In Abruzzo il giovedì Santo è dedicato alla preparazione di questi due dolci caratteristici: la pupa (bambola) per le bambine, e il cavallo per i maschietti. Si tratta dell’usanza antica di dare alla pasta per i biscotti (arricchita con le mandorle) una forma gioiosa adatta a festeggiare la Pasqua e la rinascita primaverile. Ora, data la mia passione per questo tipo di dolci poveri (sperduti) dalle forme antropomorfe o zoomorfe dedicate ai bambini (qui ho parlato del Ciciu d’Capdan e del Galuciu piemontesi), vi starete chiedendo come mai io abbia aspettato tanto ( quasi 5 anni di blog) prima di pubblicare questa ricetta. La risposta è molto semplice: a casa mia Pupa&Cavallo non sono un dolce pasquale, sono un trauma! Bhe, dai, diciamo un trauma infantile…poi poco a poco l’ho superato! Quando ero piccola una zia di mia mamma, è venuta a trascorrere la Pasqua con la mia famiglia sulle montagne piemontesi. Ovviamente anche in trasferta la zia abruzzese non poteva assolutamente rinunciare alla tradizione della Pupa e Cavallo. Io ero una bambina piccola, ma ricordo l’Impresa con i toni di una catastrofe epica: la bacinella azzurra in cui io e i miei fratelli normalmente facevamo il bagnetto aveva cambiato destinazione diventando ciotola per impastare, le uova erano state comprate in cartoni da 40, insieme a kg di mandorle, cacao, zucchero, e codette a profusione. La cucina -mobilitata per i dolci- era inservibile per fornire un pranzo alla famiglia, per cui nella giornata di pupa&cavallo avevano mangiato tutti lontano dal tavolo – sparsi per casa- con pane olio e pomodoro. Mia mamma era diventata l’aiuto -muto e obbediente- della gigantesca zia, che affondava le braccia nella bacinella azzurra dei bagnetti con tanta energia da fare tremare le striminzite gambe di ferro del tavolo in formica. Il forno, con immenso rammarico dei miei genitori rimase acceso dall’alba al tramonto, con il sottofondo brontolante della zia che si lamentava per la modernità eccessiva di quel marchingegno ventilato: la sua esperienza di mezzo secolo era tarata sul forno a legna, con il quale diceva dialogava molto meglio. Bruciacchiati e deformati dalla cottura pupe e cavalli uscivano ad un ritmo indiavolato dal forno…la nostra cucina -secondo la zia incredibilmente limitata rispetto alla terrazza della collina pescarese su cui era abituata ad operare- non aveva sufficienti piani d’appoggio per contenere tutti i dolci, che quindi erano messi in sala, sul tavolo, sul divano, dentro la vetrina della credenza sopra ai bicchieri, a raffreddare. Con queste premesse l’eccitazione mia e dei miei fratelli era alle stelle. 3 elefanti in una cristalleria = 3 bambini sul tappeto circondati da una quindicina di Pupe&Cavalli. L’attesa era straziante. L’acquolina in crescendo. La solennità dell’impresa ci faceva immaginare che presto avremmo potuto assaggiare direttamente il Paradiso. Il paragone era quantitativo: se la mamma sfornava la mitica crostata eliolina in un batter d’occhio (e dolce che ci piaceva tantissimo) visto il tempo e le forze impiegate per Pupa&Cavallo avremmo sicuramente assaggiato un capolavoro di pasticceria. Finalmente dopo cena ottenemmo il permesso di addentare i dolci. DELUSIONE. Solenne, memorabile, incancellabile delusione. Pupa&Cavallo erano solo un biscotto. Duri, secchi e bruciacchiati biscottoni. Anche poco dolci. La zia, piuttosto anziana, non aveva adattato di un millimetro la sua ricetta ai gusti dei tempi moderni. Pupa&Cavallo preparati per noi erano identici a quelli della sua infanzia di inizio secolo: poco più che una pasta di pane leggermente zuccherata (credo che per la zia la gioia fosse nella forma originale data al cibo quotidiano, e anche nell’impresa in sé). Siccome però io e i miei fratelli non avevamo neanche potuto avvicinarci agli impasti (non era stata un’Impresa collettiva né giocosa!), e questi dolci ci erano costati anche un intero pomeriggio di sgridate e rimproveri a denti stretti dalla mamma che non voleva fare brutta figura, Pupa&Cavallo ci vennero semplicemente in odio. Certo, considerato il fatto che per circa 3 mesi ogni mattina dovemmo inzuppare nel latte questi “muffoloni”, unito ai commenti dei miei genitori (sostenevano che con il valore di 20 Pupe&Cavalli sfornati dalla zia in una folle giornata di fatica avremmo potuto farci arrivare a casa una Sacher Torte direttamente da Vienna), capirete l’antipatia viscerale nei confronti di questi poveri dolci.
