Ispirata dalle bellissime fotografie (e anche dal bellissimo libro) con cui Paola autrice del blog Prelibata ha partecipato al mio #Pagineaifornellicontest ho iniziato a pensare a come l’uso delle ostie sia diffuso nei dolci tradizionali di tutta Italia. Non nego che la scintilla si è accesa sul ferro da stiro antico (pieno di braci ardenti) che Paola ha usato con maestria per rendere attraverso le immagini l’atmosfera della stireria del Monastero della Madonna del Soccorso dove la protagonista, Costanza, osserva le monache che appattavano (accoppiavano) due a due le ostie rotte per produrre piccole cialde fragranti profumate di cannella&Paradiso (il libro ispiratore è “La zia Marchesa” di Simonetta Agnello Hornby ). Come dicevo il ferro da stiro mi ha illuminata, perché anche in Piemonte esiste un dolce indissolubilmente legato ai conventi, prima, e al ferro da stiro, poi. Sto parlando della “Copeta”, il cui nome deriva direttamente dall’arabo “qubbiat” che significa mandorlato, e che dagli stessi conventi dove si producevano le ostie per la messa si è diffusa in tutto il basso Piemonte, dal’ Monregalese all’ Alessandrino. Naturalmente sono molte le regioni d’Italia in cui esiste un dolce simile (simile anche nel nome), ovvero due ostie farcite con una specie di croccante di mandorle, universalmente riconosciuto come progenitore del Torrone. In questa precisa area geografica però, e in particolare nella città di Dogliani (la porta dell’alta Langa) la Copeta ha assunto una caratteristica che la rende unica: la farcitura è fatta con noci, ma soprattutto con nocciole “tonda gentile” che le colline circostanti (patrimonio dell’UNESCO) producono generosamente. Che si tratta di un dolce antichissimo lo si capisce dalla sua semplicità, e nelle versioni più autentiche (e arcaiche) nell’assenza totale di zucchero: il miele era scaldato sul fuoco con della scorza di limone, e una volta ottenuto un liquido ambrato vi si aggiungeva la frutta secca per avere un impasto piuttosto grossolano con cui farcire i due dischetti di ostia. Vi chiederete cosa ha a che spartire tutto ciò con il ferro da stiro. Bene, se nel tempo la Copeta è uscita dai conventi per entrare nelle case della gente comune come dolce legato al periodo più freddo dell’anno (tra Natale e Carnevale), e se quindi le donne di casa preferivano acquistare le ostie già fatte nei conventi, dal panettiere o addirittura in farmacia, l’uso del ferro è rimasto strettamente legato alla preparazione del dolce. Per ottenere delle Copete perfette occorre un peso che schiacci le ostie evitando che queste, a contatto con la farcitura umida si arriccino. In una cucina dei tempi passati c’era sempre sulla stufa a legna (la stufa economica in piemontese si chiama putagè) almeno un pesante ferro da stiro in ghisa pronto per stirare i panni, che all’occorrenza diventava un valido attrezzo da cucina. In effetti, garantisco che le mie prove comparative di “pressa” con un semplice pesta bistecche e con un ferro vecchio bacucco hanno rivelato come quest’ultimo sia imbattibile per realizzare Copete perfette.
