Sono sempre più soddisfatta di questo mio piccolo spazio web. Betulla è un mondo che me ne ha spalancati altri mille: ho conosciuto persone affascinati, ascoltato storie bellissime, assaggiato cibi e prodotti incredibili, ho cucinato dove mai avrei sperato, ho amicizie golose sparpagliate in tutta Italia, e pezzetti di cuore e zucchero in giro per il mondo. Ma c’è una cosa per cui sarò eternamente grata al mio blog: piano piano anche le persone che ho più vicine si sono appassionate a questo mio spazio. Ci tengono, partecipano, mi pensano. Chi mi mette da parte una vecchia persiana azzurra, chi mi regala il servizio di lionesi della zia, chi mi presta una tazza da consommé dell’Ottocento, chi mi suggerisce un libro, e chi pazienta mezz’ora con un muffin in mano affinché io trovi la giusta luce. Ma la cosa più bella in assoluto è quando qualcuno si prende la briga di regalarmi il tempo per fare una ricetta insieme, raccontandomene la storia. Io ho una teoria: una ricetta fatta insieme, passo a passo, mi rimarrà per sempre negli occhi e nel cuore. Così oggi ringrazio immensamente il signor Teresio, per avermi regalato questa ricetta dimenticata e i suoi ricordi. Lui è il custode di una cucina antica e ormai perduta. Questa ricetta apparteneva a sua mamma, Orsolina, una di quelle donne di casa che all’inizio del secolo scorso hanno dovuto essere anche straordinariamente sagge, ingegnose, forti e coraggiose per fare in modo che la propria famiglia potesse attraversare i tempi burrascosi che era costretta a vivere. Si tratta di un piatto della festa, il piatto principale del pranzo della domenica. Orsolina viveva nel Roero, in una cascina sulle colline. Nell’economia di una piccolissima azienda agricola a produzione frutticola la primavera era il momento peggiore per le scorte alimentari: il ricavato delle vendite dell’anno precedente era quasi esaurito, e le pesche di maggio non erano ancora mature. Orsolina però, neppure nei tempi più “grami”, ha mai rinunciato ad allietare i suoi famigliari con un buon pasto. Nei mesi di febbraio, marzo e aprile si facevano grandi economie, ma la domenica c’era comunque in tavola un piatto speciale. Non c’erano carni pregiate (arrosti o brasati) con cui riempire i classici agnolotti, ma Orsolina trovava comunque il modo di fare i ravioli. Anzi, le raviole (perchè in piemontese è femminile). Queste sono Raviole Turge. Ovvero “raviole sterili”. Turge in dialetto non è proprio un aggettivo diciamo edificante. Veniva attribuito alle vacche ormai esauste, quando, dopo tante gravidanze, perdevano la loro funzione riproduttiva. Di conseguenza queste “raviole” sono vuote…condite appena con un ragout rustico a base di rigaglie di pollo e funghi primaverili.
Le Raviole Turge di Orsolina sono quindi dei maltagliati con quello che noi oggi chiamiamo ragout paesano o contadino. Adesso ci fa sorridere l’ostinazione nel definirle comunque “raviole”… ma come spesso accade nei tempi tristi l’illusione (anche della definizione) aiutava ad andare avanti. É un piatto completamente dimenticato. Nonostante abbia cercato in numerosissimi libri specializzati nella cucina roerina, langarola, piemontese, nonostante abbia chiesto ad ogni anima pia esperta di cucina, non ho trovato nessuno, a parte Teresio, che conservasse memoria di questo piatto e di questo nome. Insomma, sono raviole povere, ma ormai preziosissime. Le condivido volentieri con voi, perchè sono sicura che mi aiuterete a farle sopravvivere. In onore di Orsolina e del suo affascinante sapere contadino.
Orsolina è la signora vestita di nero alla sinistra nella foto, Teresio è il ragazzo a cavallo
(1950 circa)
Cascina della famiglia di Orsolina
RAVIOLE TURGE DI ORSOLINA
Come detto questa è una ricetta primaverile e rustica. Con Teresio abbiamo voluto farla adesso ammodernandola un po’, quindi sulla sinistra trovate la versione “filologica” di Orsolina, e tra parentesi le nostre varianti. Questa è una dose abbondante, sufficiente per un pranzo di 4 persone più la cena serale (per tradizione la sera o il giorno successivo le Raviole Turge si ripassano in padella con olio d’oliva acquistando croccantezza e un sapore inimitabile)!
Ingredienti:
Per la pasta
300 g di farina 00 + quella necessaria a spolverizzare la spianatoia e le sfoglie di pasta
3 uova intere
eventualmente mezzo bicchiere d’acqua fredda
Per il Ragout:
– 500 g tra fegatini, creste e ventrigli -di pollo e di coniglio- (sostituibili con 3 hg di macinata di maiale e 2 hg di pasta di salsiccia)
-500 g di passata di pomodoro
-2 o 3 spugnole (sostituibili con 4 o 5 funghi porcini secchi)
-1 carota
-mezza cipolla
-un bicchiere di vino rosso
-2 cucchiai di olio
-un rametto di rosmarino
-2 foglie di alloro
-2 spicchi di aglio
qualche foglia di prezzemolo tritata
mezzo litro, circa, di brodo vegetale caldo
Procedimento:
Per il Ragout:
-Se si usano i funghi secchi metterli a bagno in acqua tiepida per almeno 10 minuti.
