Cari amici,
ma voi ve la ricordate la mia “Isola dei dolci perduti”? La mia piccola isoletta dove accolgo dolcini desueti, dimenticati e antichi? Bene, con l’occasione del calendario Aifb, e dedicato oggi ai cibi tradizionali legati all’Epifania l’isola ha un nuovo ruspante abitante: il Galucio. Si tratta di una pagnottella a forma di gallo, che un tempo, nel basso Piemonte, era creata con i ritagli di pasta di pane (arricchiti di uova burro e zucchero), e cotti nel forno a legna per essere regalati ai bambini nei giorni di festa (tra Capodanno e l’Epifania). Come vi raccontai lo scorso anno per il Ciciu d’Capdan, l’uso di arricchire il pane con zucchero, e di dargli una forma antropomorfa o zoomorfa, era dovuta alla necessità di rendere eccezionale un cibo quotidiano e necessario come il pane. Lo stesso dolce, con forme e nomi diversi, lo si trova più o meno in tutto il Piemonte ( Cicho sucrà -bamboccio zuccherato- in Valle Varaita, Pritin in Valle Stura, Culumb nel bovesano, Bragton -Braghettone- nell’Alessandrino,e altrove anche Buàta -bambola-). Nello specifico le mie fonti libresche indicano il Galucio come tipico Monferrino, anche se, come sempre faccio quando mi entusiasmo per una ricetta, chiedendo a destra e a manca ho capito che il Galucio è un caro ricordo diffuso ai quattro angoli della regione, dal Cuneese passando per Alba, Bra fino alla città di Torino (pare ci fosse un panettiere in piazza Statuto che ne sfornava di sublimi). In ogni caso, mentre i miei galletti cuocevano in forno io sono andata a rileggermi una bella poesia di Nino Costa (arguto autore dialettale). Ve la copio qui, anche se è in dialetto, perché parla di un galletto (ma di latta), cioè di una banderuola, simile a quelle persone (pien-a ‘d babìa) che girano appunto dove il vento tira. Ecco, siccome siamo all’inizio dell’anno, e siccome non ho ancora fatto liste di buoni propositi, mi auguro per questo 2016 di frequentare solo galletti (e persone) autentici. Quelli con il cuore di burro, che danno alla mia vita il sapore del pane e il profumo delle brioches… Tutti gli altri, banderuole, e persone, di tola, le lascio in cima ai campanili a segnare il vento!
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Ël galucio
An sla ponta dël cioché
-i’é un galucio, caparucio,
fàit ëd tòla piturà:
tuta quanta la giornà
chiel a gira,
chiel as vira
da la part che ‘l vent a tira.
Ël paisan d’an mes la piassa,
quand ch’a passa,
minca tant a guarda an sù,
e as n’antaja -sù për giù-
com ël temp a varierà
da la mira
che ‘l galucio a l’é voltà.
Col galucio fàit ëd tòla
l’é pa tant na bëstia fòla
chiel a sa
ch’a l’é sémper bin piassà,
col ch’as vira
da la part che ‘l vent a tira,
e, guardand da sò cioché,
chiel a vëdd sël marciapé
tanta gent, pien-a ‘d babìa,
ch’a jë smija
ch’a veul nen ch’a sia dla dita
ma ant la vita
-gira ‘d sà, gira ‘d là-
a l’ha l’istessa teorìa
dël galucio piturà.
Nino Costa 1923
GALUCIO
Tutte le ricette tradizionali indicano pasta di pane arricchita con uova e burro, per cui io ho fatto i galletti con questa “pasta brioches”, che è un mio caro Jolly con cui preparo soffici panini dolci o salati a seconda dell’occasione. Per mantenere il sapore semplice di “pane zuccherato” non ho abbondato in zucchero: otterrete così un impasto delicato, perfetto a colazione, insieme alla marmellata. Se lo volete più dolce già in partenza, aumentate la dose di zucchero. Anche se non l’ho indicato tra gli ingredienti si può aromatizzare l’impasto con scorza di limone, arancia o fior d’arancio, a seconda dei gusti.
