MISE EN PLACE DEMODÉ
Nulla è al riparo dalle influenze bizzose della moda, nemmeno l’arte di apparecchiare la tavola! E infatti un giorno quest’estate, presentando ai miei commensali il gelato dentro a lucidissime coppette d’acciaio a stelo, mi sono resa conto, dalle loro affermazioni stupite, di avere un modo di allestire la tavola completamente démodé. Non sto parlando di “bon ton”, galateo e altre assurdità che i programmi televisivi/social ci propinano continuamente come “buone maniere” da rispettare per brillare nel mondo delle “perfette padrone di casa” in tubino nero… Questi mezzi purtroppo esacerbano un insieme di usi legati ai pasti, che di base sarebbero anche interessanti, ma che a favore di spettacolo sono trasformati in un’insensata, irraggiungibile “etichetta”: per copione funziona meglio se appare completamente “fuori della portata dei comuni mortali”. Ho coniato anche un’espressione per descrivere questo sfoggio di sapienza, che a seconda del programma/personaggio/social dalla “critica” degenera spesso in una sottile, incontenibile cattiveria snob: “la vacuità del centrotavola”. Cosa dice il galateo sul centrotavola? Tutto e il contrario di tutto, e in ogni caso la certezza è che il vostro centrotavola sarà sempre sbagliato: troppo colorato, troppo fiorito, troppo grande, troppo minimal, troppo profumato, troppo invadente. Troppo! Perché? Semplice, perché il centrotavola non ha alcuna funzione pratica legata al pasto: abbellisce la tavola, quindi alla fin fine esula da ogni regola possibile per sguazzare felice nel regno anarchico del “gusto personale”. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Non esiste un “centrotavola adeguato”, perché nessun galateo può considerare i vostri gusti, l’occasione del vostro ricevimento, la vostra casa, la vostra tavola, i vostri ospiti, il vostro menù… Insomma, se parlare di “galateo” deve diventare un inutile esercizio di stile sulla “la vacuità del centrotavola”, meglio tacere.
Così, visto che questo post è una ciancia lunghissima sul nulla, o meglio su tante piccole quisquilie di “gusto personale”, ci tenevo a fare questo chiarimento sullo “spirito” di quello che scrivo. Fare un elenco di cose bacucche e più o meno assurde che mi piace usare ogni tanto per le mie mise en place, non significa avere intenti didattici facendo leva sul “senso di inadeguatezza” che più o meno proviamo scorrendo sul telefono vetrine che luccicando di bellezza e perfezione, mentre stravolti dalle difficoltà della vita mangiamo una pizza scongelata sul divano. NON significa neanche vivere nel passato o in un castello (con i sotterranei per la servitù e i piani alti per la nobiltà). Non vuol dire mangiare ogni giorno con le posate d’argento, né credere che avere ospiti significhi rispettare l’etichetta di un banchetto del Quirinale. Quello che segue è un gioco: la mia passione è il piccolo antiquariato, la mia ispirazione sono le riviste e i libri di cucina vecchia ameno di un quarto di secolo, e da quando mi sono sentita dire “Woow: sembra di essere in una gelateria degli anni ‘80” mi sono divertita ad appuntarmi TUTTI (o quasi) gli oggetti ormai desueti che affollano la mia credenza e che qualche volta rendono la mia tavola assolutamente, orgogliosamente démodé.
Come in tutte le cose credo che l’unico trucco sia la misura, o meglio una mano parca. Ovviamente non apparecchio la tavola usando tutte queste cianfrusaglie in contemporanea: sembrerei davvero una svitata e sarebbe una gran faticaccia (le bacuccate richiedono cure maggiori, attenzioni e infinita delicatezza per essere usate, lavate e riposte adeguatamente). Io sono per il démodé a piccoli tocchi (uno o massimo due elementi bacucchi per ogni pasto…) e soprattutto in assoluta sicurezza: no ceramiche sbeccate, no materiali ambigui, e ogni cosa presa in mercatini&C. è sanificata scrupolosamente con ripetute abluzioni in acqua bollente e aceto prima di finire sulla tavola (e a volte anche doccia di Napisan spray e la lavastoviglie a 60°*). Va bene il vintage ma io sono prima di tutto una cuoca, e l’HACCP è il mio credo. Punto.
