
Da qualche anno ho preso la sanissima abitudine di comprarmi un bel libro sulla cucina locale in ogni posto che visito. Paese che vai, libro di cucina che trovi! Ho una vera e propria passione per le sezioni di Storia locale delle librerie, per i bookshop impolverati degli ecomusei, per le ristampe anastatiche dei piccoli editori, e per i guazzabugli colorati di certi bar-bazar-edicola-tabaccaio di paese! Lì, di solito, riesco a scovare certi libercoli desueti e sperduti, che accolgo con immenso entusiasmo nella mia collezione. Non mancano, ovviamente, episodi esilaranti a riguardo: dai treni persi per acchiappare al volo un remainder ESSENZIALE, al tesseramento inconsapevole in un’associazione culturale di cucina medievale, per non parlare della giornalaia che ha cercato di dissuadermi in ogni modo dall’acquisto di un libro di ricette “eccessivamente antiche e complesse per i tempi moderni”. Ebbene, io, invece cerco proprio quelli! Sul posto riesco a trovare i migliori… custodi coraggiosi di un sapere complesso, spigoloso, fuori tempo e fuori moda.
A inizio marzo sono stata a Trieste con Aifb per Oliocapitale (qui potete leggere il mio post a riguardo). Ovviamente non potevo tornare a casa senza uno di questi miei gloriosi cimeli libreschi. Da Ubik, libreria nella galleria della Piazza della Borsa, ho trovato questo grande classico della cucina triestina, il ricettario di Maria Stelvio.

Datato 1927, questo libro ha conosciuto una fortuna praticamente ininterrotta: di ristampa in ristampa è diventato il punto di riferimento della cultura gastronomica locale, oltre che il regalo perfetto per ogni fanciulla da marito. Devo essere sincera: in sua compagnia il viaggio di ritorno in treno verso Torino (durato ben 7 ore) è stato più lieve. Praticamente me lo sono gustato tutto: ho divorato le sue 1.200 ricette cullandomi beatamente nell’immaginare piatti e procedimenti dei tempi andati. Poi alla fine, ho letto per bene anche l’introduzione, e ho scoperto nell’autrice una figura interessantissima. Dunque, nelle prime pagine di questa ristampa c’è una specie di tributo davvero tenero: Annika, Marina e Tiziana raccontano la loro bisnonna, Maria Stelvio, non come semplice autrice di un libro di cucina, ma come una donna straordinaria, che nelle vicissitudini della vita è riuscita a mantenere la sua indipendenza e a difendere i propri ideali. Incredibilmente “moderna” e anticonformista in tempi in cui una donna sposata non poteva neppure continuare a fare la maestra elementare, Maria ha scritto questo ricettario per sua figlia Augusta. Queste sono le sue parole, tratte dall’introduzione:
«Dissi a mia figlia che andava a marito: ti compilerò un ricettario e dettaglierò la preparazione delle vivande in modo che tu, da profana, riesca a farti onore. […] Quando ebbi finito il libro, rileggendolo, pensai a tutte quelle fanciulle che, tolte dal loro lavoro professionale, passano lì per lì a fare le padrone di casa, senza conoscenza alcuna delle cose che riguardano la preparazione del vitto e compresi come tale inesperienza sia preludio di dissapori fra le giovani coppie, sia per il desinare mal riuscito, sia per lo sbilancio che ne consegue. Con queste considerazioni vi consegno il mio ricettario, perchè vi sia di guida e porti al focolare domestico, ove verrà accolto, fortuna e felicità ».
Totalmente privo di illustrazioni si tratta di uno di quei libri completi “dall’antipasto al dolce”, con bevande, idee per menù e consigli di igiene&Co.per “novizie”, di quelli che ormai non si trovano più nella nostra epoca di iperspecializzazione. Abituali a libri di massimo un centinaio di pagine dedicati alla “tecnica di arrotolamento con grazia dell’acciuga intorno all’oliva per l’aperitivo in piedi” strabuzziamo decisamente gli occhi per un capitolo dedicato al pollo aperto dalla premessa su come sgozzarlo, e da come gestirne le interiora. A parte che quelli intorno al 1927 non erano anni in cui ci si perdeva più di tanto in dibattiti “di civiltà” pro o contro carne…io sono proprio contenta che la ristampa abbia mantenuto integro il contenuto del testo: trovo utilissimo ragionare sul fatto che fino a l’altro ieri mangiare era soprattutto arte d’ingegno, e coraggio, (quando significava anche uccidere con le proprie mani un animale). Inoltre mi sembra di leggere cose che potrebbe avere scritto la mia nonna, o una vecchia zia di mia mamma, che, vissuta fino a 94 anni, era stata eletta il Killer di fiducia della famiglia: era rimasta l’unica in grado di uccidere senza rimorsi un pennuto pasciuto!
Insomma, tempi andati davvero…ciò nonostante la signora Maria ha davvero un’infinità di buoni consigli per padroneggiare fornelli, ingredienti e cucina triestina da perfetta padrona di casa.


Io ho scelto queste ciambelline perché ero in cerca di un biscottino leggerissimo e poco dolce per la colazione. E poi anche perché per tradizione i padrini il giorno della cresima regalavano una ghirlanda di questi dolcetti ai loro figliocci secondo il detto “bezi, basi e bussolai no i xe boni se no i xe assai” (soldi, baci e bussolai non sono buoni se non sono tanti)! Ora, non sono riuscita a trovare da nessuna parte una foto della signora Maria Stelvio, ma io me la immagino come una delle fatemadrine della Bella Addormentata, che svolazzando intorno alla credenza diffonde bontà e letizia sulle cucine delle giovani donne che consultano il suo libro…
BUONE LETTURE: Maria Stelvio, La Cucina Triestina, LINT editoriale, Trieste 2015, 25 euro.