-Sul tagliere tritare finemente la cipolla, e affettare a rondelline (o a mezze rondelle) la carota.
-In un pentolino scaldare due cucchiai di olio extravergine d’olio d’oliva. Farvi appena rosolare il rametto di rosmarino e due spicchi di aglio, poi aggiungere carota e cipolla.
-Quando il soffritto sarà dorato aggiungere la carne (se usate fegatini, creste e ventrigli tagliateli a dadini molto piccoli). Mescolatela con cura fino a che non avrà cambiato colore (Teresio dice “diventa grigia”). A questo punto sfumare con un bel bicchiere di vino rosso. Aspettare che il liquido sia tutto evaporato, poi aggiungere la passata di pomodoro, i funghi secchi ben scolati (o freschi a dadini se è stagione), e le due foglie di alloro. Mescolare bene, e ogni volta che il composto asciuga aggiungere un mestolo di brodo vegetale bollente.
-Cuocere a fuoco bassissimo per un’ora e mezza sorvegliandolo di continuo. A fine cottura aggiungere qualche foglia di prezzemolo tritato.
Per la Pasta:
Sulla spianatoia disporre la farina setacciata a fontana, rompere le uova al centro. Impastare rapidamente aggiungeno solo alla fine (se necessario) qualche cucchiaio di acqua fredda. Una volta ottenuto un composto omogeneo e liscio dividerlo in cinque o sei pezzi. Sfogliarli nell’Imperia con lo spessore maggiore, poi via via assottigliarli. Tagliare le sfoglie infarinate a quadrati irregolari di circa 4 o 5 cm di lato, usando la classica rondellina dentata. Disporli man mano su un panno infarinato. Portare a bollore una grande pentola di acqua calda salata. Cuocervi delicatamente le raviole. Scaldare il ragout, e tenerlo pronto. Disporre sul fondo del piatto di portata 3 o quattro cucchiai di ragout (togliere aglio e foglie di alloro). Non appena le raviole rinvengono scolarle con una schiumarola (nelle foto potete vedere il gesto tipico di battere il manico della schiumarola con un cucchiaio per scolare bene). Adagiarle delicatamente nel piatto da portata. Unendo man mano che si scolano, qualche cucchiaio di ragout caldo.
Spolverizzare il vassoio con abbondante parmigiano e servire caldissime.
MARIA AUSILIA SANTORO dice
la presentazione della ricetta è molto bella; idonea a rievocare i bei momenti antichi. Anche l’inserimento delle fotografie è il tocco che completa il quadro. Complimenti. Aspettiamo altri interessanti visioni e letture. Maria Ausilia Santoro
S&V a colazione dice
Raviole ricche di ricordi e tradizioni, ma soprattutto della passione di chi ti ha regalato una ricetta così preziosa… Come si può chiamarle “povere” dopo tutto questo?
Un abbraccio cara Betulla e complimenti questa passione che trasmetti anche a noi.
V.
Franca Merz dice
cara Betullina, che bei ricordi……devo dire che sono stati abili a rifare le raviole e tu bravissima a raccontare. Franca
Betulla dice
Grazie Franca…ogni tanto è bello usare la cucina per ricordare il passato: storie e vite così importanti meriterebbero ben di più delle paginette del mio blog…ma anche questo è un modo per mantenerne viva la memoria!Grazie di cuore per questi giorni passati insieme…Sei una donna straordinaria, e una cuoca sopraffina!ti scrivo presto…
Lucia Garrone dice
Carissima BETULLA ti scrivo per farti i complimenti. Sono capitata sul tuo blog per caso (cercando informazioni sui CROUSET e soprattutto sulla differenza rispetto alle più “famose” orecchiette) e mi sono innamorata…delle tue foto, delle tue spiegazioni, dei tuoi consigli (oltre ovviamente delle ricette, che ho trascritto sul libricino).
Bravissima: stai veramente conservando e dando nuova luce alla splendida tradizione, culinaria e non, del Piemonte (Basso Piemonte, come lo chiamiamo noi alle pendici del Monte Rosa).
Complimenti. Di cuore
Lucia
Betulla dice
Cara Lucia, che bello leggere le tue parole! E che onore sapere che le mie ricette sono state trascritte su un tuo libricino. Non è sempre facile “raccontare” e tenere viva la cucina tradizionale …ma i messaggi come il tuo mi riempiono il cuore, e mi fanno capire che questo patrimonio di “storie buone” può arrivare molto lontano, dall’altra parte dello schermo, nelle cucine di tanti appassionati golosi e curiosi. Grazie davvero per questo caro messaggio.Un abbraccio grande, Beatrice