Infine questi per me sono giocattoli, ed esattamente come in Toy Story sono convinta che loro dicano «Non ha importanza quanto tempo gioca con noi, l’importante è che noi siamo qui quando lei ne ha bisogno». E per tenere fede a questo accordo d’onore con i miei giocattolini bacucchi non rispetto regole, né tantomeno la buona creanza di Galeazzo Florimonte alla fine del ‘500, ma semplicemente gioco, con fantasia e divertimento: sì in pratica penso sia meglio usare ereticamente qualcosa che lasciarla ad intristirsi nella polvere della credenza…
*La lavastoviglie è sconsigliata sulle ceramiche vintage con bordi in oro…per il resto, con pochissimo detersivo delicato non dovreste avere problemi. In tutti questi anni mi è capitato solo una volta di rovinare un piatto “scolorendogli” il bordino dorato con la lavastoviglie (ma non credo che fosse oro vero).
TUTTE le foto sono mie, realizzate con oggetti che possiedo o che ho avvistato nei mercatini delle pulci (soprattutto “Il Trovarobe” di Cuneo o il “Baloon” e il “Gran Baloon” di Torino) o negozietti di piccolo antiquariato. Le immagini invece provengono dalla “Guida Caudano per regali natalizi del 5 dicembre 1958” (Caudano era un magazzino fornitissimo di casalinghi in attività a Torino tra il 1854 e il 1986 – la sede era in Piazza Carlo Felice 28, ma aveva punti vendita in tutto il Piemonte) e dal “Catalogo Regali Star del 1962”. Tengo questo lunghissimo post come un elenco base che aggiornerò poco a poco nel tempo: sono sicura che ho dimenticato qualcosa, ma soprattutto sono sicura che devo ancora trovare la posta più stramba della mia collezione…😉
VASSOI E PIATTI DA PORTATA IN ACCIAIO INOX
Come già detto la mia passione per l’acciaio inox è la scintilla che ha innescato questo post. Io sono una grandissima fan dell’acciaio per gli oggetti della tavola, anche se mi rendo conto che, a parte la posateria, l’inox ha quel bagliore metallico ormai piuttosto fuori luogo. Negli anni ’80 però, quando io ero piccola, la processione di vassoi inox ricolmi pronti sulla tavola della cucina significava solo una cosa: pranzetto della domenica o pranzetto speciale del dì di festa. Quindi ci sono rimasta affezionata, e li uso tuttora con entusiasmo per la lora grande praticità.

ANTIPASTIERA
L’antipastiera è femmina. E in quanto tale l’antipastiera ha qualcosa in comune con il percorso delle forme femminili in voga dal boom economico a oggi. Prima abbondante, vaporosa come una permanente, poi via via più piccina, ridotta costretta, scomposta, dissociata… Ora se digitate su google “antipastiera” vi saltano fuori 3minuscole ciotoline di 3 cm di diametro. Nemmeno qui in Piemonte, terra degli antipasti infiniti per antonomasia, nessuno riesce più ad immaginare un piattone in cristallo pesante con quattro scomparti ridondanti di cibo. Eppure io amo l’antipasto all’italiana, e lo trovo molto più interessante di tanti insipidi stuzzichini da “apericena”! L’antipastiera è la mia fedelissima aiutante magica per portare in tavola con grazia quel che altrove in questi tempi si spiaccica su taglieri rancidi di bamboo o su nerissimi piatti di ardesia nera.
