Cari Amici, ricordate il bellissimo carnevale alpino di Valdieri? Quello con l’orso di Segale di cui vi ho parlato a febbraio? In diversi testi che ho consultato per scrivere il mio post ho letto che una delle raffigurazioni più antiche di questa bizzarra, rustica “maschera” si trova dipinta nella Quattrocentesca chiesetta di San Fiorenzo a Bastia di Mondovì (provincia di Cuneo). Siccome il monregalese è per me terra di deliziose esplorazioni e gitarelle, mi sono segnata il luogo con l’idea di farci un giretto alla prima occasione utile. Bhe, non avete idea di quale meraviglia sia questo piccolo, straordinario santuario rurale. Roba che, come dico sempre, fossimo in Francia ci sarebbero i cartelli lungo l’autostrada: « Uscite qui, visitate questo luogo unico! ». E dopo un parcheggio a pagamento, venditori di miele coltivato nei dintorni, bancarelle di biscotti, essenze, e libri, ingresso (e magari anche uscita) a peso d’oro. Invece niente di tutto questo: San Fiorenzo è un gioiello nascosto, e solitario (e forse per questo ancora più prezioso). Lungo la statale c’è qualche cartello marrone (quelli che indicano i beni artistici), ma nessuna gigantografia che attiri l’occhio del turista (quindi controllate il percorso a casa). Una volta sul posto (tranquilli i posteggi abbondano e sono gratuiti), non troverete folle oceaniche, ma più probabilmente, come è capitato a me e alla dolcemetà, sarete soli soletti con la guida, o al massimo in compagnia di qualche altra coppia (attempata) di appassionati cultori dell’arte.
La chiesa è aperta da aprile a ottobre tutte le domeniche (h.15-19), grazie ad una vivace associazione culturale (San Fiorenzo O.N.L.US). Visitando il loro sito troverete maggiori informazioni, anche perché di tanto in tanto nella chiesetta si svolgono anche suggestive serate e concerti di musica antica. La stessa associazione si occupa delle visite, e se avrete la fortuna di incappare nello stesso preparatissimo signore che ha condotto la nostra visita rimarrete a San Fiorenzo due buone orette, cullati dalla sua sottile arte oratoria e dalle incredibili curiosità di questo luogo, narrate da qualcuno che coniuga con maestria conoscenze e cuore. Come sapete condivido l’esistenza con uno storico di professione, il che significa che quando andiamo a zonzo e facciamo una visita guidata ad un monumento, qualche volta devo assestare un pestone ben dato con il piede, o una gomitata strategica, per evitare che gli venga la bella pensata di contraddire gli strafalcioni storici sparati dalla guida, o qualche interpretazione un po’ troppo personale, parziale e fantasiosa della grande e della piccola Storia. In effetti, siccome amiamo l’arte locale, e luoghi sperduti, aperti dalla tabaccaia del paese, dal sacerdote in persona, o dal pensionato volontario (cioè non da guide professioniste) ne abbiamo sentite un po’ di tutti i colori: dinastie mescolate alla bell’e meglio, date confuse, teorie del complotto esposte come verità di fede, fantasmi (inevitabili), un po’ di Alberto Angela sparso qua e là, quesiti isoluti e paludosi alla Giacobbo, pipistrelli killer annidati nella cripte, allineamento architettonico sui campi magnetici, e a random anche i poveri templari tirati in ballo a sproposito e per la qualunque. Certo, io prendo in giro la Dolcemetà, e la sua meticolosa precisione, ma certe cose, davvero non si possono sentire! Con grande gioia, comunque, a San Fiorenzo non è capitato nulla di ciò, anzi, lo sconosciuto signore (purtroppo non sappiamo il nome), che certamente non è una guida nella vita, ha illuminato con saggezza e grande intelligenza lo straordinario ciclo di affreschi conservato nella chiesa. I complimenti non rendono giustizia ad un amore, che nel raccontare l’Arte e la bellezza, raggiunge il senso profondo del “custodire” i beni culturali del nostro Paese.
Detto questo, volete sapere se ho visto l’orso di segale? Certo! Dovrebbe essere lui, demone di un inferno immaginifico e terrificante. A dirvi la verità sto cercando lumi (e studi scientifici) che confrontino meglio il rapporto tra queste figure diaboliche e i travestimenti dei carnevali del Basso Piemonte. Per ora, non ho trovato molto, ma eventualmente aggiornerò il post. (cfr. bibliografia).
