Valeria Calamaro con Concita Cannavò, Spezie, I sapori del mondo in cucina, Alessandria, Edizioni Sonda e Ctm Altromercato, 2011, pp.219, 18 €.
Esistono maghe delle spezie che vivono nei libri, e maghe delle spezie che i libri li scrivono. Una di queste è Valeria Calamaro, che, aiutata da Concita Cannavò ha scritto un libro bellissimo sui sapori del mondo! Nella folla di ricettari insignificanti che popolano le librerie, questo testo ha il pregio straordinario di mettere al centro il cibo, e, di conseguenza, le spezie non sono altro che l’occasione per inseguire la filosofia di un cibo «buono fino in fondo», anche eticamente. Per definizione dell’autrice si tratta di un info-ricettario. Gli alimenti, infatti, non sono un banale ingrediente di una ricetta, o quell’aggiunta che colora il piatto. Le materie prime hanno provenienze, mondi, culture e popoli alle spalle che meritano di essere raccontati.
Nella storia le spezie hanno sviluppato un fascino indiscusso per i popoli di tutto il mondo; nel loro nome si sono fatti viaggi, scoperte, scambi e incontri. Ma le spezie oggi sono anche oggetto di inopinabili scelte di mercato (chi sospetterebbe che in borsa si scambiano tonnellate di pepe nero a prezzi da capogiro?), e di assurdi «diritti di proprietà intellettuale» (ci sono multinazionali che brevettano prodotti tradizionali, come il riso basmati, il pane indiano chapati o le spezie, costringendo i contadini al paradosso di pagare i diritti d’autore ad una multinazionale statunitense per acquistare e poter coltivare ciò che appartiene loro da millenni). Ingiustizie profonde e tristi, che purtroppo abbiamo già sentito per prodotti come il caffè, il cioccolato, lo zucchero o il cotone: da un lato grandi aziende che impongono i loro standard, dall’altro i piccoli produttori “tropicali”che soccombono cercando di adeguarsi, in mezzo mega buyers intermediari che si arricchiscono. Un esempio per tutti: saremmo disposti a pagare 50 euro al kgr per il pepe nero che ogni giorno mettiamo sul tavolo accanto al salino? Certamente no, e invece, è proprio il prezzo che il consumatore paga al dettaglio per avere un pepe nero che nello Sry Lanka, al produttore è pagato circa 1 euro.
Valeria però non si perde in questo desolante panorama di squilibri e meccanismi economici, passa volentieri ad un, seppur piccolo, tentativo di soluzione: la nostra cucina. «La cucina» dice, «è un luogo sacro che, più di altri in casa, ci appartiene, fatta di tutti quei gesti, accessori, colori e stili, scelte che riflettono la nostra personalità. In cucina sperimentiamo e non mettiamo mai radici, impariamo a innovare la tradizione e andiamo incontro al mondo. Scegliere, in cucina, significa non solo essere consumatori, ma essere consapevoli di cosa sta al di là del nostro atto d’acquisto». In Occidente le spezie sono beni che, anche nei momenti di crisi economica, non subiscono grossi cali di vendite. Sono considerati «beni consolatori», che magari sostituiscono una cena al ristorante. Una scelta minuscola come comprare qualche grammo di spezie all’equo e solidale, invece che al supermercato, diventa un valore grandissimo capace di dare un senso etico al lavoro di chi vive della coltivazione di certi aromi, e di chi li usa per cucinare (uno dei produttori marocchini di zafferano per Altromercato ha raccontato all’autrice:«Dovete saper che per un chilo di zafferano servono 220 mila fiori, per raccoglierli ci vogliono 200 ore e altre 60 per mondarli. Senza contare il resto del lavoro agricolo. Ecco, immaginate la fatica per avere questo grammo di zafferano che ora è nelle vostre mani…»).
Questo libro è diviso in tre parti, si potrebbe dire una parte per la Realtà del mercato delle spezie, una parte sulla Poesia che questi aromi sprigionano (dalla A di anice alla Z di zenzero, le spezie, come le persone, hanno storie curiose e personalità ben precise), ed infine la Fantasia delle ricette in cui questi semi, erbe, radici, foglie, bacche diventano protagonisti assoluti. Il ricettario di Valeria è un luogo di incontri: accanto ad ogni ricetta (tradizionale o etnica) si trova la versione vegana di Concita, che ha collaborato con l’autrice per ricreare un’alternativa praticabile da coloro che vogliono escludere dalle pietanze alimenti di origine animali e i loro derivati; inoltre alcune ricette sono proposte dai ristoranti del Circolo del Cibo, una interessantissima rete di «cucine sensibili» dove gli chef, nei loro menu, fanno dialogare ingredienti equi e materie prime del territorio (www.ilcircolodelcibo.it). È un libro che ben si adatta ad una lettura d’istinto e di curiosità, lo si può esplorare entrando da tante porte (anche dal blog dell’autrice www.fattidicannella.it), ma in ogni modo si finisce con una gran voglia di andare a comprarsi un mortaio (o meglio di cercare una pietra tonda di fiume da usare su un tagliere), e cominciare a crearsi le proprie personalissime miscele di spezie!
Per testare la validità di un libro di cucina non c’è miglior mezzo che provare qualche ricetta seguendo fedelmente le dosi ed i procedimenti. Se anche voi volete provare, ne riporto qui una semplicissima e di sicuro successo, adatta anche ai vegetariani: Manakiche B’Tzaatar (una specie di focaccia salata condita con olio, sesamo, timo e sumac tipica della Palestina). Ingredienti: 200 ml di acqua, 350 gr di farina bianca, 1 cipolla bianca, 1 cubetto di lievito da 25 gr, 1 cucchiaio di miele, 1 cucchiaino di sale, 1 tazza di olio extra vergine d’oliva, qualche cucchiaino di miscela za’hatar*). Procedimento: mescolare farina, lievito ammorbidito in una terrina con acqua tiepida, un cucchiaino di miele e 3 cucchiai di olio d’oliva. Lasciare lievitare la pasta per 1 ora e ½ o 2 ore, coperta con un panno e in un luogo tiepido. Stendere la pasta in dischi di 15 cm e condire con olio d’oliva, cipolla tritata sottilissima, sale, pepe e za’hatar; infine infornare in forno preriscaldato a 180° per 15 minuti circa.
* È principalmente un misto di timo, semi di sesamo e sumac, ma può includere molte altri aromi perchè ogni famiglia ha la sua miscela segreta. È disponibile tra i prodotti Altromercato del commercio equo e solidale, ma se non la trovate mescolate soltanto timo e sesamo.
***
In altri casi per questa “pizza Za’hatar” faccio semplicemente l’impasto della PizzaBetulla (sostituisco 50 g di farina 0 con 50 g di semola di grano duro), poi taglio grossolanamente 4 o 5 cipolle bianche e le condisco con olio extravergine e con un cucchiaio abbondante di za’hatar. Cospargo il tutto sulla pasta e faccio cuocer come una normale pizza o focaccia.


Come mi ispira! Io non posso vivere nè cucinare senza le spezie… 🙂