Da giovincella ho fatto parecchie stagioni come aiuto cuoco in un ristorante della Valle Stura. Era la classica ruspante osteria di paese la cui forza risiedeva in un menù semplice, ma tipico, preparato con le eccellenze della valle. Tra i primi riscuotevano enorme successo i “crusèt”, che proprio all’epoca venivano riscoperti dalla ristorazione professionale come piatto caratteristico (nelle cucine domestiche nessuno li ha mai dimenticati). Il capo cuoco li acquistava direttamente da alcune donne del posto, che li confezionavano appositamente e ce li portavano freschi freschi un paio di volte a settimana (sì, lo so, ora le norme igieniche non sono più così disinvolte). Vista la crescente richiesta anche da altri ristoranti e da privati, senza avvisaglia alcuna, un bel giorno “le signore dei crusèt” decisero di aumentare il prezzo della loro laboriosa pasta fresca. Il fronte compatto di signore voleva 2.000 lire in più al kg. Per il mio capo cuoco, e anche per noi in cucina, fu un giorno nefasto. Nessuno gli si poteva avvicinare: si sentiva tradito e offeso. Come proprietario del ristorante si considerava uno degli artefici della nuova popolarità dei crusèt, dicendo che senza il suo lavoro paziente con i clienti, senza i suoi consigli e le sue spiegazioni, nessuno di passaggio in valle, li avrebbe mangiati, apprezzati e conosciuti. Farli preparare alle donne del posto era per lui motivo di orgoglio: da un lato l’autenticità del prodotto offerto, dall’altro una specie di indotto che ricadeva sul suo amato paese. Furibondo si chiuse in ufficio del un paio d’ore e quando tornò in cucina la sentenza era decisa. Con l’aumento non avrebbe avuto un margine di guadagno sufficiente così d’ora in avanti i crusèt li avremmo fatti noi. Anzi, siccome in cucina eravamo solo in tre, i crusèt li avrei fatti io, che ero l’addetta ai primi. Praticamente un dramma. Sono passati 20 anni, ma quella mattina me la ricorderò per sempre. Di punto in bianco dovevo diventare una produttrice seriale di crusèt! Inizialmente mi affiancarono l’anziana madre del cuoco, la quale però probabilmente nutriva un segreto rancore verso questa pasta (doveva averne fatta troppa nel corso della vita). Realizzare crusèt secondo lei era pari ad un percorso di sofferenza, preghiere, e mosse fortunate (come acchiappare un “buon partito” insomma), e mi farciva continuamente la testa con la storia delle pieghe, che al centro di un crusèt perfetto non dovevano essere meno di 6, ma meglio 9 o 12. Atterrita io sognavo i crusèt anche di notte, e dedicavo loro le mie già esigue ore di pausa. Concentrata sulle pieghe erano più i crusèt che bucavo che quelli appena presentabili. Il ristorante però continuava ad aprire i battenti ogni santo mezzogiorno e ogni sera, con i tanto richiesti crusèt nel menù, mentre l’ultima scorta delle signore della valle stavano per finire. Non c’era tempo da perdere, così il cuoco, estremamente pragmatico, cambiò d’ufficio l’insegnante. Organizzò l’incontro con una signora francese, detta scherzosamente “Gourmandine”, sua amica di vecchia data (i crusèt sono la pasta tipica da un lato e dall’altro del Colle della Maddalena, quindi sia in Valle Stura che in Ubaye). Per fortuna la signora mi rassicurò! Diceva che fare i crusèt era solo una questione di impasto: “ni trop dure, ni trop molle”! Non credere a chi ti racconta che “il faut avoir un pouce à crousets”, mi disse. “Tutte le donne hanno un pollice, e tu sei una cuoca al lavoro in una trattoria, e non una superstiziosa fanciulla dei tempi andati in cerca di un marito facilmente impressionabile. N’est pas, ma petite?”
Sotto l’occhio vigile di Gourmandine, per sera c’erano in carta i miei crusèt. Perfetti, nella consistenza e nel sapore, e nelle loro 3 o 4 pieghe (specialmente in un ristorante non ne servono di più, perché tanto in cottura si allentano e spariscono). Il piatto simbolo del locale era salvo, e il mio capo, per anni, ha raccontato con orgoglio l’episodio e la mia prontezza di spirito, oltre naturalmente a propormi come buona sposa -con dote di crusèt- a tutti i suoi amici (piuttosto attempati direi) che passavano per caso dalla cucina del ristorante! Io ovviamente ho imparato la lezione: il mondo del cibo è ammantato di credenze. Che sono anche curiose e antropologicamente interessantissime, se prima o poi non incontri qualcuno che ti convince, a suon di leggende e aneddoti, che puoi cucinare certe cose solo se, bontà divina, nasci cresci e respiri l’aria di certi luoghi. A scriverla sembra un’assurdità, e invece poi a farci caso, questo atteggiamento “gastro nazionalistico” è molto diffuso.
