All’università ho seguito un paio di corsi di Storia dell’arte medievale. Mi ricordo ancora l’aula a gradoni, in penombra, e la voce dolcissima e saggia della professoressa che descriveva e spiegava le immagini proiettate sul muro dietro alla cattedra. Grazie a questa straordinaria insegnante mi sono letteralmente innamorata dell’arte medievale, e delle miniature, tanto che custodisco con cura religiosa i quaderni di appunti presi a lezione: ogni tanto vado a rileggermeli, e vi dirò di più, coltivo in segreto il sogno assurdo di vedere personalmente tutti i capolavori studiati in classe. Al centro del corso del primo anno c’era il mecenatismo artistico nella Francia del Quattrocento, e nello specifico uno dei codici miniati più famosi e citati del mondo “Les trés Riches Heures du Duc du Berry” (un libro d’ore, cioè un libro di preghiere per la devozione privata, derivate dal breviario, composto, di solito, da un calendario, da un salterio , e da alcuni uffici disposti secondo l’ordine liturgico). Le miniature di questo codice sono l’emblema della raffinatezza cortese: ognuna rappresenta un microcosmo ricchissimo di dettagli, in cui la realtà della natura, con i suoi cambiamenti stagionali (la mutazione della luce, dei colori, delle occupazioni umane, che variano di mese in mese), e la vita della corte (i castelli di proprietà di Berry), si svolgono sotto cielo rappresentativo di un solido ordine cosmico (divinità astrali e dei segni zodiacali).
Insomma, viste una volta, e mai più dimenticate. Così alla prima occasione buona (io e ladolcemetà a Parigi per qualche mese in una deliziosa mansardina), ho organizzato la visita al castello di Chantilly, dove tali capolavori sono custoditi.
Il castello si trova nell’omonima cittadina (département de l’Oise, région Hauts-de-France), a meno di un’ora da Parigi (esistono gite organizzate e costosissime, ma noi ci siamo andati comodamente da soli in treno dalla Gare du Nord -25 min). Dunque, il castello originario, passato alla storia come la residenza del Grand Condé (quello della Fronda), è stato allegramente raso al suolo dalla Rivoluzione. Quello che si vede oggi fu ricostruito tra il 1875 da Honoré Daumet per accogliere le collezioni di Enrico d’Orléan, con l’intento di riportare il maniero all’antico splendore per farne un museo (il Museo Condé).
Il benefattore, che donò poi Chantilly all’Institut de France, dispose nel suo testamento che il museo dovesse rimanere immutato nel tempo (i quadri sono disposti su più livelli, quasi disordinati per il gusto di oggi): oggi la sua collezione ricchissima di opere d’arte lo rende secondo in Francia soltanto al Louvre. Detto questo, cioè che il castello è uno scrigno sospeso sull’acqua che custodisce opere meravigliose e una biblioteca mozzafiato da 30.000 pregevolissimi volumi, devo anche dirvi che solo lì ho scoperto con solenne delusione che “Les trés Riches Heures du Duc du Berry” non sono visibili.
Certo, avrei potuto arrivarci da sola: un capolavoro mondiale, dal valore indiscusso, dipinto su pergamena di 600 anni fa, scampato per caso e fortuna ai tormenti dei secoli è bene che stia al riparo in un caveau e non esposto al pubblico no? (e comunque essendo un manoscritto se ne sarebbero potuto vederne al massimo due pagine)! Consolata dalla bellezza di tutto il resto, e di una meno fragile riproduzione in fondo alla biblioteca (oltre che dal dvd del codice che mi sono portata a casa), inizia qui un’altra storia, di quelle che con curiosità e stupore mescolano sempre cultura e cucina nella mia vita.
Chantilly è nota ai più non tanto per castello, codici miniati, e strepitose scuderie, ma per essere il nome della celeberrima crème. Certo, noi italiani spesso chiamiamo Chantilly l’unione felicissima di crema pasticcera e panna montata (che dovrebbe dirsi “diplomatica”), mentre in Francia la Chantilly indica una panna montata con zucchero. Ma anche tralasciando il glicemico, confusionario dettaglio, la storia del cibo di intreccia come un’edera a quella ufficiale! 😉
L’invenzione di questa crema è spesso attribuita alla triste figura di Vatel. Negli anni 2000 su di lui è anche stato fatto anche un film (lo interpretavano Gérard Depardieu e una Uma Turman terribilmente fuori luogo). Nel caso però non l’aveste visto -e forse è meglio così, perché non è affatto fedele alla Storia- vi racconto che Vatel era il maître d’hôtel di Luigi II di Borbone-Condé, detto il “Grand Condé”, cugino del re e proprietario di Chantilly. Nel 1671, Vatel fu incaricato di organizzare l’accoglienza di Luigi XIV a Chantilly per suggellare la delicata riconciliazione tra i due cugini. Dal 23 al 25 aprile Chantilly si sarebbe trasformata nella sede di una favolosa festa offerta al re e alla sua corte: un susseguirsi interminabile di pasti, luminarie, cacce e altri regali divertissements. Vatel sovraintendeva mirabilmente al tutto, ma gli imprevisti continui (il re era arrivato con una corte di 6.000 persone) e la mole di lavoro enorme misero a dura prova i suoi nervi, già logorati da 12 notti insonni dedicate alla complessa organizzazione. Fu così che convinto erroneamente che il pesce ordinato dai porti vicini non sarebbe mai arrivato in tempo per il pasto del venerdì a causa della marea avversa, Vatel, incapace di sopportare il peso del fallimento, si suicida.