Ingredienti:
560 g di farina 00
250 ml di latte intero (+ un cucchiaio)
2 uova + 1 tuorlo (per spennellare)
5 g di lievito di birra disidratato
50 g di zucchero semolato (+ un cucchiaio per la superficie)
60 g di burro
5 g di sale
la polpa di mezza bacca di vaniglia (o una bustina di vanillina)
4 chiodi di garofano per fare gli occhi dei galletti
Procedimento:
1. Stemperare il lievito di birra in 100 ml di latte a temperatura ambiente, aggiungere 10 g di zucchero semolato, mescolare e lasciare che il lievito si attivi (comparirà una schiumetta in superficie). A parte, in un pentolino scaldare il latte rimasto (150 ml), unire 40 g di zucchero e il burro. Mescolare dolcemente finché il burro non sarà sciolto e lasciare intiepidire. In una ciotola con una frusta sbattere le due uova intere con questo composto di latte, burro e zucchero.
2. Setacciare la farina in una ciotola (o nel recipiente dell’impastatore), mescolarvi la polpa della bacca di vaniglia, e il sale. Formare una fontana e versarvi a poco a poco il lievito attivato e il composto di latte e uova. Incorporare gli ingredienti fino a ottenere un impasto morbido e appiccicoso.
3. Lavorare energicamente l’impasto per 10 minuti, o comunque sino a che non sarà liscio ed elastico (non deve più appiccicarsi alle mani). Trasferirlo in una ciotola imburrata e farlo lievitare coperto da un panno pulito per circa un’ora e mezza (deve raddoppiare di volume). Trascorso questo tempo sgonfiare l’impasto con piccoli pugni (premere con le nocche delle dita). Accendere il forno e portarlo a 180°. Trasferirlo sulla spianatoia infarinata e dividere l’impasto in quattro parti. Dare a ognuna di esse una forma circolare e piatta, disporle su un foglio di carta da forno nelle apposite teglie e ricavare in questo disco il Galucio (seguire la fotografia).
Spennellare il Galucio con un composto fatto di 1 turlo d’uovo emulsionato con un cucchiaio di latte, e cospargerlo abbondantemente di zucchero semolato. Cuocere in forno caldo a 180° per 25 minuti.
Bellissimo dolce! Che belle scoperte con il Calendario 😉 Buona Befana.
Ma è stupendo!
Troppo bello.. Ciò che deriva dalla tradizione ha un fascino ef una bontà particolare.
Fantastico!
Teresio è tornato 80 anni in dietro: ne riceveva due per ogni ricorrenza. Grazie!
Carinissimo in ogni senso, materiale e concettuale. Grazie per questa condivisione e un anno dolcissimo a te!
Troppo bello sto galletto! Le tradizioni che bella cosa! Un tesoro senza pari, leggere le storie dei vari dolci e del modo di chiamrli è la cosa più divertente! Sempre uun piacere leggervi!
ho un po’ di sangue piemontese nelle vene, per via della nonna alessandrina e di un piede costantemente tenuto al di là dei Giovi, per ragioni familiari e di cuore: e uno dei sogni nel cassetto, per la prossima vita, è quello di avere il tempo necessario per approfondire la gastronomia di una regione che andrebbe esplorata centimetro per centimetro, da tanto è ricca di sorprese e di bontà. E lo dico con la consapevolezza di chi di là dai Giovi ci è nato e ci è vissuto e ha sempre guardato con ammirazione alla ricchezza senza fine di un territorio generoso e di un popolo straordinario, capace di inventare tradizioni innovative, spesso anche raffinatissime-e di custodirle con orgoglio e rispetto.
Credo che mi inchioderò sul tuo blog 🙂
Grazie davvero.
Con i miei bambini, durante le vacanze, ho provato il Cicho sucrà: un successone, si sono divertiti e lo abbiamo divorato… anche se le feste sono passate proporrò loro anche il galuciu!
Grazie per le ricette!