Per anni nella mia famiglia sono stati il simbolo di un modo di cucinare bacucco, desueto e un po’ ottuso. Poi qualche anno fa ho deciso che potevo superare il mio ricordo traumatico e dare loro una seconda possibilità… Ricetta moderna, e golosa però. E soprattutto quantità moderate. Rimangono un biscotto. Ma almeno sono commestibili anche oltre al tazzone del latte per la colazione! 😉
PUPA ABRUZZESE
(dose per 2 Pupe da 30 cm circa)
Ingredienti:
100 g mandorle
150 g zucchero
300 g farina 00
2 uova
30 g burro
8 g lievito chimico per dolci
50 ml latte intero
50 ml olio di arachidi
-Per decorare: codette colorate di zucchero, cuoricini di cioccolato, glassa di zucchero a velo e acqua.
N.B: la pupa deve avere la forma di una conca (il contenitore di rame con cui le donne andavano a prendere l’acqua alla fonte): le braccia appoggiate alla vita e i fianchi larghi, un seno abbondante e prosperoso. Io trovo più pratico disegnare la forma della Pupa a mano libera su un foglio A4, ritagliarlo, e poi appoggiarlo sulla sfoglia di pasta per avere una guida. In Abruzzo si trovano delle teglie di latta con queste apposite forme, ma la versione che ho fatto io è quella più semplice e sottile. Non è un prodotto di fine pasticceria, per cui deve conservare una sorta di infantile stilizzazione nei tratti e nelle forme.
In alcune famiglie si usa appoggiare un uovo sodo sul grembiule della Pupa, e poi ingabbiarlo in una croce di frolla come simbolo di rinascita e resurrezione. Sembra inoltre che pupa e cavallo venissero usati anticamente anche per sancire i fidanzamenti: quando cioè le giovani coppie si presentavano pubblicamente alle rispettive famiglie in vista del matrimonio era abitudine scambiarsi anche questi dolci.
Procedimento:
-In un minipimer tritare le mandorle con lo zucchero. A seconda della grana di questa “farina” si otterranno dei biscotti più o meno rustici. Tritare le mandorle con lo zucchero serve per evitare che l’olio della frutta secca la trasformi in una “pasta” cremosa, e non in una farina.
-La pupa si può preparare a mano (creare semplicemente una fontana di farina nella quale inserire tutti gli ingredienti) o nell’impastatore: nella ciotola setacciare la farina 00, unire il composto di mandorle e zucchero, poi le uova intere, l’olio, il burro a temperatura ambiente e tagliato a tocchetti, il latte, e infine il lievito. Con la frusta a gancio impastare a bassa velocità sino ad avere un composto morbido. Trasferire il tutto sulla spianatoia infarinata, e a mano concludere l’impasto, sino ad avere una palla liscia e omogenea. A questo punto accendere il forno portandolo a 180°. Dividere l’impasto in due. Direttamente sulla carta da forno stendere ogni parte di pasta in una sfoglia di circa 1 cm di spessore e sagomare le due pupe (a mano o utilizzando uno stencil di carta). Decorare con fantasia (io preferisco accennare appena le decorazioni, e poi concluderle dopo la cottura con codette, cioccolato e glassa). Cuocere in forno caldo a 180° statico per 20 minuti.
CAVALLO
(dose per due cavallini in “pasta nera” per mostaccioli)
Ingredienti:
250 g di farina 00
80 g di mandorle
80 g di zucchero
20 g di cacao amaro
80 g di miele
2 uova
30 ml di olio di arachidi
8 g di lievito chimico per dolci
1 bustina di vanillina
cannella
noce moscata
Per decorazione: cioccolato fondente (200 g circa), glassa bianca fatta con zucchero a velo e acqua.
Procedimento:
-In un minipimer tritare le mandorle con lo zucchero. A seconda della grana di questa “farina” si otterranno dei biscotti più o meno rustici. Tritare le mandorle con lo zucchero serve per evitare che l’olio della frutta secca la trasformi in una “pasta” cremosa, e non in una farina.
-Il Cavallo si può impastare a mano (creare semplicemente una fontana di farina nella quale inserire tutti gli ingredienti) o nell’impastatore: nella ciotola setacciare la farina 00, unire il composto di mandorle e zucchero, il lievito, il cacao amaro, la vanillina, le spezie e poi gli ingredienti umidi: le uova intere e l’olio. Con la frusta a gancio impastare a bassa velocità sino ad avere un composto morbido. Trasferire il tutto sulla spianatoia infarinata, e a mano concludere l’impasto, sino ad avere una palla liscia e compatta. A questo punto accendere il forno portandolo a 180°. Dividere l’impasto in due. Direttamente sulla carta da forno stendere ogni parte di pasta in una foglia di circa 1 cm di spessore e sagomare i due cavallini (a mano o utilizzando uno stencil di carta). Decorare con fantasia (io preferisco accennare appena le decorazioni, e poi concluderle dopo la cottura con cioccolato e glassa). Cuocere in forno caldo a 180° statico per 20 minuti.
