Durante un corso l’università rimasi particolarmente colpita dal ciondolo che una mia compagna di banco portava al collo. Dato che passavamo ore e ore gomito a gomito, e che certe lezioni noiosissime erano sopportabili solo con dosi massicce di chiacchiere e sontuosi banchetti (portavamo in aula il the caldo nel termos e una torta a turno coprendo così la merenda dell’intera settimana) tutte le occasioni erano buone per distrarsi con grazia e letizia propria unicamente delle giovani studentesse.
Il ciondolo della mia compagna di banco fu una di queste ottime occasioni, perché ci diede da parlare per giorni: si trattava di una croce ugonotta, la mia amica proveniva da una delle valli Valdesi in provincia di Torino (valle Chisone, Germanasca e Pellice), e il ciondolo non era un semplice vezzo, ma un simbolo identitario del credo cui apparteneva. Già all’epoca ero una gran curiosona: approfittando della possibilità di un confronto diretto ricordo che la tormentai con domande di ogni tipo. Lei poveretta era anche contenta: nel tempo libero si occupava delle visite guidate in uno dei siti del sistema museale eco-storico delle valli valdesi e diceva che parlare con me era un ottimo allenamento per questa attività. Nessuna guida può mai sapere le domande che passano per la testa ai partecipanti, e io le facevo volentieri da pubblico rompiscatole! Prima di conoscere lei le eresie erano uno dei tanti “argomenti” interessanti, confinati nei libri di storia…con la sua voce invece erano diventati improvvisamente molto più reali, concrete e vicine. Da lei ho imparato davvero tantissimo, e inutile dirlo i suoi ricordi, il suo vissuto personale, e le vicende della sua famiglia sono stati incredibilmente più efficaci di tante parole scritte sui libri. Quando ho visto che il calendario dell’aifb avrebbe affrontato la cucina di frontiera ho pensato immediatamente alla mia compagna di scuola, ai valdesi, e a queste tre vallate meravigliose del Piemonte dove natura, religione e storia sono intrecciate in maniera tanto potente! Quello di frontiera è un concetto pericoloso…l’attualità ce lo ricorda ogni giorno e la Storia non è da meno. Quando penso a una frontiera penso a un limite, e a una linea che incombe sulle vite delle persone al di là della volontà dei singoli. Mi venuta in mente la valle Chisone, cosa doveva essere una terra abitata dai valdesi, per secoli mezza francese e mezza sabauda più spesso divisa in due dal corso del fiume, o trasversalmente, all’altezza del borgo di Meano? Poi ho pensato a Claudio Magris, e ai suoi Microcosmi (in fondo qualche lezione l’ascoltavamo anche)…ad un certo punto lui scrive che “l’unico modo per neutralizzare il potere letale dei confini è sentirsi e mettersi sempre dall’altra parte”. La cucina riesce a fare anche questo…riesce a farmi sedere a tavola con qualcuno che è sempre stato “altro”, e che oggi, per fortuna è parte integrante e integrata di questa regione incredibilmente bella e ricca che è il Piemonte.
Grazie a Marina, coltissima ambasciatrice di questa “cucina di frontiera” così utile a dimostrare che il cibo, e con lui l’uomo non si fermano mai davanti a nessun confine.
Ripropongo qui uno dei piatti più conosciuti della cucina valdese la “Soupa Barbetta”! È un piatto che ha varcato da tempo i confini della comunità religiosa che le ha dato i natali, tanto che l’ho trovata attestata come tradizionale (senza connotazioni religiose) in molti ricettari piemontesi. Mi piace il fatto che sia a base di pane raffermo (o grissimi), e poi ha questo nome simpatico perchè “Barbetta” è il modo con cui i valdesi chiamano affettuosamente i pastori, da barba che significa zio. Normalmente è fatta con una base di il cavolo verza, io però l’ho resa un po’ più primaverile utilizzando le biete. Se volete vedere come si prepara una Soupa Barbetta con tutti i crismi guardate questo bel video dello chef Walter Eynard del ristorante Flipot.
