Per prepararmi alla serata su “Il mistero è donna” di venerdì 7 marzo ho letto “An Autobiography” di Agatha Christie! Ne sono rimasta affascinata: è stata una lettura piacevolissima, dolce e tenera come lo sono i ricordi più affettuosi e cari di una grande famiglia. Avete presente quei cassetti di un comò antico che da sempre contengono tutte le memorie importanti della casa? Lettere, fotografie, cartoline, ninnoli, stoffe e quisquilie varie che agli occhi del mondo sono irrilevanti, ma che per noi hanno un significato speciale? “La mia vita” di Agatha Christie è come guardare con lei in quel cassetto profumato di buono e d’antico, dove il tempo si è stratificato.
Certo, somiglia incredibilmente al racconto di una persona anziana: a volte lucida, saggia e consapevole, altre malinconica, o ripetitiva. Oltretutto la scrittrice ci ha impiegato ben 15 anni per portarla a compimento, proprio perché ha preferito indulgere nel piacere di ricordare senza affannarsi nel rispettare una scadenza di pubblicazione. Ma se amate il genere autobiografico questa è senza dubbio una lettura preziosa e interessantissima: la storia di una donna che ha vissuto in un romanzo, e che per vivere ne ha scritti tantissimi intrecciando mondi, personaggi e realtà come in finissimi pizzi.
Mi è rimasta nel cuore la parte dedicata all’infanzia, con la descrizione di Jane, cuoca di Ashfield, la casa dove Agatha è cresciuta. Sembra di vedere Jane lì davanti, maestosa e indaffarata, che sforna biscottini per l’ora del tè. Agatha dice che erano pieni zeppi di uvetta, sottili e croccanti (a differenza delle solite rock cake che invece somigliano a sassi tondi). Insomma, queste righe sono talmente evocative che mi è venuta voglia di mettermi a impastare. In fondo si entra nello spirito di una grande scrittrice anche cercando di assaggiare i suoi sapori. Esiste una fiorente curiosissima letteratura dedicata ai cibi, spesso mortali, dei gialli di Agatha Christie (su tutti il delizioso “Il delitto è servito” di Maurizio Gelati che vedete anche in foto), ma io oggi volevo semplicemente entrare nella cucina della bimba Agatha Mary Clarissa Miller, per sentire che sapore avevano i suoi biscotti preferiti.
La ricetta di questi biscotti economici e fragranti è liberamente ispirata al meraviglioso “Book of Cake” di Delia Smith’s.
Vi aspetto venerdì sera 7 marzo alla biblioteca di Valdieri (h.21, Casa Lovera, Piazza della Resistenza 28).
p.s: grazie di cuore alla mia amica Anna per il centrino che si vede nella fotografia. Lo farò meglio con un post apposito, intanto però grazie per avermi affidato queste meraviglie incantate perfettamente in sintonia con la mia cucina bacucca!
da Agatha Christie, “La mia vita”, 1978, Milano, Mondadori:
Un’altra persona importante, in casa nostra, era Jane, la cuoca che governava la cucina con la tranquilla superiorità di una regina. Era entrata al nostro servizio, appena promossa da sguattera, che era una smilza diciannovenne e vi era rimasta quarant’anni, crescendo proporzionalmente di peso fino ad arrivare a circa un quintale. Mai una volta, in tutto questo tempo, si era abbandonata all’emozione, ma quando finalmente, cedendo alle insistenze del fratello, decise di andare a vivere presso di lui, in Cornovaglia, con il compito di tenergli la casa, al momento della partenza lacrime silenziose le scesero lungo le guance. Il suo unico bagaglio era costituito da un baule, forse lo stesso con cui era arrivata. In tutti quegli anni non aveva messo nulla da parte.[…]
In cucina si mangiava da re. Alle undici, dopo un’abbondante prima colazione, arrivava una deliziosa cioccolata calda, corredata da un piatto di biscotti e di focaccine o, a volte, di dolcini caldi ripieni di marmellata. Il pasto di mezzogiorno aveva luogo dopo il nostro e, per tradizione, la cucina era tabù fino alle tre. Mia madre mi aveva insegnato a non andare a disturbare in cucina durante il pasto: «È un momento riservato, non dobbiamo essere invadenti». […]
Non devo fare altro che chiudere gli occhi per rivedere Jane che si muove maestosa nella sua cucina, con l’ampio busto, i fianchi enormi e una cintura inamidata a delimitarle la vita. La sua obesità non sembrava infastidirla. Non si lamentò mai dei dolori ai piedi, alle ginocchia o alle caviglie e, se ebbe delle alterazioni della pressione, non le diedero il minimo disturbo. Non mi pare che sia mai stata ammalata. Era sempre di una calma olimpica, superiore a ogni umana emozione. Non eccedeva né in coccole né in severità; solo nei giorni in cui era indaffarata nella preparazione di qualche pranzo importante, si accendeva leggermente in viso. L’intensa calma della sua personalità ne era come scossa; il viso era un po’ più arrossato del solito, le labbra le si stringevano e sulla fronte le compariva qualche linea di preoccupazione. Erano i giorni in cui venivo bandita dalla cucina con fermezza. «Suvvia signorina Agatha, oggi non ho tempi, ho molte cose da fare. Adesso le do una manciata di uvetta e poi via, in giardino, e badi di non tornare più a disturbarmi». Io me ne andavo immediatamente, intimorita.