Dopo la cottura aspettare che i due cavallini siano ben freddi, sciogliere il cioccolato tagliato a pezzetti a bagno maria senza aggiunta di liquidi, e con un pennellino ricoprire interamente la superficie del dolce. Quando il cioccolato sarà indurito si può terminare la decorazione mescolando lo zucchero a velo con poca acqua fredda (utilizzare una mini sac à poche, oppure con una “penna in silicone”).
Roberta Massa dice
Bellissimo racconto come sempre fai tu….immaginavo una mastodontica zia , tutta sporca di farina con voi bambini a gironzolare per la cucina…
La tua ricetta è molto invogliare e me la salvo…bravissima❤
Lucio pellicciotta dice
Salve di sono origine abruzzese, trasferito aMelbourne dopo i 30 ho iniziato a cucinare dolci tradizionali a Natale e Pasqua per trasmettere qualcosa della mia infanzia si nostri figli 3 femmine ed un maschio chi più e chi meno partecipa alla tradizione. Nelle nostre zone si fanno Pupe e Castelli. Questi ultimi somigliano più ad un tagliere a mezzaluna. La pupa veniva data dalla sposa allo sposo in segno di fecondita’ Della futura moglie. Le vecchie signore di una volta facevano queste pupe con un uovo poggiato sul ventre della una ed 2 strisce di pasta a mo di X . Sembra vi siano scolpiti raffiguranti pane a forma di donna con uovo a simboleggiare la maturità raggiunta con la crescita e fecondità. Il castello in e sembra rappresentasse che lo sposo era finanziariamente stabile per poter accudire alla futura famiglia.
Betulla dice
Gent. Lucio, la ringrazio tantissimo per il suo commento. Come spesso accade per la cucina regionale italiana di paese in paese (e quasi di casa in casa) le tradizioni cambiano, quindi questa differente versione di dolci pasquali abruzzesi di cui lei si ricorda (pupa e castello) mi sembra davvero interessante e curiosa. Proverò a dare questa forma al mio prossimo impasto del genere. Anche la spiegazione dell’uovo come simbolo di feconditò è molto bella e significativa. La ringrazio davvero, augurandole di proseguire e mantenere viva con i suoi figli la ricca tradizione dolciaria dell’amato Abruzzo! cordialmente
Paola dice
bellissimo post,belle le tradizioni anche se alcune volte biosgna un pò rimodernarle,brava,grqazie,io ho la forma di pupa,da fare
Gabriella Di Filippo dice
Avete dimenticato la dose della farina nella ricetta del cavallo?
Betulla dice
Scusatemi, la dose della farina per il cavallo è 250 g. Grazie mille per la segnalazione, e chiedo scusa per la svista, provvedo subito a modificare la ricetta!
Walter Rossi dice
Grazie di cuore. Sono ancora a letto, ho riso e pianto e mi hai riportato indietro di 50 anni. Chiaramente sono di origini abruzzesi e da ragazzo mi sono trasferito a Firenze. Da qui in avanti ti seguirò dappertutto e non voglio perdere di te nemmeno la lista della spesa del sabato mattina! Ancora grazie. Un abbraccio e Buona Pasqua. Ti mando dieci pupe e dieci cavalli virtuali ( ammuricciati come si dice a Firenze e bruciacchiato. Grazie ancora. Walter Rossi
Betulla dice
Caro Walter, il tuo commento è stato salvifico: questa mattina stavo guardando desolatamente la mia casa vuota, e l’idea di questa Pasqua in solitaria quarantena mi rendeva un po’ triste e spaesata. Poi però grazie a te mi sono ricordata di quella Pasqua tragicomica con i parenti abruzzesi in trasferta (e annessa produzione di dolci bacucchi e immangiabili). Mi è tornato buon umore, anzi ho telefonato subito alla mia mamma, e ai miei fratelli e insieme abbiamo ricordato ridendo il nostro trauma da “pupe&cavalli” con la zia/Pantagruel che impastava nella baccinella del bagnetto facendo scricchiolare le game del tavolo. Quindi sono io che ti ringrazio…oggi sarebbe stato un giorno più cupo se tu non mi avessi ricordato che in fondo ho superato ben di peggio! 😉 Auguri cari!