Prima di conoscere Nadia, la preparatissima super guida di The West Side of Italy, Lagnasco era per me solo il nome scritto sulle cassette della frutta del mercato. Diciamo che avevo idea della sua collocazione geografica (nel Saluzzese, in provincia di Cuneo), ma me l’immaginano come un paese di mezza collina un po’ anonimo, circondato da immense distese di alberi da frutta. Invece a Lagnasco c’è un castello delizioso, che un lungo restauro ha restituito al Piemonte come uno dei suoi esempi più raffinati della stagione manierista.
Evolutosi da un fortilizio militare del XII secolo, il Castello di Lagnasco è in realtà un “complesso castellato”, ovvero stratificazione secolare di ben tre castelli, il castello di Levante, quello di Mezzo e quello di Ponente.
Se i castelli e la loro storia mi piacciono tanto, penso sempre che riportare date, nomi e nozioni fuori dal contesto di una visita in loco o fuori dalla pagina di wikipedia mi risultano di una noia mortale (tutte info che comunque potete trovare qui e qui). Bene, sappiate che la figura centrale del castello di Lagnasco è tale Benedetto I Emanuele Tapparelli. La sua biografia è piuttosto scarna, in compenso potete vederlo qui, in un ritratto che, enigmatico, attraversa i secoli.
Benedetto, che al culmine della carriera durante le guerre italiane tra Francia ed Impero, era giudice generale e governatore di Saluzzo al servizio di Francesco I re di Francia, al termine del conflitto diede inizio a imponenti lavori di ristrutturazione e di abbellimento della sua residenza (dal 1569 al 1572), radunando proprio a Lagnasco i capiscuola dell’arte del tardo Rinascimento piemontese (reduci da importanti esperienze professionali e di studio nella Roma pontificia dove erano attivi Giulio Romano e Raffaello).
Quegli artisti trasformarono la sua dimora secondo il gusto dell’epoca: dopo la scoperta a Roma della Domus Aurea (chiamata anche Grotte di Nerone perché interrata nei secoli) le grottesche erano di gran moda. Arrivarono anche a Lagnasco, i cui castelli divennero un fantasioso, bizzarro susseguirsi di sale e ambienti decorati in cui il raffinato Benedetto, cultore della letteratura e della poesia, poté concludere serenamente i suoi anni.
Il sogno elegante di questo mecenate (una sorta di “Magnifico” piemontese), è denso di figure affascinanti, di simbolismi, di rimandi allegorici e mitologici.
C’è un solo però di cui mi dispiaccio seriamente…e cioè che a differenza di altre residenze nobiliari italiane, questa sia davvero poco conosciuta. Un gran peccato, e un’ottima occasione per organizzarci una gitarella di quelle insolite e di sostanza che si conciliano con il primo autunno!
Tanto per non lasciare la storia sospesa aggiungo che sul finire del XIX° secolo Emanuele Tapparelli d’Azeglio, ultimo discendente della casata riacquistò in circa 30 anni tutti i feudi appartenuti alla famiglia che nei secoli erano andati perduti, compreso il complesso di Lagnasco, che era diviso con altre famiglie nobili. Riunite tutte le proprietà, alla sua morte nel 1890, Emanuele lasciò i Castelli e le terre a disposizione della comunità locale, grazie a un’opera pia che ancora oggi porta il suo nome.
– Nel Castello di Levante, due sale attigue di grande bellezza: il Salone degli Stemmi che propone la più cospicua rappresentazione araldica della provincia di Cuneo.
Accanto a questa sala si trova la loggetta, opera del saviglianese Pietro Dolce (1506 – 1566), decorata con oniriche grottesche e con l’affresco che raffigura il castello come si presentava allora, circondato dai giardini e dalla campagna circostante in cui si svolgono diverse scene di vita quotidiana (l’affresco, in cui si vede il Monviso sullo sfondo, ha ispirato il recupero dei giardini compresi nel percorso di visita).
Con occhio da food blogger impossibile non notare i decori a tema dispensa delle porte di passaggio tra i due ambienti (brocche, asciugamani…).
-Nel Castello di Ponente La scala di accesso al piano nobile del castello venne affrescata dal saluzzese Cesare Arbasia (1545 – 1607) con decorazioni a soggetto mitologico e grottesche, mentre al primo pianerottolo si trovano i famosi ritratti di Benedetto Tapparelli e di una misteriosa Dama Velata (emblema forse della stessa sfuggente femminilità?) che potrebbe essere Giovannina Bernezzo di Rossana, seconda moglie di Benedetto.
Subito dopo la suggestiva Sala delle Dame o delle Medaglie dove un bel gioco di luci sottolinea la presenza di numerose figure femminili.
La Sala della Giustizia presenta poi un ricco soffitto a cassettoni (decorato da curiosi fiori dorati in cartapesta) e cinque allegorie a tema (ispirate cioè alle virtù di cui parla Valerio Massimo, che probabilmente ispiravano Benedetto nel suo lavoro).
Imperdibili le cantine, che sono affrescate con viti tralci e cartigli, un vero e proprio “inno” pittorico al vino.
Ah, infine, naturalmente, le cucine…
Laura dice
Molto bello davvero. Anch’io non lo conoscevo, ma ci faccio un pensierino di sicuro. Te l’ho già detto che sono di Bra? Forse sì, quando ho sbirciato il tuo Salot dell’Epifania.