FORMAGGIERA
Il formaggio grattugiato è il grande scomparso delle tavole contemporanee. Un po’ come per la cottura del riso o della pasta: tu non puoi avere i tuoi gusti, devi sottometterti in religioso silenzio al sapere dello Chef. Lo chef decide che il risotto deve farti saltare tutte le otturazioni che hai in bocca perché il suo riso grezzo invecchiato in botti da Cognac interrate 20 metri sotto le ultime due marcite della Pianura Padana deve scricchiolarti sotto i denti, e tu zitto al tavolo a masticare chicchi croccanti come grilli impanati nella sabbia e fritti. Devi rispettare il gioco di consistenze! E devi rispettare la quantità di formaggio che lo Chef ha deciso di mettere nel piatto. Aggiungere è da cafoni. Sempre. Non si ritocca l’opera di un artista. Vai al Louvre a mettere pennellate sulla Gioconda di Leonardo? No. Ecco, appunto. Tu non stai mangiando, tu stai facendo un’esperienza. E l’esperienza non si mette in discussione: non si aggiunge formaggio, non si aggiunge sale e non si aggiunge pepe. Non più almeno.
Pensateci bene: quand’è l’ultima volta che avete visto una formaggera su un tavolo? E soprattutto di che livello era il ristorante? Al bar tavola calda magari sì, ma più si paga, meno il cliente può “interferire” (di conseguenza la stessa modalità si applica alle tavole private che spesso imitano a specchio quelle dei ristoranti).
Vero è che ormai la modernità rifugge i piattoni di primi belli fumanti con spolverata di cacio (vanno di più cose come “tre paccheri in un ramaiolo con terra di pomodoro verde e aria di grana”), ma io sono sentimentale e apprezzo i cuochi modesti che ancora porgono la formaggiera insieme ai primi…
SALIERA con PORTA STUZZICADENTI
Per il sale vale l’identico discorso del formaggio grattugiato appena fatto sopra. Non contemplato! O meglio se anche c’è non va usato. La solita “ricerchina” su Google ci dice “Non deve mai essere chiesto, ma deve essere sempre disponibile. In ogni caso non deve mai essere usato”. La sua è una presenza puramente rituale, tipo Voldemort: sai che è lì, ma sono vietati gli appellativi diretti ed è più conveniente sostituire il suo nome con “tu-sai-chi”. In pratica il fantasma della cucina italiana non è Pellegrino Artusi, ma il povero piccolo salino che attraversa le tavole in trasparenza da ectoplasma: c’è ma non va MAI sfiorato. Pena offendere il cuoco, la cuoca o padroni di casa. Vuoi rovinare la serata e far divampare un incidente diplomatico per un misero granellino di sale? No. Il Galateo ti tarpa, ma ti salva da te stesso: accetta lo sciocco, lo sciapito e taci. “Andrà tutto bene”.
Passiamo ora ai veri reietti di questo elenco: gli stuzzicadenti. Piccini e aguzzi, infilzano solo MAI. Il loro uso è “sconsigliatissimo, sconveniente, rozzo, volgare, disdicevole, sgradevole, imbarazzante…” Vietato anche alla grigliata di Ferragosto, anche mettendosi la mano per coprire la bocca mentre si armeggia cercando residui di cibo tra i denti. L’imperativo per arginare tanto cattivo gusto è “usare alternative più discrete: chiedere scusa e andare in bagno per pulirsi i denti con il filo interdentale o uno scovolino, che sono molto più igienici e meno invasivi”. Vorrei sapere quante persone vanno fuori a cena con il filo interdentale in tasca, e poi vorrei sapere come mai gli stuzzicadenti continuano a essere prodotti, venduti e ad essere presenti in tutte le nostre case (non dite per le olive nel Martini perché sono troppo corti). Mi sembra la storia delle toilette nella mentalità italiana: se non ci sono la gente non ne avrà necessità. Sbagliato!

