiva), ma senza dubbio le ha rese più innocue e consone alla Settimana Santa e al suo pacifico messaggio di speranza e rinascita.
Il Gruppo ligneo “Cristo nell’Orto” non si trova più nella Chiesa della Confraternita, ma dal 1980 è stato trasferito nella vicina Parrocchiale di San Martino, in maniera da rimanere sempre accanto ai fedeli e disponibili ai visitatori durante gli orari di apertura della chiesa (la “Crusà” e la relativa Confraternita sono ormai cadute in disuso).
Concludo questa passeggiata negli usi valdieresi del Giovedì Santo con due consuetudini particolarmente care ai ragazzi del paese. Al primo posto ci sono “i misteri”, rappresentazioni simboliche della Passione che i bambini dovevano portare in processione dietro alla statua. Nei tempi andati per avere l’onore di portare uno di questi misteri per il paese occorreva versare un obolo alla Confraternita, motivo per il quale solo i benestanti potevano ambire al prestigioso (pur se pesantissimo) “gallo”. C’erano anche “la scala”, “i chiodi”, “la lancia”, “il sudario”, “la corona di spine”, “la spugna” … e persino la borsa di giuda che ovviamente non voleva mai nessuno. Se come detto, in passato bisognava “comprare” questo privilegio, quando io ero piccola (cioè intorno al 1990) quasi non c’erano abbastanza bambini per portare tutti i misteri in processione.
Infine nei giorni prima di Pasqua i ragazzini (adolescenti già troppo grandi per “portare i misteri”) passavano di casa in casa per raccogliere candele usate, moccoli e lumini, poi nel pomeriggio del Giovedì Santo si arrampicavano lungo le pendici del “Rustagn”, il contrafforte montuoso che sovrasta il paese. Qui sistemavano con cura tutte le candele raccolte nella Grotta detta “La Maddalena” (ospita una statuetta della Santa). Il lavoro era certosino, perché sostanzialmente significava colare della cera bollente per “incollare” fermamente le candele alla roccia. Quando la gente sarebbe uscita dalla Confraternita (o dalla Parrocchia) per andare in processione, alzando gli occhi verso la montagna avrebbe visto la grotta illuminata da centinaia di minuscole fiammelle tremule. Un omaggio luminoso con radici tanto antiche che si conserva la memoria di gusci di noci riempiti con un po’ di olio e con uno stoppino pur di illuminare la grotta. La gioia, la fatica, l’eccitazione, l’odore di cera, la paura del vento (e il rischio di incendi), le mani gelate dalla notte, e le sopracciglia bruciacchiate, rimarranno sempre tra i miei ricordi più assurdi e cari legati al Giovedì Santo. Per anni la grotta è stata illuminata più sobriamente con un potente faro alimentato a energia elettrica (l’idea di adornare la faglia di una montagna con centinaia di fiammelle vive e libere sembrava talmente folle da non capacitarsi di quanto una cosa così pericolosa sia andata avanti per anni senza catastrofici incidenti). Certo, forse era un po’ una pazzia, specialmente con il vento, però era davvero bellissimo e infatti di recente, grazie ad alcuni volenterosi giovincelli (e con l’attentissima supervisione di un adulto) la Grotta di Maria Maddalena nella sera del Giovedì Santo è tornata ad essere illuminata dalle fiammelle di qualche prudente, poetica candela…
Buona Pasqua amici e cari lettori del Betullablog.
Parte di questo scritto proviene dall’esperienza diretta e dalla tradizione orale (della mia famiglia e di quel che come sempre ascolto qua e là- quindi beneficiate del dubbio! 😉 Per la maggior parte delle notizie storiche riportate sono debitrice al volume “Vudìer Cuénto”, e all’omonima associazione culturale valdierese, che si occupa di documentare egregiamente e con precisione la memoria storica di Valdieri, oltre che al sito del Comune sezioni “un po’ di Storia”, “Parrocchie e cappelle” (consultate l’ultima volta oggi 15 aprile 2022). Sull’argomento della “Processione del Giovedì Santo” è comparso anche un articolo sul bollettino parrocchiale dell’Unità Pastorale Valle Gesso nell’aprile 2017. Inoltre è sempre interessante (anche se molto datato) il lavoro del Sacerdote Dott.Maurizio Ristorto, intitolato “Valdieri, centro turistico della Valle Gesso”, Cuneo, 1973.
TUTTE le foto sono di mia proprietà e coperte da copyright.
Silvia dice
Un pezzo veramente bellissimo.
Alessandro dice
Bellissimo veramente interessante conoscere la storia di una bellissima statua e delle tradizioni delle nostre montagne.
Brava !!!
Betulla dice
Grazie mille…scrivere qui è un modo per non dimenticare il passato! A presto!
Roselva dice
Preziosi ricordi ,un tramandare il passato che e’ parte di noi Tradizioni da raccontare ai giovani e anche ai non più giovani come me ,sempre affascinati dalla storia di chi ci ha dato la vita e opere da custodire con amore. Grazie Silvia e come sempre belllissime le tue foto!
Betulla dice
Grazie di cuore cara Silvia. Ogni tanto mi piace raccontare qualcosa del mio caro paesino! un abbraccio!
Roselva dice
Come sempre un incanto le foto e veramente interessante l’argomento che mi ha rimandata alla mia infanzia quando ,alla processione del Cristo morto , si abbassavano le serrande dei bar. Altri tempi…
Betulla dice
Grazie di cuore cara Roselva…i ricordi sono preziosi, e a volte diventano storie bellissime da raccontare! un abbraccio grande!
Paola dice
Grazie, davvero non sapevo nulla di questa bella storia