Bibliografia:
-sulla storia delle valli Valdesi “Dizionario Biografico dei Protestanti in Italia”
-sulla cucina valdese:
-“Quando la religione genera gastronomia: il caso dei Valdesi” La cucina Italiana 6/11/2015
-La cucina valdese, di Gisella Pizzardi e Walter Eynard, Claudiana, 25 euro.
-Madeleine Muston-Jahier, Cahier de cuisine. Un ricettario del 1809, a cura di Walter e Jean-David Eynard, introduzione di Gabriella Ballesio. Claudiana, 20 euro.
SUPA BARBETTA
Ingredienti:
700 ml circa di buon brodo di carne
200 g di biete
100 g di grissini
70 g di formaggio toma (o tipo asiago)
40 g di formaggio tipo grana grattugiato
fiocchetti di burro
sale, pepe
spezie (usare o il mix “La Saporita”, oppure una miscela di noce moscata, cannella, macis, chiodi di garofano e pepe nero)
Procedimento:
-sbollentare per qualche minuto le biete in acqua abbondante e bollente. Scolarle e farle raffreddare. Strizzarle bene, tritarle grossolanamente sul tagliere.
– Ungere una teglia da forno, cospargere il fondo di erbette tritate. Disporvi i grissini ben stretti. Coprire con ¾ mestoli di brodo di carne. Spolverizzare con il mix di spezie secondo i gusti. Disporvi la toma tagliato a fettine sottili, poi spolverizzare di formaggio grattugiato e qualche fiocchetto di burro.
-Cuocere in forno caldo a 180° per circa 30 minuti. (deve essere ben asciutta e con una crosticina croccante).
Grazie Beatrice per questo bellissimo post e per i tuoi pensieri che io personalmente condivido…alle persone e ai confini mi rifersico ! Un concetto importantissimo e attualissimo…“l’unico modo per neutralizzare il potere letale dei confini è sentirsi e mettersi sempre dall’altra parte”. ecco….
Grazie per questa gustosa ricetta che non conoscevo… fantastica questa zuppa con i grissini!!!!
Bello questo contributo al Calendario aifb arricchito della tua esperienza e conoscenza personale che lo ha reso ancor più interessante.
l’apertura agli altri trova strade inaspettate, come la cucina, che non conosce confini politici.
Io aggiungo: per fortuna. E pensa che Barba significa “zio” anche in genovese! Non solo il cibo ci accomuna, ma anche la lingua ha spesso “risonanze” inaspettate.
Questa zuppa ha un aspetto fantastico e io non vedo l’ora di provarla 🙂
Beatrice, leggerti è sempre un immenso piacere, traspare tutta la tua sensibilità e la tua cultura. mi piace immaginarti tra i banchi dell’università a confrontarsi e condividere torte e sono certa che la tua compagna sia stata felice di vedere il tuo interesse per le sue tradizioni. E la frase di Magris è bellissima e molto vera.
Grazie per questo tuo contributo, c’è tanto da imparare da te! 🙂
Ciao purtroppo tutte noi “galline” è difficile che ci troviamo al primo colpo siamo troppe….io ti ho presa via Instagram che trovo sia un’applicazione favolosa per trovarci e trovare mi piace. Mi affascina la storia di questa croce che è quella di Malta o San Giovanni scelta dagli Ugonotti perchè perseguitati ancora oggi viene regalata dai parenti il giorno del battesimo.
La ricetta è molto particolare purtroppo il macis, il mallo della noce moscata non è sempre facile da trovare ma mi arrangerò.
Grazie della ricetta e buona fine settimana.