MACINAPEPE
«Chi va con lo zoppo…» e il povero pepe si accompagna da sempre al salino, vero “paria” della mise en place. Così anche lui deve essere mortificato. Ma io qui oggi non parlo di quel pepe nero macinato finissimo stantio e compresso da anni in un boccettino. Io ho in mente direttamente il macinapepe. Se gli esperti di bon ton bacchettano chi usa la punta del coltello per servirsi di sale e di pepe, figuriamoci la reazione al comparire di un macinino in tavola: deliquio! Sì, un macinapepe è roba forte. Ma ci sono piatti che una macinata di pepe nero al momento del servizio trasforma in poesia. E tra grammatica e poesia io sono sempre per la seconda!
p.s: ho realizzato che preferisco di gran lunga i macina pepe in legno, mi sembra che custodiscano meglio l’aroma della spezia, e in particolare sono affezionatissima a questo macinino rosso di mia mamma il cui ingranaggio non perde mai un colpo…
AMPOLLE IN CRISTALLO OLIO/ACETO
Inevitabilmente questo set di ampolline evoca quelle dell’eucarestia: ménage sacro e ménage profano! Ovviamente in tutte le case questi set un po’ più belli (magari dono di nozze) erano tenuti da parte per le grandi occasioni, perché nella vita di tutti i giorni c’erano una bottiglia dell’olio, una dell’aceto e un salino più comuni e pratici. Poi finiva che il ménage di cristallo non lo si usava mai, perché in genere un pasto speciale, festivo e importante non contempla l’insalata, né piatti per cui i padroni di casa si ricordavano di riempire le preziose ampolline. Il risultato è che oggi i ménage affollano i mercatini delle pulci, con il triste record di “usato solo una volta” o “mai usato”!
CESTINO PER PANE/GRISSINI
Il pane accanto alla parola galateo mi suscita una pena infinita. Su questo straordinario alimento i livelli di umiliazione del galateo raggiungono vette non accettabili, e io sotto sotto non digerirò mai questa cosa che le buone maniere non sopportano “la scarpetta”. Io invece sono felice quando i miei ospiti fanno scarpetta, e soprattutto realizzo sempre dei cestini del pane ricchissimi, variegati e curiosi. Come disse molti anni or sono il mio maestro di cucina: “per giudicare davvero un ristorante non c’è modo migliore che valutare il cestino del pane!”. E io seguo ancora oggi questo validissimo insegnamento…
PORTATOAST
Una volta un amico di passaggio nella mia cucina mi ha chiesto se quell’antenna di potenziamento posizionata sulla radio funzionasse bene. L’antenna era in realtà questo piccolo “porta fette di pane tostato” appoggiato sulla radio per sbaglio. Da allora ogni volta che lo prendo in mano mi chiedo se magari gli archetti del porta toast possano davvero captare radiazioni elettromagnetiche! Sarebbe bello sentire il delizioso “uccellino della radio” mentre si fa la colazione!
CUOCIUOVA DA TAVOLO
Ogni sacrosanta volta che parto per un mercatino la dolce metà mi raccomanda di non acquistare gufi impagliati, vettovaglie da nobili inglesi con servitù, libri di incantesimi, mobili ingombranti e tarlati, tarocchi, Gremlins, stampi per dolci, cristalleria…Ma per quanto il suo elenco si faccia via via sempre più dettagliato e assurdo, io non lo ascolto mai e puntualmente torno a casa con qualcosa che neppure la sua fervida fantasia poteva immaginare. Imprevedibile. E infatti nessuno poteva sospettare che io trovassi un antico bollitore per uova da tavolo in sheffield…Vi è mai capitato di fare colazione in uno di quegli alberghi che mettono a disposizione un cuoci uova elettrico sul buffet della colazione? Questa è la versione inglese e bacucca dello stesso oggetto (funzionava con un piccolo fornelletto alla base). In Italia era una rarità da gioielleria (quello che vedete in foto ha ancora l’etichetta di un famoso negozio di Milano).
CANDELABRO
All’origine della mia passione per le storie di governanti, argenteria e bacuccate c’è una carissima amica dei miei genitori. Se li invitava a casa, anche in un giorno qualunque, c’era ad accoglierli una bella tavola decorata con un raffinato candelabro. Le candele accese quindi sono diventate per me il simbolo dell’avere cura degli ospiti, sempre speciali, anche in un giorno qualunque. Di base il mio preferito è un vecchio candelabro d’ottone: si chiama “Lumière” come il galante personaggio della “Bella e la Bestia” (non a caso era il maître del castello trasformato in oggetto da un’incantagione).