Ispirata senza dubbio dalla tragica vicenda, e da queste difficoltà degli approvvigionamenti, nacque anche la leggenda secondo la quale, in penuria di panna, Vatel si fosse messo a sbatterla per aumentarne il volume, creando così la celebre “Chantilly”. Per quanto seducente (e riportato in ogni dove, compreso il film sopracitato), l’aneddoto è completamente falso perché in realtà occorre aspettare il 1755 per trovare la prima attestazione scritta della Chantilly intesa come “crème fouettée” (Le soupers de la Coeur, di Menon), e addirittura il 1784, e le parole della baronessa Marie Féodorovna per trovare la crème Chantilly, proprio a Chantilly (« jamais elle n’a mangé d’aussi bonne crème, aussi appétissante et aussi apprêtée. Il y avait un certain plat de fruits conservés et de primeurs mêlés ensemble, enveloppés de mousse, de fleurettes des champs avec des nids d’oiseaux aux quatre coins, qui formaient le plus joli coup d’œil possible»).
Ciò non toglie che castello, arte, parco, e crema Chantilly con frutta fresca siano davvero una delle tante meraviglie di Francia (poco conosciute pur nell’orbita della sfavillante capitale). Di seguito trovate la ricetta della Chantilly servita semplicemente a cucchiate in una tazza, o in un piattino, con fragole così come l’ho mangiata le due volte che sono stata a pranzo nel ristorante del parco del castello (Le restaurant du Hameau nel vecchio mulino del borgo). E se per caso vi venisse da pensare che panna montata con zucchero è un po’ una scoperta dell’acqua calda, vi ricordo che fino a qualche decennio fa si montava la panna a mano con una verga di salice o di betulla e poco più tardi con la frusta in metallo, cosa che rende l’impresa particolarmente ardua (quasi inimmaginabile per noi abituati a robot e fruste elettriche).
A presto cari amici! con la speranza di aver saziato spirito e gola raccontandovi una storia bella quanto un cigno bianco, o un ciuffo di panna montata! 😉
BIBLIOGRAFIA:
Su “Les trés Riches Heures du Duc du Berry”:
-Jan Bialostocki, Il Quattrocento nell’Europa settentrionale, Torino, UTET, 1989.
Su Vatel e sulla Crème Chantilly:
-Francesca Sgorbati Bosi, A tavola coi re, La cucina ai tempo di Luigi XIV e Luigi XV, Palermo, Sellerio Editore, 2017. (Questo lavoro è davvero esauriente e particolarmente ben scritto. Io l’ho trovato utilissimo per approfondire l’argomento, compresa la figura di Vatel -che non era uno chef, ma un maître d’hôtel-, e i diversi ricettari che nei secoli citano la crème).
–Le Grand Larousse Gastronomique, 2009.
–La grande enciclopedia illustrata della gastronomia, a cura di Marco Guarnaschelli Gotti, Reader’s Digest, 1990.
-Il sito dell’ufficio del turismo della città di Chantilly.
Crème Chantilly
Ingredienti:
100 ml di panna fresca da montare (controllate la quantità di materia grassa contenuta: deve essere almeno al 35%) fredda di frigorifero
20 g di zucchero a velo
i semi di 2 cm di bacca di vaniglia
fragoline fresche per servire
Sono necessari: la ciotola/contenitore (meglio in vetro) in cui monterete la panna deve stare 15/20 minuti nel freezer. Fruste elettriche, o frusta.
Procedimento:
Rovesciare la panna nella ciotola che è stata almeno un quarto d’ora in freezer, aggiungere i semi di mezza bacca di vaniglia e lo zucchero a velo. Sbattere energicamente la panna con le fruste elettriche (o a mano per i più temerari) fino a che la panna si inspessisce formando delle onde.
Come specificato sul sito dell’ufficio del turismo di Chantilly (e chi meglio di loro): « La crème est montée en Chantilly lorsqu’en sortant le fouet de la crème, une boucle apparaît et les vagues conservent leur forme » (la panna è montata in Chantilly quando togliendo la frusta dal composto rimane un “becco”e le onde mantengono la loro forma). Attenzione che a questo punto bastano due colpi di troppo con la frusta per trasformare una fantastica Chantilly in burro!
Servire con frutta fresca. Come vi ho detto noi italiani tendiamo a servire la Chantilly passandola attraverso il becco di una sac-à-poche(“barocchiziamo” volentieri i nostri dolci!), mentre sia nel parco del castello, che in generale nella zona l’ho sempre vista servita a cucchiaiate con frutta fresca. Siccome queste cucchiaiate mantengono la rusticità di un dolce nato praticamente sulla porta della stalla, io la servo così …che poi metta la Chantilly dentro alle tazzine di Limoges è un altro discorso! 😉
N.B: come sempre tutte le altre fotografie sono mie e non autorizzo nessuno ad utilizzarle. Grazie!
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