Dopo innumerevoli puntate estive di “stradapanoramica” e #Betullablogazonzo torno finalmente a dedicarmi ai miei amati dolci perduti. Questi dolcetti ormai desueti, sono sempre nei miei pensieri, e nei miei girovagamenti non manco mai di stuzzicare la memoria delle persone che incontro cercando di scovarne qualcuno di nuovo da portare sulla mia piccola isoletta. Oggi vi parlo di uno di questi dolci perduti del Vecchio Piemonte, il Caritùn.
Dunque comincio dal nome, anticamente legato alla pratica della distribuzione dei “pani della carità” da parte delle confraternite laiche. Il termine, che designa una preparazione con pasta di pane zuccherata, è diffuso in una vasta area del Piemonte (è attestato in Val Po, nelle Langhe, nel Roero e nell’Astigiano). Tuttavia con lo stesso termine ci si riferisce a dolci molto diversi per ingredienti, forme e farciture. Insomma, il solito discorso che campanile che vai, Caritùn che trovi. Io qui ho rifatto il Caritùn tradizionale della pianura a sud di Torino, ovvero di tutta l’area del Pinerolese. In questa zona (in particolare nei comuni di Piobesi Torinese, Osasio, Pancalieri, Castagnole Piemonte, Lombriasco, Virle Piemonte, Carignano) il Caritùn è una sorta di grossa focaccia dolce confezionata con pasta di pane arricchita da burro e zucchero e farcita con acini d’uva o mele cotogne, o nei casi più antichi con pepe e zafferano (il mitico e insuperabile“Gran Dizionario piemontese-italiano” di Vittorio S. Albino del 1859 cita la “carità o pan santo o benedetto: così chiamasi una certa focaccia condita con pepe e zafferano e cotta nel forno”, preparata durante le feste patronali).
Si tratta di un dolce stagionale, strettamente legato alla usanza contadina di raccogliere nel tardo autunno grappoli di uva e porli a seccare nei luoghi asciutti della casa (il solaio o il fienile) in modo da avere una discreta riserva di frutta da consumare nel periodo invernale, o almeno fino a Natale (a questo proposito vedere la ricetta del Pan d’Natal, un dolce roerino farcito proprio con queste uve parzialmente disidratate sui filari). Con il tempo l’uso di generiche uve appassite è stato convertito nell’uso di uva fragola, magari per l’abbondante produzione di questa vite che in tante cascine piemontesi ricopre le caratteristiche “topie” (pergole), e che è utilizzabile solo per usi alimentari e non per vinificare (lo vieta una legge del 1931). Le occasioni per realizzare e distribuire questi pani della carità erano le più disparate, tutte comunque legate ai cicli agricoli del mondo contadino, o a momenti significativi della vita comunitaria (dalle antichissime datiche o daje – concesse dalla Chiesa ai poveri, alle festività patronali, o alla celebrazione del Santo Patrono).
In ogni caso ancora oggi nell’area del Pinerolese è ben attestata l’usanza di preparare questo dolce autunnale, che da qualche anno ormai è stato inserito all’interno del paniere dei prodotti tipici della Provincia di Torino e di recente ha ricevuto una “de.co” (denominazione comunale) dai Comuni di Piobesi Torinese e di Castagnole Piemonte.
Vista la mia passione per le cose bacucche, le ricorrenze dimenticate e per le vite dei Santi concludo questa mia introduzione con una curiosa nota di “colore storico”. Oggi è il primo ottobre, che in un tempo assai lontano era la data di ritorno a scuola dei bambini. Siccome il Santo celebrato il primo ottobre è San Remigio i bambini della prima elementare erano chiamati “remigini”. Ora, a parte questo aneddoto che mi racconta sempre la mia mamma, a Torino, in passato, era consuetudine distribuire ai poveri grano, vino e altri viveri, compresi i celebri “pani della carità”. Come detto tale fondazione caritatevole era chiamata daja o dàtica di S. Remigio, che nel tempo, con uno di quegli adorabili qui pro quo di cui solo l’etimologia popolare è capace, divenne la “daja di S. Rimedio”.
Segnalo infine che San Remigio è il Santo Patrono di Carignano, mentre a Piobesi e a Castagnola ogni anno c’è una Sagra del Caritùn. Invece nella città Torino la tradizione dei “pani della carità” sopravvive nell’annuale benedizione di San Giovanni effettuata ogni anno nel Duomo dal vescovo.
Caritùn
- 250 g farina 00
- 50 g burro
- 100 g zucchero
- 1 uovo intero
- 100 ml latte
- 3 g lievito di birra disidratato (pari a circa 12 g di quello fresco)
- 1 grappolo (grosso) di uva fragola
- semi di mezza bacca di vaniglia
Per la glassa di copertura:
- 30/40 g di zucchero
- 1 bianco d'uovo
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Lasciare il burro a temperatura ambiente per circa mezz’ora. In un pentolino scaldare appena il latte (deve essere solo tiepido). Stemperarvi quindi il lievito di birra. Sulla spianatoia fare una fontana con la farina bianca, aggiungere lo zucchero, l’uovo, i semi di vaniglia, il lievito stemperato nel latte e il burro tagliato a pezzetti. Impasta velocemente fino ad ottenere un impasto morbido e lasciare lievitare per un’ora circa in una ciotola coperta da un panno in un luogo riparato.
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Trascorso il tempo di lievitazione accendere il forno e portarlo a 180°. Trasferire la pasta sulla spianatoia infarinata e dividerla a metà. Direttamente su un foglio di carta da forno con il matterello stendere un primo disco di pasta (spessore circa 5 mm).
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Preparare l’uva fragola, lavandola e asciugandola bene: staccare dal grappolo gli acini e asciugarli uno per uno. Con molta pazienza sistemare sul disco di pasta gli acini di uva fragola. Di solito si procede con cerchi concentrici di acini o a spirale (fermatevi a circa 2 cm dal bordo del disco di pasta)! A questo punto cospargere gli acini con 50 g di zucchero circa.
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Sulla spianatoia infarinata stendere l’altra parte di pasta in un disco delle stesse dimensioni del primo. Con delicatezza adagiarlo sugli acini di uva fragola.
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Ripiegare i bordi del disco di pasta inferiore su quello superiore, infine sigillare premendo con i rebbi di una forchetta, oppure con un cucchiaio.
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In una ciotolina sbattere leggermente il bianco d’uovo e spennellare il Caritun. Cospargerlo di zucchero semolato (30/40 g circa). Incidere con un coltello affilato la superficie del dolce (bastano 4 tagli non incrociati). Trasferire delicatamente il dolce su una teglia da forno (tipo quelle per la pizza). Infornare per 30 minuti circa.
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Servire tiepido con vino rosso piemontese.
Il Caritun, che già nel nome è il dispregiativo di Caritìn, è un dolce molto rustico e semplice, per cui anche nell’aspetto bando alle precisioni da alta pasticceria. La vaniglia è una mia piccola variante, ma trovo che sia perfetta con il sapore acidulo dell’uva cotta.
ROSANNA dice
Magnífico e ricordo d’infanzia 🥰
Betulla dice
Grazie Rossana! è davvero un dolce speciale carico di significati e ricordi teneri! Buona serata…