Se sulla parete della mia cucina non avessi appeso le 100 copertine dei cookbook più venduti dalla Penguin negli ultimi sessant’anni, di sicuro sarei passata oltre incontrando “Venere in cucina” abbandonato sul fondo di una cassetta della frutta in uno dei soliti (tanti) mercatino delle pulci dove gironzolo volentieri a tempo perso. E invece io sono una fanciulla romantica…e cupido con arco e frecce che svolazza tra i fumi di una zuppiera ricolma su un tavolo da sei mi si è scolpito in testa. Non sospettavo che ci fosse una traduzione italiana, ma pur con una copertina diversa ho capito subito che quel “Venere in cucina” incontrato per caso doveva essere proprio lui: “Venus in The Kitchen” l’angioletto in rosa su cui fantasticavo quotidianamente ogni mattina a colazione alzando gli occhi oltre al tavolo da pranzo.
Insomma, è febbraio, oggi è anche San Valentino, e #illibrinobacucchino del mese non poteva che essere un grande classico della letteratura culinaria in salsa piccante.
Chiariamo subito: io non ci credo. Cioè non credo proprio che esistano cibi afrodisiaci perché sull’argomento la penso esattamente come la saggia, insuperata Isabell Allende nel libro “Afrodita” (ne avevo parlato qui). Ovvero: “l’unico cibo davvero afrodisiaco è l’amore”! Detto questo io faccio esattamente come coloro i quali non credono agli oroscopi e poi se li leggono tutti, perché in fondo non si sa mai. Predico bene e razzolo male: non credo ai cibi afrodisiaci ma trovo divertente curiosare tra i sapori considerati tali. Guardando quel puttino in volo sulla parete di casa mi sono chiesta mille volte cosa ci fosse tra le pagine del libro. Sarà il solito elenco di sedani, cacciagione, crostacei, caviale, anguille, lumache, funghi, tartufi, innaffiati da Champagne??? Ebbene sì. La verità è che “Venus in The Kitchen” è una raccolta di ricette barocche, eccessive e ormai davvero datate. Ironiche e insensate sino ai limiti dell’assurdità (alcune sembrano più pozioni magiche da fattucchiere squinternate che alimenti commestibili). A discapito del titolo bellissimo, l’unica cosa che può comparire tra i fornelli cucinando questi piatti per coronare un convegno amoroso, non è una sinuosa dea dell’amore, ma un imbarazzante Morfeo sottoforma di sbadigli, sonnolenza e pisolino post-prandiale!!!
Basta leggere bene l’introduzione dello scrittore inglese Norman Douglas (a volte usava lo pseudonimo Pilaff Bey), per capire meglio quanto “Venus in The Kitchen” non sia un libro per evocare Venere con il cibo, quanto più un modo nostalgico per sublimarla con una buona, gloriosa mangiata. L’autore infatti confessa candidamente: “Iniziai questa raccolta una notte, dodici anni fa (N.d.R nel 1949), quando ad un pranzo succulento, innaffiato da parecchie bottiglie di vino rosso, fecero seguito amare lamentele sul proprio declinante valore da parte dei membri più anziani della riunione. Uno di essi osservò: «Qualcosa si potrebbe fare ricorrendo a corroboranti ricette culinarie, e aggiunse che Liebault, nota autorità in materia, aveva scritto sugli effetti afrodisiaci prodotti da alcuni condimenti e determinate pietanze. Mi venne dato allora l’incarico (con aggiunte di suppliche scherzose) di approfondire la cosa e di prender nota di quelle ricette che più rispondevano alle loro contingenze. Lo feci e distribuii copie del mio lavoro». Per farla breve questo è un bizzarro elenco di ricette raccolte ad uso e consumo di un’allegra congrega di arzilli signori attempati «tutti ansiosi (chi non lo è?) di conservare il più lungamente possibile la vitalità della loro gioventù e dell’età matura». Ma almeno funzionano? Douglas riporta l’entusiasmo di un caro amico di Smirne, che diceva di averne provata una o due. Onestamente il campione mi pare po’ limitato per essere autorevole… in ogni caso penso sia difficile aumentare la platea di valorosi pronti a ingurgitare code di lucertola, testicoli di toro, midollo di leopardo, animelle al porcospino…e via dicendo, in nome dei vigori giovanili (l’amico di Douglas doveva essere un amico immaginario!).
