Nella piazza del paesino in cui sono cresciuta c’è una fontana con in cima la statua di una graziosa fanciullina. Ora, sorvolando sull’estro artistico di far sgorgare l’acqua dalla testa di un caprone, la fontana è comunemente detta “della Bela Rosin”. Ovviamente io ho vissuto due terzi della mia esistenza convinta che quella là in cima fosse proprio lei, ovvero il ritratto in marmo della mitica Rosa Vercellana, moglie morganatica di Vittorio Emanuele II, che io immaginavo esattamente come una “ninfa dei boschi” scelta e amata da un grande Re. Poi è successo che un pomeriggio ho trovato in casa il libro di Roberto Gervaso (La bella rosina- Amore e ragione di Stato in Casa Savoia), e la mia illusoria immagine si è sgretolata pagina dopo pagina. La Bela Rosin aveva il re, e sicuramente una vita principesca, ma era ben lontana dall’approvazione e il consenso che nella mia fantasia (nutrita di amanti/regine dell’Ancien Regime) spettava di diritto alla compagna in carica del sovrano. Oltre a un amore di tutta la vita, il re le regalò titoli nobiliari, castelli e possedimenti terrieri, ma niente le fece ottenere il rispetto della provinciale aristocrazia torinese (e subito dopo di quella toscana o romana), né tanto meno della corte sabauda o del primo ministro Cavour, che osteggiava di tutto cuore l’unione del suo sovrano con una procace popolana senza cultura. Insomma, letto il libro di Gervaso, la Bela Rosin è entrata nel grande gruppo delle “principesse tristi”, e lì sarebbe rimasta se negli anni la cucina non mi avesse fatto vedere l’altro lato della medaglia.
Il baffuto Vittorio Emanuele II aveva decisamente una bella vita fatta di cerimonie, incontri ufficiali, una famiglia con la moglie Maria Adelaide, e innumerevoli amanti. Poi aveva la Rosina, che lo aspettava nel castello della Mandria, gli parlava in piemontese, e cucinava personalmente per lui pranzetti semplici e lontani anni luce dalle raffinatezze del palazzo reale. Così come Maria Antonietta giocava a fare la contadina nel suo villaggio campestre di Versailles, io ho iniziato a immaginare il buon Vittorio che arrivava alla Mandria, si metteva in pantofole, e guardando Rosin cucinare un robusto pasto piemontese, diventava un uomo normale. Lei non fu mai regina, ma senza dubbio regnò incontrastata sul cuore del suo re con la semplicità gloriosa di una donna del popolo, cioè prendendo l’amante per la gola a suon di aglio e cipolla (siamo in Piemonte!). L’intera Europa faceva dell’alito pesante di Vittorio Emanuele il segno di un re volgare, criticato per un ménage extraconiugale, come per i suoi gusti sempliciotti e campagnoli. In realtà, proprio grazie ad aglio, cipolla, e sapori “terra terra” la nostra Rosin riuscì a tenersi stretto il suo uomo per tutta la vita. Non è un caso se la tradizione popolare associ alla procace nizzarda uno dei suoi piatti più semplici e amati: le uova sode ripiene di maionese. Sembra che Vittorio Emanuele ne fosse ghiotto, e in fondo non c’è niente di più semplice, campestre e felice che un uovo ripieno mangiato su un prato. Per una volta l’associazione tra piatto e personaggio non è casuale, penso che in fondo questo piatto rappresenti Rosa Vercellana meglio di tanti ritratti e storielle scritte su di lei: queste uova mimosa ne colgono l’eleganza vezzosa e serena e soprattutto la bontà d’animo. Un po’ come la statua in cima alla fontana del mio paesino. Per me la Bela Rosin sarà sempre così, una dolce ragazzina di campagna che si è innamorata di un Re.
Con queste Uova alla Bela Rosin contribuisco alla giornata nazionale delle uova ripiene del Calendario del cibo italiano di Aifb, e io non potevo che declinare alla piemontese, e con una romantica storia d’amore, questo piatto primaverile e gustoso.
A quanto ne so (grazie alle solite frequentazioni libresche e di tavola), si definiscono “uova alla Bela Rosin” uova sode ripiene di maionese decorate con tuorlo d’uovo sodo passato al setaccio. In alcuni casi la maionese è arricchita con parte del tuorlo, prezzemolo e aglio tritati. In altri casi, come in questo, semplicemente con una maionese aromatizzata con una punta di pasta d’aglio (versione aggraziata della più ruspante aioli).