FORBICE SPEGNICANDELA
Non temo tanto lo sputacchio, quanto più le gocce di cera che spesso svolazzano leggiadre sul tovagliato quando si tenta di spegnere le candele soffiandoci sopra. Per questo ho delle piccole forbicine spegni fiamma che smorzano in un lampo fuoco e fumo (per la stessa funzione esistono dei campanellini altrettanto efficaci che si trovano persino all’Ikea).
SOTTOBICCHIERI e SOTTOBOTTIGLIA IN ACCIAIO
A parte quello del bar in cartoncino sotto all’aperitivo, il sottobicchiere è poco usato a tavola. Desueto quanto il sottobottiglia. Ma a me piacciono ancora molto, e li trovo comunque estremamente pratici per salvare il tovagliato da penose gocce di vino. Oltre ai bacucchi d’argento o d’acciaio, se ne trovano di modernissimi lineari e minimal (Paderno, Sambonet, Alessi li hanno in catalogo).
PORTATOVAGLIOLI ANELLATO
Questi delicati anelli argentati appartengono alla sfera più intima e privata della tavola. Non si usavano certo per occasioni pubbliche, ma solo nella quotidianità domestica: ogni componente della famiglia aveva il suo in maniera da distinguere il proprio tovagliolo e poterlo usare per più pasti di seguito. Spesso erano in argento, perché si regalavano ai bimbi come dono di battesimo con il nome inciso sopra (ancora negli anni ’80 ne ho ricevuto uno da una zia). Sono tutt’oggi un validissimo sistema per utilizzare i tovaglioli di stoffa in casa al posto di quelli di carta.
PORTABURRO
Dopo decenni di demonizzazione il burro sta tornando finalmente alla ribalta. La vendetta è un piatto che si consuma freddo: ci sono voluti circa 50 anni ma dal punto di vista nutrizionale il burro ha stravinto definitivamente su quella stupidella margarina che negli anni ‘70 tutti consideravano più leggera e salutare. Il tribulato, lunghissimo percorso di rehab è sancito definitivamente dal ritorno delle burriere tra gli oggetti della tavola. Certo, il nostro saccentissimo galateo rifugge un oggetto tanto scurrile e di basso lignaggio, in favore dei ben più raffinati riccioli di burro realizzati con l’arricciaburro. Ma se non avete Carson alle vostre dipendenze, né la signora Patmore in cucina, portate in tavola una bella burriera e ogni commensale provvederà da sé!
TAZZE DA BRODO
Io amo i brodi, quindi amo alla follia anche queste piccole, assurde tazze con orecchie. Le trovo buffe, ridicole e desuete. Non riesco a non acquistarle quando le incontro. Sono davvero una gran bacuccata: chi serve ancora un brodo per un’occasione importante? Chi si tiene in casa un servizio di tazze così strambe? Peggio ci sono solo le lionesi per la “soupe à l’oignon” utilizzabili per un solo tipo di zuppa… Eppure io le uso tantissimo: anche in maniera non convenzionale, ma basta guardarle come tazze e gli usi sbocceranno!
(qui c’è la ricetta di un classico consommè, qui quello “alla Bismarck”).
SALSIERA
La mise en place è strettamente collegata alle mode dei gusti. Se una preparazione è di moda, sulla tavola ci sarà di sicuro un oggetto che la rappresenta. Se una preparazione è in declino, il suo corrispettivo in sala scomparirà. Gli italiani hanno con le salse lo stesso rapporto ambiguo che hanno con i francesi: da un lato ammirazione sconfinata (non sei nessuno se non sei in grado di preparare cantando le 97 salse codificate da Escoffier), ma dall’altro giù critiche continue per dimostrare di essere meglio dei cugini d’oltralpe (parenti serpenti). In realtà come tutto è nel modo è politica, in cucina tutto è salsa. Per cui non ho mai capito davvero questa necessità italianissima di prendere le distanze da un qualcosa che fa parte dell’atto stesso del cucinare. In ogni caso il tramonto della grande cucina internazionale di stampo francese e delle salse ha trascinato definitivamente nel baratro anche le salsiere. Neanche a dirlo io le adoro, e le uso imperterrita e noncurante delle tendenze (a onor del vero assistiamo negli ultimi anni ad un timido ritorno, supportato anche da testi specifici del settore che hanno alleggerito e modernizzato alcuni grandi classici).