Norman Douglas era un romanziere arguto e raffinato che trascorse la seconda parte della sua esistenza in una sorta di dorato (assolato) autoesilio mediterraneo nell’Isola di Capri. Innamorato del nostro bellissimo Sud Italia ebbe in vita il suo maggiore successo con “South Wind”, pubblicato nel 1917. Sullo sfondo dell’isola immaginaria di Nepente si svolge una specie di giallo, anche se l’argomento di conversazione principale dei protagonisti è sempre lo scirocco, vento caldo dal sud che tra le pagine di Douglas sembra influire sui comportamenti degli uomini, specialmente gli anglosassoni, spingendoli verso la follia e la corruzione dei costumi.
Io mi sono fatta un po’ l’idea che “Venus in The Kitchen” sia in realtà il CookBook di “South Wind”. Avete presente quando sull’onda dell’euforia per una bella serie tv di successo corri a comprare in libreria anche il relativo ricettario, come se con il cibo si potesse tenere in vita ancora un po’quella fascinazione quasi magica appena provata davanti allo schermo??? Ecco io sono convinta che Norman Douglas abbia trascritto le pietanze di “Venus in The Kitchen” con la stessa penna sorniona e compiaciuta di “South Wind” per indugiare mollemente, e ancora, su Nepente. I cibi afrodisiaci non sono per lui che un pretesto per continuare raccontarci di quel vento caldo, umido, sensuale, ammaliante, che in primavera e in autunno soffia a da sud-est sul Mediterraneo inebriando, o sviando, gli animi e i cuori…
Ma esiste un vento più folle e travolgente dell’Amore? No. E sono sicura che Norman Douglas lo sapesse benissimo!
Vista la pressoché totale inutilità delle ricette di questo libro per uso culinario (come ho detto l’unica chiave di lettura è un’ironia non commestibile), condivido qui la più inutile di tutte, e mi allineo così a giornali e testate che oggi consigliano improbabili piatti di San Valentino per innescare la passione (o la depressione visti i solenni fallimenti che si rischiano)! A prima lettura le “Rôti sans pareil” riportato da Douglas potrebbe sembrare solo una gran bislaccata. E in effetti lo è, perché non ci sono altre parole per descrivere 17 pennuti, uno dentro l’altro, arrostiti in casseruola per 10 ore. Ma il nostro Douglas, riprende e riassume le rôti di A.T Raimbault (Le parfait cuisinier, 1814), che a sua volta si rifaceva senza dubbio a Balthazar Laurent Grimod de la Reynière, gastronomo francese autore dell’Almanach des Gourmands (1802). Insomma se esiste il metateatro, forse esiste la metacucina, perché come nel “Rôti sans pareil” ogni pennuto costituisce la farcitura di quello più grande, così questa ricetta farcisce via via nel tempo libri più esagerati e bizzarri. A parte Grimod de la Reynière, probabile ecclettico capostipite del monumentale arrosto di arrosti, credo che ben pochi di coloro i quali riportano questa ricetta l’abbiano davvero provata (così è anche per me, quindi per cortesia non chiedetemi dettagli come la temperatura del forno, o dove trovare un ortolano -la caccia e il commercio del povero piccolo Emberiza hortulana sono vietati in U.E dal 1999 – : sono cose che non so e non voglio sapere). Per dovere di cronaca vi dico però che il mistico “Rôti sans pareil” ha un degno erede nel “turducken” piatto statunitense diffuso in Louisiana. Il nome è la crasi tra turkey (tacchino), duck (anatra) e chicken (pollo), e in effetti il tutto consiste in un’anatra disossata ripiena di un pollo disossato, a sua volta racchiusa in un tacchino disossato. Inoltre in Inghilterra esiste il “gooducken”, una variante del “turducken” in cui il tacchino è sostituito con l’oca.