UOVA ALLA BELA ROSIN
N.B: in questa ricetta ho fatto una maionese con uova crude, particolarmente pericolosa per l’agente batterico della salmonella. Esistono in rete numerose versioni di maionese pastorizzata (tipo quella di Montersino), e altrettante voci che ne sottolineano l’inefficacia (vedere i commenti di questo articolo). Per cui non posso che sottolineare i rischi delle uova crude e di questa preparazione, e dire che nella propria casa ognuno cucina a proprio rischio e pericolo!
Ingredienti:
per la maionese
1 uovo freschissimo
1 dl di olio di semi di mais
1 dl di olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di senape
1 cucchiaio di succo filtrato di limone
eventualmente 2 spicchi di aglio pestati nel mortaio -o sul tagliere con il fondo di una bottiglia-
6 uova
prezzemolo o basilico per decorare
Procedimento
-Per la Maionese:rompere l’uovo nel bicchiere del mixer a immersione, aggiungere un cucchiaino di senape, sale ed eventualmente la pasta d’aglio. Azionare il mixer e colare a filo gli oli sull’uovo. Alla Fine, quando la maionese avrà già una consistenza densa e omogenea aggiungere il succo di limone.
P-er le uova sode: sembra la preparazione più semplice della terra, ma anche lei ha i suoi trucchetti. Le uova devono essere rigorosamente a temperatura ambiente, altrimenti il guscio rischia di rompersi compromettendo la forma dell’ovetto sodo. Dunque, portare a bollore un pentolino pieno d’acqua con un cucchiaio d’aceto per evitare incrinature del guscio, immergere le uova con un cucchiaio e cuocerle per i classici 10 minuti dalla ripresa del bollore. Dato che il tuorlo dovrà essere setacciatao è bene che l’uovo sia ben sodo. Raffreddare subito le uova sotto l’acqua corrente fredda e sgusciarle ( se si superano i 10 minuti di cottura, o se si lasciano raffreddare le uova in acqua calda il tuorlo sodo avrà un terribile colore più scuro, oltre che antiestetico questa patina verdognola -data dai composti solforati dell’albume che si legano al ferro del tuorlo- é anche indigesta).
-Tagliare a metà le uova sode, togliere il tuorlo tenendolo da parte. Riempire le barchette di mezzi albumi con la maionese all’aglio ricoprendoli interamente. Passare in un colino a maglia finissima i tuorli sodi, e con il ricavato spolverizzare le mezze barchette ripiene. Si avrà l’effetto di una pioggia di fiori di mimosa delicata e primaverile. Servire guarnendo con foglie di prezzemolo o di basilico.
(volendo utilizzare meglio i tuorli mescolare quelli in eccesso con ma maionese, qualche foglia di prezzemolo, due acciughe e dei capperi).
Silvia Pasticci dice
Ma che belle! Sembrano fiori di mimosa!
zia Consu dice
Questo è un piatto che anche sulla tavola delle feste fa una bellissima figura e richiama a gran voce la primavera 🙂
Bravissima cara e non posso che approfittarne x lasciarti i miei migliori auguri di felice Pasqua <3
A presto 🙂
Flavia Galasso dice
Ma sai che io non conoscevo la storia della bella Rosin? Ma hai fatto un post davvero bello, così come le tue uova ripiene! Si hai ragione ognuno nella propria cucina fa tutto a suo rischio e pericolo è la salmonella si prende per via del guscio delle uova…quindi basta solo stare “accuort”!!! Buona Pasqua. Flavia
Valentina dice
Sono straordinariamente belle le tue uiva. Non ho mai avuto l’usanza di preparare uova ripiene nel periodo di Pasqua ma dal prossimo anno ho validissime alternative tra cui scegliere… o forse le faccio tutte!
Ottavia dice
Grazie per il tuo bellissimo contributo! Da piemontese doc non posso non amare questa ricetta.
Ne approfitto per augurarti buona Pasqua.
Fabiola dice
Mi sono innamorata del tuo racconto e poi delle invitanti uova ripiene da te preparate e fotografate in modo meraviglioso! Ora mi sono segnata la ricetta e al più presto spero di metterla in pratica. Un abbraccio forte e speriamo di poterci rivedere al più presto. 🙂
Cristina Dianin dice
Carissima, solo tu potevi accompagnare un piatto così ordinario con una presentazione così stra-ordinaria per ricchezza della storia raccontata. (P.S. Ma quanto leggi ?!?! Ma, aldilà del “quanto”, mi domando sempre dove/come li cerchi/trovi tutti i dati storici che condividi con noi ?)