COPRITEIERA
Non entro nel merito del vastissimo mondo del tè. Cioè dovrei farci un post apposito e interamente dedicato: la mise en place per il tè con tutti i suoi orpelli è un mondo a parte. Ma qui mi concentro su un accessorio deliziosamente inglese, assolutamente casalingo e zero chic: the tea cozy. Il copriteiera. Morbido, calduccio e felice come un maglioncino di Enid Sinclair (l’amica rosa di Mercoledì Addams).

VEILLEUSE
Sono incantata prima di tutto da questa parola: “veilleuse” è colei che veglia, la luce guida. Una specie di angelo custode che sta all’erta mentre tu dormi. È in fatti la veilleuse è prima di tutto la luce da notte: oggi si chiamano così quelle piccole lucine elettriche che tengono compagnia ai bimbi al buio, ma un tempo le “veilleuse” erano le candele da comodino. Poi il termine è passato ad indicare queste piccole tazze o bricchi in cima ad un lumino per tenere in caldo infusi e tisane, sempre sul comodino (per questo sono strette e alte, devono stare in uno spazio ristretto). Oltre ad usare con grande soddisfazione questa che vedete in foto, io vado periodicamente ad ammirare le “veilleuse” di Palazzo Madama (ultimo piano sezione di arti decorative). A ogni visita ne scopro una più bella, stramba, colorata…

SET LATTIERA&ZUCCHERIERA
Ricordo che da novizia delle bacuccate credevo che queste fossero una lattiera e una coppetta: solo col tempo ho capito che la ciotolina era in realtà una zuccheriera (sì, senza coperchio come invece siamo abituati noi).
PINZA PER ZOLLETTE DI ZUCCHERO
Ognuna di queste bacuccate è la scusa bella e buona per approfondire cose di cui non sapevo nulla: ad esempio da “pinza per zollette di zucchero” a “storia della zolletta di zucchero” è un attimo. Non vi spoilero perché sono nate le zollette, ma c’è di mezzo un incidente domestico di una signora ferita nel frantumare a mano i famosi “pan di zucchero”. E, comunque si scoprono mondi dolcissimi…
PINZA PER DOLCETTI
Il catalogo Caudano 1958 ci conferma che esiste una pinza per la qualunque: spaghetti, lumache, affettati, dolci, ghiaccio, tartine, panini, zollette, insalata, tonno…Molle in acciaio inox “praticissime” e “utilissime”. Abbondano i superlativi, ma quel che mi stupisce davvero è che io abbia trovato una pinza per praline della fabbrica di cioccolato e caramelle ZEDA di Verbania (più frequenti le scatole di latta e i manifesti pubblicitari). In ogni caso penso a quanti cioccolatini, dolcetti vassoietti della domenica sono stati realizzati con questa pinza e mi commuovo…
CUCCHIAIO E MESTOLINI PER FRUTTA SCIROPPATA, SOTTO SPIRITO O “IN GUAZZO”
Sembra che questo genere di cucchiai traforati risponda alla necessità si “scolare” con grazia la frutta sciroppata, o sotto spirito facendo finta di mettere nelle coppette tanta frutta e poco sciroppo/alcool…
SERVIZIO DI POSATE DA DOLCE (con COLTELLO, PALETTA DA TORTA, e FORCHETTINE)
Ai matrimoni regalo sempre un set di posate da dolce…anche se gli sposi non sono molto avvezzi alla cucina io penso sempre che una nuova famiglia prima o poi si troverà a festeggiare qualcosa di bello e a taglierà una torta insieme a qualche ospite no? Cerco una paletta da dolci e un set di forchettine il più neutro e lineare possibile e allego un bel biglietto che augura dolcezza infinita…I servizi da dolce sono così: sottili contenitori di felicità e occasioni speciali. Per questo è bene aprirli spesso e volentieri…e usarli con gioia!