Panzane. Panzane limitanti. Cucinare è un sapere. Come tutti i saperi non giunge dal cielo per diritto divino, non si eredita alla nascita, non è un dono. Certo, c’è chi è più o meno portato, c’è chi ha più talento, ma un sapere si acquisisce, con studio, allenamento, prove. E come ripeteva sempre la cara “Gourmandine”: «Rien n’est impossible à ceux qui tentent!».
Motto di cui, in cucina, come nella vita, ho fatto tesoro!
Specifico che i Crusèt sono terreno di continue e mai risolte polemiche Per prima cosa il nome, o meglio la grafia, che può essere resa in maniera molto diversa a seconda della filosofia linguistica cui si appartiene – Croset; Crouset; Crouzet; Crouzèt…- io preferisco quasi sempre scrivere il dialetto come si legge per cui ho scelto “Crusèt” (che permette a chi non è piemontese di pronunciare correttamente il nome di questa pasta). Segue la disputa su come si realizzano: strisciandoli in avanti o indietro (all’italiana) o da sinistra verso destra (alla Francese)? Provate in entrambi i modi, la risposta è : come vi riesce meglio. Poi c’è l’infinito confronto con le orecchiette…con cui i Cruset condividono la forma a incavo e, forse, nella notte dei tempi, la leggendaria Regina Giovanna I d’Angiò, regina di Napoli e Contessa di Provenza (in occitano la celebre “Reino Giano”), che avrebbe portato da un capo all’altro dell’Italia il curioso formato di pasta fresca (da dove a dove verrebbe da chiedersi?, ma la verità è che alla povera donna sono attribuite tante e tali stramberie, che una in più non nuoce alla sua già ambigua reputazione). Sottolineo che qualche tempo fa che per curiosità sono andata a lezione di orecchiette da una gentile signora che mi ha spalancato un mondo sulle tantissime varietà di pasta fresca incavata presenti nel nostro Meridione. Ebbene a me orecchiette&C. continuano a sembrare completamente diverse da questi crusèt, ma evidentemente c’è chi ama accapigliarsi in improbabili confronti paesani. Detto questo c’è ancora la questione del condimento: forse il più antico era la “bagna grigia” (cioè con i formaggi), ma la rinascita contemporanea dei Cruset li vuole abbinati ai porri. Insomma, io vi ho scritto entrambe le salse…fate a vostro piacimento, e godetevi questa pasta straordinaria (meglio senza polemiche che tanto non migliorano il gusto!). 😉
Cruset della Valle Stura
Ingredienti per 4 porzioni:
Per la pasta:
500 g di farina
1 uovo (circa 50 g)
1 cucchiaio di olio (circa 10 g)
mezzo picchiere di acqua tiepida (tra 100 e 200 ml)
un pizzico di sale
+farina per la spianatoia (in termini di correttezza filologica questa è un’eresia, ma se usate la farina di grano duro per la spianatoia di Cruset si arricciano ancora meglio)!
Per la salsa ai porri:
burro
2 porri piccoli (meglio di Cervere)
brodo di carne
latte
sale e pepe nero macinato fresco
Per la “bagna grisa” (salsa grigia):
burro
cipolla
latte
avanzi di formaggio stagionato
sale e pepe nero macinato fresco
Procedimento:
In una ciotolina battere leggermente l’uovo con il cucchiaio d’olio e il pizzico di sale. Disporre la farina a fontana, porvi al centro l’uovo sbattuto con olio e sale, unire poco per volta la quantità d’acqua tiepida necessaria a ottenere un impasto morbido ma consistente (indicativamente 150 ml). A questo punto fare riposare la pasta per una mezz’oretta sotto una ciotola o un canovaccio. Trascorso questo tempo tagliare la pasta e lavorarla realizzando delle specie di grissini. Tagliare questi filoncini in pezzettini di circa 2 o 3 cm (utilizzare l’apposito raschietto, o un coltello a lama liscia, o un tarocco affilato). Ora infarinare bene la spianatoia con la farina, e infarinare ancor meglio il proprio pollice. Esercitando pressione sulla sezione laterale del piccolo cilindretto di pasta che avete davanti, trascinatelo dolcemente in avanti, (oppure da sinistra verso destra) schiacciandolo leggermente al centro contro il legno della spianatoia ben infarinata.
