Nei miei gironzolamenti tra mercatini mi capita di mettere il naso in faldoni pieni zeppi di vecchi menù: passo un sacco di tempo a leggerli, dall’antipasto al dolce, cercando di vedere se nell’insieme la successione delle portate celebrava degnamente la ricorrenza segnata come data. Un menù è tutta una questione di armonia, di equilibrio, un po’ come uno spartito musicale. Portata dopo portata partecipo all’evento, immagino la contrattazione tra il committente del pranzo e il capo cuoco, immagino la brigata all’opera in cucina, e magari anche il viso di chi ha preso in mano quei cartoncini scritti a mano, appena prima di cominciare a mangiare. Poi immagino la sala vuota, un po’ fumosa e disordinata al termine del pasto: i tovaglioli stropicciati sui tavoli, nei piatti i resti dei dolci avanzati, nei calici qualche fondo di vino qua e là. Lì in mezzo a questa decadente confusione, con i camerieri che pazientemente cominciano a sparecchiare rimangono abbandonate sui tavoli le “minute delle vivande”, effimero resto del pasto glorioso appena trascorso.
Dal punto di vista gastronomico questi questi cartoncini decorati ci raccontano tantissimo, e io ovviamente quando li trovo vorrei portarmeli a casa tutti, tanto per aumentare la mole di vecchie carte con cui vivo. In ogni caso più questi menù sono vecchierelli e ottocenteschi, più probabilmente recano tra le portate un bel consommè: limpido, francesissimo e di gran moda. Potrebbe addirittura essere eletto a simbolo dell’influenza della cucina francese sulla gastronomia, non solo italiana, ma del resto del mondo. Certo, le declinazioni tricolori non mancano, ma preferisco andare con ordine e raccontarvi la sua storia dalle origini, ovvero prima che la “trasparente delizia” varcasse le Alpi. Naturalmente anche in Francia zuppe e minestre allietavano le mense dei ricchi, come dei meno abbienti, sin dalla notte dei tempi, ma colui che assegna davvero alla minestra (potage) il ruolo di “primo piatto” è il celebre Antonin Carême (1784-1833) che nella sua “L’arte della cucina francese del XIX secolo” scrive: «Ho visto mille volte a tavola i re, gli imperatori e tutti mangiare con delizia la minestra; ho conosciuti tutti i gastronomi del mio secolo e nessuno si è mai dimostrato contrario a questo alimento». Insomma, se nessuno gli è contrario questo potage ha tutte le carte in regola per diventare l’ouverture ufficiale di ogni banchetto che conta. Nel frattempo cambia anche il modo di servire le pietanze, dal “servizio alla francese”, dove tutte le portate erano disposte contemporaneamente a tavola a disposizione dei commensali che si servivano in autonomia, si passa al “servizio alla russa”, ovvero una successione di piatti che escono con un ordine prestabilito dalla cucina. Tale servizio è molto pratico, e non tarda a prendere piede sostenuto dal piccolo cartoncino della “minuta delle vivande”, ovvero il menu con cui era gentile cortesia informare i commensali sulla composizione del pasto. Bene, non c’è menu che si rispetti che non cominci con un potage, e non c’è ricettario che si rispetti che non ne annoveri almeno una trentina tra i fondamentali. E dopo aver conquistato ogni tavola di Francia, il potage oltrepassa i confini per sparpagliarsi in tutta Europa al seguito dell’aristocrazia (e dei suoi eccellenti cuochi). Una delle prime tracce scritte di questo curioso sconfinamento verso l’Italia, la si trova nel “Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria”, scritto nel 1854 dall’aiutante Capo-Cuoco e Pasticcere di Casa Savoia, Giovanni Vialardi, che ribadisce il ruolo primario del potage nei pasti della corte piemontese: «Le buone zuppe o minestre sono le confortatrici dei convalescenti, l’annunzio foriero di un buon pranzo, e preparano lo stomaco a ben pranzare. Quando un convitato comincia con una bella, eccellente e buona zuppa, lo rende gioviale, colla speranza di ben pranzare».