ALZATINA DA FRUTTA o DA DOLCI
Quando ero all’università una sera a cena una ragazza ha iniziato a parlare della sorella che conviveva con un ragazzo e faceva con lui cose terribilmente noiose come andare all’Ikea, scegliere mobili, e comprare cose di casa. «Pensa che ha preso pure una di quelle alzatine da dolce con la campana di vetro, l’alzata della torta della nonna. Ti rendi conto?». Io annuivo sorridendo. Non avevo abbastanza confidenza con la ragazza in questione per confessarle che trovavo adorabili quelle alzatine da vecchia, e pur senza fidanzato, anello al dito né intenzioni di diventare adulta e serissima nell’immediato, io gironzolavo per negozi di casalinghi sin dall’adolescenza. A sedici anni già me ne andavo da sola all’UPIM a Cuneo a comprare runner, tovagliato, teiere e tazzine… Li mettevo in uno scatolone in solaio, e ho sempre detto che prima o poi avrei usato ogni cosa. Ed è stato proprio così: uso tutto ancora oggi. Comunque è molto molto buffo rendersi conto di avere l’età giusta per le “cose da vecchia”… almeno adesso non taccio più le mie passioni: le racconto ai quattro venti e ci scrivo addirittura post lunghissimi. Finalmente!
CESTINO DA UVA con FORBICI DA UVA
Le “grape scissors” sono nate in Inghilterra in epoca vittoriana, e da lì si sono diffuse in tutta Europa: le rigide “table manners” dell’epoca richiedevano infatti che i commensali non toccassero mai il cibo con le dita…da qui l’uso di queste speciali (e decoratissime) cesoie a lame corte e spesse per recidere gli acini dei grappoli d’uva. Perfettamente autunnali, e deliziosamente asurde.
POSATA PER CARNI CON OSSO (COSCIA DI POLLO o GIGOT d’AGNELLO)
Questo genere di posate era utilizzato per servire carni con osso senza che i commensali dovessero toccare il cibo sporcandosi le mani. Mentre in Italia si usavano spesso per cosce di pollo o per cacciagione da piuma, in Francia erano usate per servire il celebre “gigot d’agneau” (cosciotto d’agnello). A volte infatti queste posate si trovano in set da tre pezzi, tutti e tre con il manico dello stesso materieale (pinza, coltello affilato e forchettone). La posata in foto ha un manico lavorato, ma neutro, che ben si adattava ai servizi già presenti in casa.
ZUPPIERA
Alla voce zuppiera Wikipedia recita “un oggetto poco usato sulla tavola di tutti i giorni, sia per le cambiate abitudini alimentari, i primi piatti in brodo godono poca popolarità, sia per le esigenze di presentazione della cucina moderna, che la stanno facendo diventare una stoviglia desueta”. Eh sì, la povera zuppiera ha il patentino ufficiale di bacuccaggine. Ma cercando di guardare oltre, dove gli altri vedono vecchiume quelli come me vedono possibilità 😉 : ci sono mille modi curiosi per usare una zuppiera, anche se non si ha intenzione di servire un brodo!
p.s: non ho messo foto ma più o meno lo stesso discorso si adatta alle “legumiere”, che non sono delle pentolacce di terracotta per cuocere fagioli. Qui “légumes” è un falso amico, che in francese significa “verdure”. Quindi se la zuppiera contiene alimenti liquidi, la “legumiera” (più piccina più bassa e più larga) contiene verdure. Il particolare che distingue i due contenitori è spesso (ma non sempre) un forellino sul coperchio: nelle zuppiere è presente per fare uscire il vapore della minestra mentre il contenitore viene portato in tavola (se guardate la foto della mia zuppiera lo vedete bene).