Il trucco sta nel trovare l’esatta la pressione del pollice che permette di fare arricciare la pasta senza bucarla. Ovviamente prima di prendere il ritmo e familiarizzare con il gesto, diversi Cruset si bucheranno, ma non demordete: non è così difficile riuscire a realizzare Cruset con 3 o 4 belle pieghe. Come anticipato il mondo dei cruset è variegato: c’è chi li realizza piccoli piccoli, e chi, man mano che si sale verso l’alta valle e la Francia, realizza dei cruset grossi (sui 5 cm) e arricciati da tantissime pieghe. Sappiate che più è largo il cilindretto, più il cruset sarà grosso; ma attenzione, specialmente all’inizio è più facile fare cruset un poco più piccoli, anche se con meno pieghe. Dopo avere creato questa specie di coppetta concava e riccia rivoltatela. Man mano che realizzate i cruset metteteli a riposare su teli di stoffa infarinati o sugli appositi vassoi in cartone “millerighe” per la pasta fresca. Una volta terminato l’impasto dedicatevi ai condimenti. Entrambi sono tradizionali e adattissimi a questo formato di pasta così particolare.
Per la salsa ai porri:
-Tagliate i porri a rondelle sottilissime. Fare sciogliere in un tegame un poco di burro e farvi rosolare bene i porri a fuoco vivo, irrorare con un mestolo di buon brodo di carne e incoperchiare. Fate stufare dolcemente per circa un quarto d’ora, rimestando ogni tanto fino a che il liquido non sarà completamente assorbito. Bagnate con un bicchiere di latte fresco intero, e di nuovo fare stufare a fuoco basso sino a che il porro si disferà quasi completamente. Salare e pepare secondo i gusti.
Per la “bagna grisa” (salsa grigia):
Affettate sottilissimamente la grossa cipolla bianca e soffriggerla nel burro, aggiungete due bicchieri di latte rimestando per qualche minuto. Aggiungete il formaggio stagionato grattugiato (tipo Nostrale), o a pezzetti grossolani, e una generosa grattata di pepe nero. Proseguite a fuoco bassissimo la cottura finché il formaggio non sarà completamente sciolto e la salsa sarà addensata.
Per servire:
Fate bollire una pentola abbondante di acqua salata, buttate i cruset e cuocerli fino a ripresa dell’ ebollizione (circa 2/3 minuti). Nel frattempo scaldate a fuoco basso la salsa di condimento in una padella capiente. Scolate i Cruset e trasferiteli nella padella con la salsa. Regolate bene i condimenti secondo i gusti e servite, eventualmente con qualche rametto di timo fresco (si adatta a entrambe le salse).
N.B: come sempre TUTTE le foto sono mie, non sono utilizzabili senza permesso, anzi, chi le ruba incappa nella terribile maledizione delle “torte mosce” e dei dolci crudi! ?
Olga Castellino dice
Per pura curiosità sto cercando in modo molto autonomo, di riprodurre i crusèt. Il risultato non è malvagio, ma aver appreso che l’impasto non va troppo molle, che deve riposare e che bisogna rivoltarli, riproverò sicuramente. Ho provato a farli senza uovo e solo rimasti informa o meglio non si sono disfatti, ma provetto anche con queste dosi che avete scritto. Grazie dei suggerimenti. Olga Castellino
Leila dice
Bellissimi!!! Ci proverò ma soprattutto le salse sono molto invitanti!!
Bruna Orso dice
Grazie ottima spiegazione
Adelina dice
Anche nella nostra zona, Arquata Scrivia in provincia di Alessandria,c è un tipo di pasta molto simile anche nel nome,corzetti. Alcuni, più tradizionalmente fanno l ‘impasto con l’uovo, altri solo farina e acqua. A pochi chilometri di distanza,a Novi Ligure con il termine corzetto stampato, si intende un tipo di lasagna rotonda con impresso lo stemma di famiglia.
Betulla dice
Sì è davvero molto interessante vedere come allo stesso nome, in luoghi lontani, corrispondano formati di pasta molto simili tra loro! Il suo commento mi ha fatto ricordare che ho uno stampo per i corzetti liguri (se non sbaglio in legno di pero), ma non ho ancora provato a usarlo! In ogni caso grazie di cuore per avermi scritto e segnalato queste curiose “varianti”! A presto…
Adriana dice
Grazie delle esaurienti spiegazioni. sono molto incuriosita di questa ricetta di ui nessuno dei miei amici conosce l’esistenza, pur essendo piemontesi.
Posso stampare e diffonderla tra i miei conoscenti?
Betulla dice
Cara Adriana, le ho inviato privatamente la ricetta dei Cruset in modo che possa stamparsela a casa. Purtroppo sul blog il tasto destro è bloccato in maniera da evitare la copia illecita di contenuti e fotografie. Grazie per la comprensione!
Antonio dice
Brava bellissimo post. Un giorno provo a farli con il loro sugo tipico da te riproposto. C’è siruramente parentela con l’orecchietta tipica pugliese.
Betulla dice
Grazie mille, sono molto felice che questa ricetta incuriosisca!