Come promesso ecco il post interamente dedicato all’ Ecomuseo di Sant’Anna di Valdieri e al pittoresco universo che gli ruota intorno (Lo viòl di Tàit , La Festa della segale e il Pan Barbarià). In questa calda estate ogni fuga sui monti è stata per me l’occasione per esplorare un mondo fatto di campi in pendenza e di spighe dorate e altissime. Come spesso mi succede, la scintilla si è accesa su un libro, o meglio su una serie di etnotesti di inizio secolo raccolti sulle vallate alpine della provincia di Cuneo: tutti i riferimenti all’alimentazione comprendevano la segale, e così, di pagina in pagina la mia curiosità si è trasformata nella decisione che avrei dedicato i mesi estivi ad approfondire la conoscenza di questo antichissimo cereale. Non potevo non cominciare da questo delizioso ecomuseo che si trova in Alta Valle Gesso nel piccolo paese di Sant’Anna di Valdieri (in provincia di Cuneo).
Inaugurato nel 2009 nell’edificio che un tempo ospitava una delle osterie del paese, l’Ecomuseo della Civiltà della Segale non è tanto una sede espositiva in senso stretto, quanto più un contenitore di tradizioni e storie della vallata che nella segale hanno il loro denominatore comune. La visita al museo comincia con uno spazio in cui si può familiarizzare con la segale (si può vedere – e toccare – la granella di segale, e i chicchi di altri cereali, vederne le spighe altissime e scoprire le numerose curiosità botaniche sui rulli installati a parete come “semi di curiosità”.
Nell’ambiente successivo una parete a fasce colorate illustra il “cammino” della segale dalla preistoria sino a noi, con particolare attenzione alla sua presenza nei miti, nei riti e nelle credenze religiose di tutta Europa. Dei totem rotanti, insieme a dei video, riportano l’uso della segale nell’alimentazione, e nelle bevande alcoliche come birra, wisky e surrogato del caffè. Mentre al piano inferiore sono presentati gli usi della segale nell’artigianato (dalle sedie, ai cesti, alle antiche arnie villiche per la produzione di miele, i cappellini, le “cannucce per bibite, fino agli usi più moderni, come la carta paglia, gli isolanti per la bioedilizia senza trascurare la sua importanza nella chimica e nell’industria farmaceutica…). Non poteva mancare, infine un approfondimento dedicato esclusivamente ai celebri “tetti di paglia” che caratterizzano questa porzione meridionale delle alpi, ovvero alla documentazione delle diverse tecniche costruttive per realizzare questa particolare copertura delle case. Il museo (che apre tutto l’anno su richiesta: tel. 0171 976800 – info@parcoalpimarittime.it. ) è particolarmente ben fatto, e proprio per la sua semplicità e immediatezza risulta e adatto a una visita curiosa “di famiglia”.
Come già anticipato in questo mio precedente post l’ecomuseo è al centro di una serie di percorsi e attività strettamente legate a questo cereale e all’importanza che rivestiva (e che forse tornerà ad avere) in queste “terre alte”della provincia granda (tanto belle e preziose da essere protette dal Parco delle Alpi Marittime). Vi ho parlato con entusiasmo del bellissimo anello tekking “Lo viòl di Tàit” (e anche della versione da pc “Lo viòl que parla”), ma se non siete dei camminatori provetti “ da scarponi” potete divertirvi a scoprire i numerosi murales presenti sulle case del paese: uno spaccato (illustrato) della vita di Sant’Anna dei tempi andati , quando la segale era al centro della stentata economia alpina, e i Savoia salivano ogni estate su queste montagne per andare a caccia di stambecchi. Dietro al museo si trova un grande forno a legna costruito di recente per i corsi di panificazione dedicati al pan barbarià -il pane nero di segale e grano- (tenuti dalla mitica Ida, la signora del pane di Sant’Anna).
Dal 1992 le attività dell’ecomuseo culminano ogni agosto nella variopinta Festa della segale cui partecipa con affetto sincero tutta la comunità. La festa, che vede un corteo storico attraversare l’abitato, è l’occasione (sempre più rara ormai) di rivedere il gesto ancestrale della battitura manuale delle spighe (oltre che quella di acquistare le leccornie gastronomiche della zona, e di ammirare un piccolo mercatino delle pulci).
Tra le tantissime feste popolari (o pseudo tali) in cui volente o nolente mi imbatto, questa conserva quell’aspetto genuino e sentito che mi commuove, e mi fa sperare, ogni anno, di tornare quello successivo: voglio rivedere la battitura della segale, (anche se a ogni edizione, come in tutte le anziane comunità di montagna, Sant’Anna conta gli assenti, e piange coloro che parteciperanno alla festa dal cielo), voglio mangiare polenta&salsiccia della pro loco seduta in un prato ascoltando musiche occitane, voglio vedere la sfilata storica, con le signore che sfoggiano i loro cappellini di paglia, i grembiuli a fiori, e i sorrisi delle grandi occasioni; voglio vedere il gran cacciatore, i doganieri, e la Contessa, e i bambini seduti sui covoni di paglia. Voglio immergermi in questo piccolo mondo antico che non esiste più, ma che forte delle sue radici profonde, torna ogni estate a germogliare!
La Festa della Segale , organizzata ogni anno a metà agosto dalla comunità locale con il Parco delle Alpi Marittime, rappresenta la sopravvivenza del legame fortissimo e simbiotico tra gli abitanti di queste borgate con il rustico cereale. La segale si inseriva perfettamente nell’organizzazione delle attività lavorative delle comunità montanare: la semina avveniva tra agosto e ottobre (secondo l’altitudine), e comunque in seguito al rientro del bestiame dall’alpeggio, per essere raccolta fra metà luglio e metà agosto dell’anno successivo (mediamente cioè dopo 14 mesi). Tutta la popolazione era impegnata nella mietitura: gli steli andavano tagliati il più vicino possibile al terreno per una buona resa anche della paglia (usata per la copertura dei tetti), quindi c’era chi tagliava, e chi legava i covoni, che dopo qualche giorno di essiccazione all’aria venivano battuti per recuperare la granella.
Le lunghe spighe raccolte venivano battute sull’aia con il correggiato (nelle Alpi Marittime chiamato “cavaglio”), uno strumento composto da due bastoni uniti al centro da una striscia di cuoio.
Uno dei due bastoni aveva funzione di manico, mentre l’altro veniva fatto roteare con forza dal battitore come un battacchio (l’operazione è piuttosto complessa e difficoltosa). La granella di segale ottenuta dopo questa operazione era utilizzata per produrre l’alimento base della dieta montanara, ovvero il pane nero (si trattava di pagnotte scure, dal sapore acidulo: era un pane cotto una sola volta l’anno nei forni comunitari, nel tardo autunno o inizio inverno, e conservato per i successivi dodici mesi su apposite rastrelliere in legno; con il passare del tempo il pane si induriva, tanto che per consumarlo lo si doveva frantumare a fatica con un apposito coltello agganciato ad un pesante tagliere).
Cinzia dice
Bellissimo articolo, Grazie.