COPPETTE DA GELATO/MACEDONIA
Ho già raccontato che devo alle coppette del gelato (o macedonia) l’idea di questo post. In ogni caso sappiate che come per i vestiti è bene non buttare mai via nulla della propria credenza/cantina/soffitta: tutto quel che passa di moda prima o poi ritornerà. Così è stato per queste coppette: amatissime negli anni ’80, dimenticate rapidamente, impossibili da trovare sino allo scorso anno, e di gran moda questa estate (Zara Home le vendeva al prezzo folle di 20 euro l’una). Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto ritorna! Anche a tavola!
POGGIAPOSATE
Non sono sicura che questi siano davvero dei poggiaposate, forse sono più dei poggia bacchette o dei poggia pennelli. In ogni caso mi è piaciuto questo insolito zoo microscopico e me lo sono portato a casa per pochi euro con l’idea che prima o poi ci avrei “fatto qualcosa di bello”… attendo l’ispirazione!
SOTTOPENTOLA DI GHISA VETRIFICATA
Solidi, affidabili, francesissimi. Come fai a cucinare nelle celebri cocotte di ghisa se poi non hai un sottopentola vintage adatto da mettere in tavola? Cocotte Staub + sous plate en fonte (vintage) = Coppia perfetta.

SERVIZIO PER LIQUORI (BOTTIGLIA PER LIQUORI, TARGHETTA, BICCHIERINI)
Ci avviciniamo alla conclusione del banchetto, quindi niente di meglio che un bicchierino di liquore versato da una bottiglia in vetro sonoro con al collo la targhetta d’argento. Onestamente mi piace di più usare queste bottiglie per i miei liquorini casalinghi che i liquori commerciali già dotati di bottiglia con etichetta. In ogni caso è bello usare queste bottiglie anche per servire bibite analcoliche come limonate/karkadé e aperitivi…
SERVIZIO PER PUNCH
C’è stato un tempo in cui il punch era talmente di moda che nelle case più eleganti c’era il servizio da punch in vetro molato: una boccia enorme e pesantissima con coperchio della capacità di circa tre litri + relativo mestolo in vetro + sei tazzine. Cosa distingue il servizio da punch da un servizio per macedonia o da un servizio per bevande alla frutta tipo sangria? Semplice (ma ci ho messo un sacco a capirlo): il manico delle tazzine! Il punch è un digestivo che si serve bollente e le tazzine devono avere il manico per permettere ai commensali di non scottarsi. Sono convinta che prima o poi mi stuferò di tenere questa gigantesca palla di vetro nella credenza e la destinerò ad altro uso: palla per pesce rosso in soggiorno!
SPAZZOLINA RACCOGLIBRICIOLE
E alla fine rimangono sul tavolo solo le briciole. Dovrei scrivere: “meglio raccoglierle tutte con discreta eleganza, ovvero con l’apposita spazzolina “crumber” (l’operazione andrebbe fatta prima di servire il dessert o di togliere la tovaglia)”. Ma la verità è che nel momento stesso in cui tirerete fuori questo aggeggio diventerà l’oggetto della conversazione: pochi conoscono questa spazzolina e senza dubbio susciterà grande curiosità. In pratica è un diversivo: tenetela pronta se la conversazione langue o se la serata prende una brutta piega. In fondo una cena ha qualcosa di simile ad una partita di carte: non si può mai dire come andrà a finire. Meglio tenere un asso nella manica pronto a scompigliare le ciance. Ricordate? Questo è un gioco, vale tutto, persino barare!
Grazie di cuore per avermi seguita sin qui in questa bizzarra esplorazione della mia credenza e dei suoi tesori (ho tralasciato volutamente il discorso tazze, piatti, marchi e cià cià cià perchè che amo, uso e mescolo le ceramiche alla mia vita già lo sapete)! A presto
Beatrice
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