Sappiamo, infatti, che all’epoca il Capo della cucina di Casa Savoia era tale Edouard Hélouis, che prima di portare i suoi servigi in quel di Torino era stato il cuoco di re Luigi Filippo I di Francia. Il rinomato cuoco francese è stato probabilmente il primo a portare il potage sulle tavole nostrane in tutte le sue numerosissime varianti secondo la moda internazionale (Hélouis fu lo straordinario testimone di tutti i pranzi ufficiali italiani tra il 1848 e il 1875, annotati con cura nel suo “Les Royal-Diners” – Guide du Gourmet contenant des menus pour chaque saison – Avec le maniére de le preparer e des conseils sur les service de tables, stampato a Paris a fine servizio). Certo, non che prima in Italia mancassero sostanziose pietanze liquide, ma si sa, il francese nobilita, e i cuochi francesi trovano per lui la posizione ideale e terribilmente rinomata di “preludio”.
Appurate quindi origini, parentado e i blasonati padrini, possiamo concentrarci sulle definizioni. Potage è un termine che indica le minestre in modo generico; questa grande famiglia, secondo la cucina classica si divide in Minestre Chiare (i Consommé), Minestre Legate (Creme, Vellutate e Passati), e infine Zuppe e Minestroni. Io l’ho dovuta prendere un po’ alla lontana perché ovviamente sulle tavole dell’aristocrazia europea nell’ottocento non c’erano certo zuppe di cotiche e fagioli, o rustici minestroni. Colui che apriva i pasti era quasi sempre un raffinato Consommé. Lui, quella specie di sfera di cristallo paglierina, nella quale intravedere i fasti gloriosi dell’imminente desinare. Ora, noi spesso usiamo il termine Consommé come sinonimo di brodo, in realtà il Consommé è sì un brodo ristretto (consumato appunto) che però ha subito un processo di chiarificazione in grado di regalargli meravigliose limpidezze. La tecnica classica per chiarificare un brodo è quella che prevede di unire al liquido degli albumi di uovo, sobbollendo si crea quello che Bressanini definisce un “filtro molecolare” dalle maglie finissime (il calore denatura le proteine dell’albume che si distendono e cominciano a coagulare, legandosi tra loro e formando una fitta rete proteica capace di intrappolare tutte quelle particelle che intorbidivano il brodo). Di conseguenza trovate qui al seguito la ricetta che, senza particolari declinazioni di nazionalità o regione, pone l’attenzione prima di tutto su questa tecnica un po’ desueta, ma estremamente affascinante (è del mitico Escoffier).
L’ho fatto mille volte, ma non smetterò mai di stupirmi di questa specie di cono alchemico di verdura, albumi e carne in poltiglia che distilla essenze concentrate, incredibilmente trasparenti! Detto questo, ovvero, una volta che sarete padroni del metodo base di chiarificazione del brodo, le varianti (aromatizzazioni, e guarnizioni) sono infinite… quasi che si potrebbero fare 365 Consommé differenti, senza mai ripetersi, e senza mai stancarsi: alla Bismarck, printanier, aurora, à la bonne femme, brunoise, Carmen, Cenerentola, Colbert, croûte-au-pot, ai diablotins, domenicano, alla scozzese, Flammarion, Francillon, Hélène, Isabella, Julienne, Lorette, alla madrilena, Mireille, Nana, Talleyrand, Wadimir… La prima volta però seguite il mio consiglio, fate un Consommé semplice, senza aggiunte di sorta, specchiandovi nella sua bellezza cristallina, un attimo prima di gustare la rotondità complessa dei suoi incredibili aromi (nota bon ton: il Consommé va sorbito con grazia, nell’apposita tazza con due manici -senza cucchiaio-)!
CONSOMMÉ
Ingredienti:
350 g di polpa di bovino adulto macinata
100 g di sedano
100 g di carote
100 g di cipolla
1 scalogno
2 spicchi di aglio
2 chiodi di garofano
2 albumi d’uovo
bouquet garni (prezzemolo, alloro, timo, salvia)
2 litri di brodo di carne freddo
Procedimento:
-Tritare finissimamente sedano, carote e cipolla e scalogno. In una terrina mescolare le verdure tritate con la carne macinata e gli albumi. Mettere tutto in una pentola capace, unire l’aglio, il bouquet guarnì, e i chiodi di garofano. Unire il brodo freddo. Accendere il fornello e portare a ebollizione. Fare sobbollire per circa un’ora e mezza. Si formerà un “coperchio proteico” (composto di albumi, verdura e tutte le impurità del brodo), fare un buco al centro di questa crosta per fare in modo che il liquido possa cuocere dolcemente. Durante la cottura non mescolare. Foderare un chinois (colino cinese) con garza umida (o strofinaccio pulitissimo e bagnato), sistemarlo sopra una ciotola. Rompere delicatamente la crosta e filtrare il liquido. Il Consommé é pronto.
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