I tratti più salienti del carattere di Jane erano il riserbo e un certo distacco. Sapevamo che aveva un fratello ma, per il resto, ignoravamo quasi tutto della sua famiglia. Non ne parlava mai. Veniva dalla Cornovaglia ed era comunemente chiamata «Signora Rowe», anche se non era che un titolo di cortesia. Come tutti i buoni domestici sapeva stare al suo posto che, nel caso specifico, era un posto di comando, cosa che non mancava mai di far notare a tutti quelli che lavoravano in casa.
Jane doveva essere orgogliosa degli splendidi piatti che preparava, ma non lo faceva vedere e non ne parlava mai. Accettava i complimenti per il pranzo il mattino seguente senza reazione apparente, anche se sono convinta che provasse una profonda soddisfazione quando mio padre entrava in cucina per congratularsi con lei. […]
L’ora del tè in cucina era spesso un avvenimento sociale. Jane aveva un gran numero di amiche e ce n’era sempre qualcuna che andava a trovarla quasi ogni giorno. Dal forni uscivano interi vassoi di biscottini. In vita mia non ne ho più assaggiati di simili. Erano piatti, croccanti e cn l’uvetta: mangiati caldi erano sublimi. Nonostante l’aria mite e vagamente bovina, Jane era rigida come un sergente di giornata. Se qualcuno dei domestici si alzava da tavola prima della fine del pasto, veniva immediatamente richiamato all’ordine: «Non ho ancora finito, Florence», e Florence, confusa, si rimetteva a sedere mormorando «Mi scusi, signora Rowe».
ROCK CAKES
ispirate liberamente a Delia Smith’s Book of Cakes
Farina 00 350 g (oppure 175 g integrale e 175 bianca)
Un pizzico di sale
2 cucchiaini rasi di lievito in polvere
La punta di un cucchiaino di spezie miste per dolci
Una grattata generosa di noce moscata
175 g di burro (a temperatura ambiente)
175 g di zucchero di canna**
75 g di uvetta sultanina*
25 g di scorza di arancia o di cedro candita*
1 uovo
1-2 cucchiai di latte
* ovviamente si può variare la qualità di uvetta (Corinto, Chile…), o sistituirla con cramberry, mirtilli neri, scorze candite secondo i gusti. Basta stare intorno ai 100 g totali di frutta disidratata aggiunta.
** so che “soft brown sugar” indicato da Delia sarebbe un’altra cosa, ma io ho usato del semplice zucchero di canna chiaro e sono soddisfatta.
Procedimento (per circa 24 rock cake da 4/5 cm di diametro):
1. Preparare due teglie da forno per coprendone il fondo con carta da forno. Accendere il forno impostandolo a 180° ventilato. Rompere l’uovo in una ciotolina e sbatterlo un poco con una forchetta; tenerlo a disposizione.
2. In una terrina capiente setacciare la farina, il sale, il lievito, lo zucchero e le spezie (il misto e la noce moscata grattata fresca). Mescolare bene le polveri, quindi unire il burro tagliato a dadini. Mescolare energicamente con una forchetta o con le mani sabbiando il composto che deve risultare grossolano come del pangrattato. Unire quindi la frutta disidratata e mescolare bene. Infine aggiungere l’uovo leggermente sbattuto. Mescolare e compattare rapidamente l’impasto (non eccedere nella lavorazione, deve stare a mala pena insieme). Solo se necessario unire 1 cucchiaio di latte per impastare meglio.

3. Delia consiglia di usare due forchette, ma io per pigrizia ho utilizzato un forma cookie dell’Ikea (ma va benissimo un cucchiaio o una pinza per palline di gelato). Insomma basta usare qualcosa che prelevi dalla ciotola una dose regolare di impasto e trasferirlo a mucchietti sulla teglia. A questo punto anche se le rock cake sono generalmente tonde come sassi io le ho appiattite un po’ con i rebbi di una forchetta. Agatha raccontava di rock cake sottili e croccanti quindi ho lasciato l’aspetto grezzo e roccioso, ma le ho rese più simili a dei piccoli cookie.
4. Infornare e cuocere a 180° ventilato per circa 20 minuti. Dovranno avere un bel colore dorato. Aspettare che siano ben fredde prima di spostarle. Si conservano per diversi giorni in una scatola di latta chiusa ermeticamente.
Le provo oggi.
Poi vi dirò
Sper che i dolcetti amati da Agatha le siano piaciuti!