Del perché questa assurda matrioska di arrosti dovrebbe anche avere poteri afrodisiaci rimane per me un grande, grandissimo mistero. In ogni caso, pur senza scomodare credenze ataviche sulle virtù rinvigorenti della cacciagione, sono certa che dopo aver spiumato, pulito e disossato 17 volatili, dopo averli infilati l’uno nell’altro, e dopo averne accudito la cottura per 10 ore in un turbinoso baccanale degno di una prova di Masterchef, non avrai più le forze per alcunchè, ancor meno per beneficiare delle presunte virtù afrodisiache dell’arrosto senza pari!!!
😉 Buon San Valentino!
RÔTI SANS PAREIL
tratto da Pilaff Bey (Norman Douglas), “Venere in cucina”, Milano, Longanesi&C, 1954, pp. 149-153.
Prendete una grossa oliva, levate il nocciolo e riempitela con pasta di acciuga, capperi e olio.
Mettete l’oliva nell’interno di un beccafico disossato, legate.
Mettete il beccafico nell’interno di un grosso ortolano.
Mettete l’ortolano dentro un’allodola disossata.
Mettete l’allodola imbottita dentro un tordo disossato.
Mettete il tordo dentro una grossa quaglia.
Mettete la quaglia, ravvolta in foglie di vite, dentro una pavoncella disossata.
Mettete la pavoncella dentro un piviero dorato, disossato.
Mettete il piviero dentro una grossa pernice dalle gambe rosse disossata.
Mettete la pernice dentro una giovane beccaccia frollata e disossata.
Mettete la beccaccia, avvoltolata in mollica di pane, dentro un’alzavola disossata.
Mettete l’alzavola disossata dentro una gallina faraona disossata.
Mettete la faraona ben lardellata dentro una giovane anatra domestica disossata.
Mettete l’anatra dentro un pollo grasso disossato.
Mettete il pollo dentro a un fagiano ben frollato.
Mettete il fagiano dentro un’oca selvatica disossata.
Mettete l’oca dentro un bel tacchino.
Mettete il tacchino dentro un’ottarda disossata.
Avendo apportato il vostro arrosto in siffatta maniera, mettetelo in una casseruola di adeguate dimensioni con cipolle imbottite di chiodi di garofano, carote, piccoli quadrati di prosciutto, sedano, maggiorana, strisce di lardo ben salato, pepe, sale, spezie, semi di coriandolo e due spicchi d’aglio.
Chiudete ermeticamente la casseruola tappandola per mezzo di una pasta collosa (N.d. R: per “pasta collosa” non si intende il bostik, ma acqua e farina). Lasciatelo poi per dieci ore sul fuoco lento, e regolatelo in modo che il calore penetri uniformemente. Un forno moderatamente caldo converrebbe meglio che il focolare.
Prima di servire togliete via la pasta, mettete l’arrosto su un vassoio scaldato rimovendo prima l’unto, qualora ve ne fosse, e servite.
(Riassunto de Le parfait cuisinier di A.T. Raimbault, 1814).
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Può risultare difficile procurarsi tutto in una volta un assortimento così vario di uccelli; difficile anche trovare oggi ottarde in Europa. E come imbottire un uccello piccolo quale il piviero con un uccello tanto più grande quale la pavoncella? Noto con dispiacere che la comune pernice, uno tra i più squisiti volatili selvatici, non è rappresentata in questa uccelliera.
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BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA:
-Pilaff Bey (Norman Douglas), Venere in cucina, Milano, Longanesi&C, 1954, Lire 350.
-Isabel Allende, Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci, Milano, Feltinelli, 1977.
-Elisabetta Moro, Douglas, che scelse il vento del sud, il Mattino, 8 dicembre 2018.
-Stenio Solinas, Sesso, sole e farfalle. La Capri pagana di Norman Douglas, il Giornale, 9 agosto 2017.
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