Infine, nulla è per caso su #Betullablog. Oggi è il 17 Gennaio, Sant’Antonio. Che ho la fissa dei Santi e del loro legame con il mondo contadino già lo sapete. Non entro nel dettaglio della vita di questo pover’uomo (padre del monachesimo) che con una indiscussa vita ascetica e totalmente priva dei piaceri della gola (pare lo nutrisse un corvo due volte all’anno con un tozzo di pane, e che grazie a questo sia vissuto per ben 105 anni), e senza mai varcare i confini egiziani, è misteriosamente diventato nel nostro paese uno dei Santi più amati, festeggiati, e soprattutto uno dei Santi a cui si legano più preparazioni gastronomiche e festeggiamenti (goderecci) popolari. I misteri della fede, e specialmente quelli della panza, sono insondabili! Io vi segnalo però come anche le Copete, in alcune zone dell’Alessandrino si leghino a Sant’Antonio divenendo appunto le “Coppete di Sant’Antonio” (come tali iscritte dalla Regione Piemonte tra i PAT -prodotto agroalimentare tradizionale). Ho cercato davvero tanto, in archivi e biblioteche e cucine, per darvi maggiori indicazioni a proposito di questo legame con Sant’Antonio, ma per ora non ho trovato nulla di più consistente se non la preparazione del dolce nello stesso periodo invernale di festeggiamento del Santo . Non escludo prima o poi di arrivare al fondo del bandolo della matassa, e aggiornare il post con maggiori approfondimenti…
COPETA di DOGLIANI (o COPPETTE di SANT’ANTONIO)
Ingredienti (per 12 copete):
24 ostie da 8 o 10 cm di diametro (si ricavano comodamente da 2 fogli/ostia in formato A4)
120 g tra noci e nocciole
120 g di miele millefiori
la scorza grattugiata di mezzo limone bio
Procedimento:
-Se non trovate le ostie rotonde (in genere goffrate in superficie) ritagliate i dischetti dal foglio di ostia. Se appoggiate il foglio su della carta da cucina o su un canovaccio vi basterà appoggiarvi in maniera energica un copapasta del diametro di 8 o 10 cm per avere un segno visibile da seguire per ritagliare bene il dischetto.
-Tritare grossolanamente su un tagliere la frutta secca (le nocciole saranno divise a metà e lo stesso per i gherigli di noce). Mettere il miele in una casseruola con la scorza grattugiata di mezzo e scaldarlo dolcemente. Non appena la superficie si copre di schiuma unire la frutta secca e mescolare con un cucchiaio di legno. In pochi minuti di cottura (circa 3) il miele assumerà un colore caramellato.
Fate molta attenzione che il miele non cuocia troppo o rischiate di dare una nota amara a tutto il dolce (perdendo acqua in cottura il miele caramella molto rapidamente). Spegnere il fuoco e cominciare a realizzare le copete ponendo una cucchiaiata di questo composto al centro di un’ostia e coprendola con un’altra. Porre la copeta così formata sotto un peso (se non avete un vecchio ferro di ghisa usate un pesta bistecche) e procedete fino all’esaurimento del composto (mi raccomando, maneggiate con cura il tutto perché il miele bollente è ustionante quanto lo zucchero caldo). Va da sè che se volete un ferro vecchio oltre che pulirlo minuziosamente conviene usare dei dischetti di ostia vuoti tra la copeta e la base del ferro!
-Attendere un paio di ore prima di consumare le croccantissime copete (dimenticavo, sono un genere di dolce che teme l’umidità, per cui conservatele in un vaso di vetro o in una latta con chiusura ermetica).
N.B: per completezza vi dico che c’è chi utilizza noci e nocciole tostate in precedenza, e chi preferisce eliminare la pellicina della frutta secca prima di aggiungerla al miele, poi c’è chi utilizza lo zucchero unito al miele, e chi macina noci e nocciole finemente. Io propongo qui una versione antica del dolce (e tutt’ora molto praticata nella zona), che prevede la frutta secca quasi intera per ottenere una copeta alta circa 1 cm e piuttosto rustica.
Cristina dice
Cara Betulla, è sempre un godimento leggerti. Anch’io ho il ferro bacucco, simile a quello della foto, apparteneva alla bisnonna di..mia mamma ! Non le ho mai fatte le coppette ma ne ho gustate della tipologia abruzzese che in aggiunta alla frutta secca avevano scorze candite di arancia
Betulla dice
Cristina cara! vero che è incredibile fermarsi a riflettere su quello che ora è -se va bene- un vecchio soprammobile acchiappapolvere? sulle vite incredibilmente diverse, complesse, lente dei nostri antenati (cosa doveva essere stirare con quel pezzo di ghisa rovente?). è curiosa, poi, la doppia funzione del ferro, che sempre caldo sulla stufa, diventava comodamente un peso per i dolci…Le coppette abruzzesi che hai assaggiato erano avvolte nelle foglie di alloro? Io conosco solo questa versione senza ostie (probabilmente ancora più ancestrale)! a presto dolcissima amica!
Francesca Schellino dice
Bellissimo articolo! Sono nata a Dogliani e ho sempre amato le “cupete”, è bello saperne di più!
Betulla dice
Cara Francesca, grazie di cuore per il tuo messaggio…è un picere sapere di aver scritto qualcosa di interessante anche per qualcuno che è proprio di Dogliani! A presto!