PS. Su FB ti avevo già come anche twitter ma mi macavi qui…. io sono la gallina vintage)
Ciaoooo
Mannaggia quanto mi fa gola questa Supa Barbetta che io realizzerò ovviamente con brodo vegetale e che bello quello che scrivi. Anch’io onestamente non so molto dei Valdesi se non quel che poco che ho letto sui libri di storia ed ho molto apprezzato la tua storia e ovviamente le tue parole sui confini e che belle le parole di Magris più che mai attuali ❤️
Ti racconto come faceva mia nonna che proveniva da Pra del Torno (Angrogna) in Val Pellice trapiantata poi in Monferrato.
Teglia che andasse in forno (a legna).
Strato di cavolo verza crudo sul fondo
Grissini che allora erano fatti nel forno a legna, irregolari ma “belli”
Formaggio a fettine (non so bene che formaggio fosse, lo chiamava tuma, sempre)
Poi altro strato di grissini e formaggio (mi pare ne facesse 3 o 4, ma probabilmente dipendeva dalle dimensioni della teglia in cui la metteva)
Mi pare (sono abbastanza sicura!) anche che tra uno strato e l’altro di grissini inserisse anche un po’ di cavolo verza crudo, tritato con il “capilau” (mezzaluna).
Finiva con le spezie (non ho idea di che miscuglio fosse, ma si sentiva sicuramente noce moscata ed un soffio di cannella), il formaggio ed il brodo.
Poi in forno a legna, che non era infuocato ma caldo il giusto (aveva anche un metodo per capire quando era il momento giusto, ma non lo ricordo ACC..)
Questo il mio ricordo, forse un tantino annebbiato, ma molto vivo nel profumo 🙂 …
Irene cara, sei una vera miniera!è incerdibile leggere come questi piatti siano impressi nella tua mente! Che bello, e che forza che devono aver avuto quei profumi per imprimersi in maniera così indelebile nei tuoi ricordi! Non li prepari più? Non vivi più in Piemonte? Sono passata dall’altra pasrte, vedi’ ho già cominciato a fare io le domande, e a volerti conoscere meglio. Mi racconti cose importanti, quei piccoli dettagli di cui sono innamorata, e su cui costruisco interi post. Scrivimi ancora se hai tempo…è come parlare con qualcuno che conosco da sempre, e che ho perso di vista per qualche tempo. Ti aspetto…
Cara Betulla,
sì, vivo in Piemonte in un piccolo paese sulle colline dell’astigiano.
I mie genitori lì avevano comperato una casa in campagna (allora non era ancora di moda) e lì dopo un po’ di lavori sono andata ad abitare. Verde, colline, boschi, insomma “terra”: questo quello che mi circonda. E non sai come si sta bene (però il discorso è sempre il medesimo: non è bello ciò che è bello, ma …)
Ho un lavoro che mi occupa tutto il giorno (lavoro ad Asti), esco alle 07:30 e rientro alle 19:30.
il tempo che rimane per tutto il resto è limitato.
Il sabato di solito si cammina in montagna. Anche quest’anno le nostre mete “gitesche” sono state la Valle Gesso, Maira, Stura e Varaita, alla scoperta (e riscoperta) di rifugi, monti, laghi e quant’altro… e se non avesse nevicato avremmo continuato.
Ed ora si progettano escursioni con le ciaspole … che io non ho mai messo !!!
Dunque mi rimane la domenica per tutto il resto. Ciononostante “pasticcio” (in cucina ed altrove)
Mi piace leggere ed a casa i libri non ci stanno +!!
Servirebbe una giornata di 48 ore , la sera arriva sempre troppo presto …
Anche io penso che i dettagli siano sale importantissimo per qualunque storia, accadimento o “fatto di cucina” ed il dettaglio a volte fa la differenza.
Penso anche che sia importante trovare persone con cui condividere, confrontare le proprie conoscenze ed i propri ricordi, così non andranno persi o dimenticati.
Questa una piccola descrizione di chi sono …
Ciao, a presto,
irene