“Buzolài triestini di Maria Stelvio”
Ingredienti:
500 g di farina
100 g di zucchero (io ne ho messi 200 + quello per cospargere le ciambelline)
1 dl di vino bianco
raschiatura di mezzo limone
sale
lievito in polvere (ne ho messi due cucchiaini)
100 g di burro
Procedimento:
Ammucchiare la farina passata al setaccio sulla spianatoia, farvi una fossetta e mettervi dentro l’uovo, lo zucchero, il vino, il sale, la raschiatura di limone e un po’ di lievito in polvere. Con una spatola mescolare il liquido assorbendo pochissima farina finchè tutti gli ingredienti saranno ben sciolti e amalgamati; aggiungere il burro leggermente rammollito e incorporare la farina. Formare con la pasta dei lunghi filoncini, tagliarli all’altezza di circa 15 cm, unirli a mo’ di ciambelline che prenderanno nome di buzolai. (A questo punto io li ho spennellati di acqua e ho tuffato le ciambelline in un piatto fondo colmo di zucchero). Disporli su una lamiera unta e cuocerli a forno moderato (io 180°) per quindici minuti.
Grazie ,è veramente interessante il tuo articolo!!!
Amo anch’io i libri di cucina e faccio incetta in ogni dove….
Che bella quest’abitudine che ti segue di città in città 🙂 Questo libro deve essere interessantissimo e mi ha fatto sorridere l’immagine che ti sei fatta della signora Maria 😛
Un manuale da cui prendere spunto e tu sei partita proprio da una ricetta golosissima e perfettamente in sintonia con i tempi moderni 🙂
Complimenti cara e felice serata <3
Allora cara amica mia, ti aspetto a Vicenza: a casa mia di libri di cucina vicentina dei “tempi andati” ve n’è più d’uno. Tutti rigorosamente con la carta ingiallita e con tanto di introduzioni e consigli per le giovani cuoche-novelle spose. Bella figura questa signora Maria. Questi dolcetti sono diffusi anche in Veneto, anche nella versione “big”, a ‘mo di torta
Ciao, ti ho vista ieri in tv su tele 2000 alle prese con la crostata eliolina,
mi hai incuriosita. Utilizzo la pagina di mio marito in quanto per scelta non ne posseggo una. Simpaticamente Marinella
signora Betulla buongiorno! lieto veramente che abbia apprezzato la mia città ed il libro della Stelvio. La mia mamma ormai più di settanta anni fa giunse novella sposa a Trieste e senza la Stelvio non avrebbe saputo cosa fare! Il libro però è figliastro di un celebre libro di fine ottocento, diffuso in tutta l’area mitteleuropea, quindi anche qui da noi, il “Manuale di cucina” di Katarina Prato, edito a Graz nel 1892 e vincitore di numerosi premi all’epoca. La Stelvio ha arricchito la parte sul pesce che nella vecchia cucina austroungarica era poco praticata e per la verità le radici austroungariche si notano anche nella Stelvio con parecchie metodologie diciamo rivedibili per il pesce. La parte sui dolci è invece completa e straordinaria in tutte e due perché la cucina austroungarica era ed è ancora oggi una delle migliori al mondo nella pasticceria. Le due scrittrici hanno in comune la semplicità con cui trattano ricette storiche che le fanno sembrare addirittura facili ed in effetti proprio tanto difficili non sono. Parlo della Sacher della Dobos della Pischinger degli Indianerkrapfen e così via. Manuale di cucina di Katharina Prato ed. Adamo Gorizia. Questa è la ristampa di una quarantina d’anni fa. Non ho idea se si trovi ancora ma se ripassa troverà altre pagine ingiallite e consigli di un tempo che fu come la “testa di maiale farcita” ovviamente presentata intera… cordialmente. Lucio Biekar
Gent.Sig Lucio, per prima cosa mi scuso per il ritardo con cui rispondo. La ringrazio tantissimo per il commento che mi ha lasciato ricco di ricordi teneri (la sua mamma con il libro della Stelvio) e di suggerimenti davvero preziosi per me e per questo piccolo spazio che si nutre di libri, di letture curiose e di belle storie. Non conoscevo affatto il ricettario di Katarina Prato, nè il legame con la Stelvio (io vivo esattamente all’altro capo dell’arco alpino e “la mitteleuropa”-con le sue ricette- è piuttosto lontana), e le sono davvero grata di avermene parlato. In questi giorni ho fatto qualche ricerca on line, e se tutto va bene dovrei riuscire a procurarmi il volume (in una ristampa moderna). Non appena l’avrò tra le mani spero di trovare una ricetta riproducibile nella mia cucina (ecco, magari un po’ meno scenografica e impegnativa della testa di maiale farcita” 😉 ) e farne un post, ovviamente citandola per la deliziosa suggestione. Grazie davvero,è una soddisfazione davvero grande vedere che un lettore arrivato per caso sul mio blog aggiunga un pezzo alla storia raccontata da me, abbia voglia cioè di contribuire e di interagire. La aggiorno sugli sviluppi della mia “caccia al tesoro” libresca. Buona giornata, con la speranza che torni a trovarmi!