San Fiorenzo insomma incarna il concetto di “biblia pauperum”, ovvero l’idea “istruire attraverso le immagini”, e per dirla tutta, pensandomi donna del Quattrocento, sarei stata terrorizzata, e veramente “timorata di Dio”, dopo aver ascoltato una messa in questa chiesa. Chissà se i celebranti si aiutavano con queste figure dipinte sulle pareti per rendere incisive le loro prediche? Credo proprio di sì! E vi garantisco che visti, e ascoltati qui, sotto forma di cavalcata allegorica, nessuno vi toglierà più dalla testa i sette vizi capitali (perché mi domando San Fiorenzo non è meta di gite scolastiche giornaliere, facili e felici, almeno per tutte le scuole medie della provincia di Cuneo?).
C’è un motivo per il quale vi parlo di questa chiesetta proprio oggi. É il 24 giugno, San Giovanni. Accanto all’ingresso un cartiglio dell’ultima Storia dedicata a Sant’Antonio reca la testimonianza della committenza: “1472 nel giorno 24 del mese di giugno, Bonifacio Turrino fece fare quest’opera”. Costruita sulla tomba di San Fiorenzo agli inizi del 1200 come testimonianza di devozione, il piccolo oratorio per viandanti è stata ampliato e affrescato con questo importante ciclo pittorico, datato appunto 1472. Quindi proprio oggi questa incredibile chiesetta per pellegrini incastonata nel verde delle rive del Tanaro compie ben 546 anni!
Naturalmente non voglio togliervi il gusto di andare a vederla raccontandovela tutta per filo e per segno, ma il glorioso messaggio di questa “preghiera dipinta” e articolata (Gerusalemme Celeste, Inferno, infanzia di Gesù, passione di Cristo, Storie dei Santi) muove le stesse emozioni (speranza, paura, ironia) che da “poveri peccatori qualunque” abbiamo in comune con uomini e donne del medioevo. 😉
Essendo io una appassionata (e sempre divertita) lettrice dei Vangeli Apocrifi, non posso che segnalarvi di avere un occhio di riguardo per la controfacciata affrescata con le Storie della Vergine e dell’infanzia di Gesù. In questi racconti un po’ bislacchi e ingenui, ma soprattutto in questo “bambino con super poteri”, che sparge prodigi a destra e a manca, trovo sempre un’umanità sorniona, incredibile e vera!
Infine, visto che questo è pur sempre un blog di cucina, e io sono una cuoca, eccovi quattro immagini particolarmente significative. Un San Giuseppe intento a cuocere un buon brodo di pollo (considerato ricostituente per le puerpere) per Miria che ha appena dato alla luce Gesù (notare la treccia d’aglio appesa sui sostegni della capanna)! 2. Tra le Opere della Misericordia: nutrire gli affamati! (e qui ci siamo!).
3. Tra i sette peccati capitali c’è la personificazione della Gola (con arrosto allo spiedo e fiasco di vino) che cavalca la volpe (nei bestiari medievali era l’animale simbolo della golosità). 4.La dannazione eterna cui è costretto il goloso non pentito: trafitto dallo stesso spiedo dell’arrosto e ingozzato da due diavolacci!
Ecco, ci faccia da monito! 😉
Bibliografia:
-Nicoletta Nicoletti, “L’orso carnevalesco”, in “Messaggi”, 21, 2003, pp. 8-9.
-Nicoletta Nicoletti, “Il ritorno dell’orso di segale”, in “Piemonte Parchi”, 134, 2004, pp.18-20.
-Adriano Antonioletti Boratto, “Santi e Demoni, Affreschi in San Fiorenzo a Bastia Mondovì”, 2012.
-Enrico Comba e Daniele Ormezzano, “Uomini e Orsi, Morfologia del selvaggio”, Collana di studi del Centro Interdipartimentale di Scienze Religiose – Università di Torino, Accademia University Press, Torino, 2016 (in particolare il lavoro di Caterina A. Agus, “Il tempo dell’orso, l’orso nel tempo: l’exemplum dell’arco alpino occidentale”, p.15-36).
-Lia Zola (a cura di), “Memorie del territorio, territori della memoria”, Franco Angeli, Milano, 2009.
-Piercarlo Grimaldi, “Orsi di pelli, di paglia, di piume e di foglie” (pdf disponibile sul sito dell’Ecomuseo dei terrazzamenti e della Vite).
Negli studi citati relativi all’orso si dice che a partire dal XIV secolo questo comincia a apparire nell’iconografia cristiana come simbolo del peccato associato al demonio (da qui il senso di “domarlo” e bruciarlo durante il Carnevale, come a Valdieri e in numerose altre feste del basso Piemonte). Mi piacerebbe però trovare qualche studio più specifico sui diavoli raffigurati a San Fiorenzo, e capire come e perchè sono orsi. Un paio di ore in biblioteca mi toglierebbero ogni dubbio, così come riuscire a leggere questo testo, che spero di consultare quanto prima:
Piercarlo Grimaldi, “Bestie, Santi, Divinità. Maschere animali dell’Europa tradizionale”, Torino, Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi”.
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