Finalmente torno ad aggiornare la sezione “strada panoramica” del #Betullablog, e lo faccio con una deliziosa gitarella giornaliera appena oltre il confine (non lo varcavo dal 2019 e sentivo una struggente nostalgia del “passaggio tra mondi”). Saint Véran è un minuscolo paesino francese incastonato tra le montagne del Parco Regionale del Queyras a 2042 metri di altitudine (dipartimento delle Hautes-Alpes). Vanta infatti il record di comune più alto d’Europa, oltre che quello di fare parte dei villaggi più belli della Francia intera.
Con la poesia propria solo della cultura francese Saint Véran è definito «Le pays où le coq picore les étoiles», ovvero «il paese dove il gallo becca le stelle», questo ovviamente sia per la sua posizione, sia per la presenza di monumentali croci ornate con gli strumenti della passione di Cristo, e tra loro anche il famoso gallo di Pietro, che oltre a cantare tre volte nel vangelo, da queste parti, nelle notti limpide sembra nutrirsi direttamente di stelle sparse come granaglie sulla via lattea.
Chiamato un tempo Le Travers (si estende per più di un chilometro in diagonale lungo la montagna di Beaureguard), Saint Véran è inondato di luce: qui sono stimati 300 ben giorni di sole all’anno, come testimoniano anche le numerose meridiane che abbelliscono i caratteristici chalet del villaggio. Proprio queste antiche case tradizionali (un centinaio in tutto), rendono unico Saint Véran che è un vero e proprio esempio di architettura rurale a cielo aperto: gli edifici avevano contemporaneamente funzione di abitazione/stalla e di magazzino per lo stoccaggio dei prodotti agricoli, per cui sopra ad una parte in muratura si innestava una struttura realizzata in tronchi di larice (mélèze) preposta all’essiccagione del fieno e alla conservazione dei cereali. Oggi ovviamente la maggior parte di queste case ha subito notevoli rimaneggiamenti dovuti al fatto che pratiche agricole e bestiame hanno lasciato il posto alle esigenze dei turisti. All’ingresso del paese però è visitabile “Le Soum”, casa museo che custodisce sapientemente la memoria storica del villaggio: una specie di monito dei tempi in cui la vita a Saint Véran doveva essere una continua “prova di forza” con la Natura ostile delle alpi circostanti.

Altro elemento davvero molto curioso sono le fontane disseminate per tutto il paese, e tutte costruite secondo lo stesso modello: una parte rettangolare per il lavaggio dei panni (detta “batchass”, lo stesso termine usato in dialetto piemontese), e una cilindrica ricavata da un tino di legno, riservata invece all’abbeveraggio delle bestie.
Per rimanere in tema di acque devo fare una divagazione sul nome del paese, Saint-Véran, abbondantemente trascurato da tutte le info. turistiche che ho letto per preparare questa gitarella, e che invece secondo me è degno di nota: tale Véran (forse Wrain) era stato un vescovo franco del VI secolo la cui biografia svapora nel tempo. Sembra però che dal suo eremo di Vaucluse il signor Véran (già in odor di santità) compì il suo primo miracolo liberando le acque della Sorgue da un drago orribile chiamato “Couloubre”. Ebbene sì le «chiare, fresche, dolci acque» della famosa Fontaine de Vaucluse (sorgente della Sorgue) cantate da Petrarca non sarebbero state tali se Véran non avesse cacciato il Couloubre (e probabilmente tutti i culti pagani a lui associati). Ora, dalle limpide acque dell’amena località provenzale, dove poteva andare a morire l’immonda bestiaccia ferita e dolorante? Ebbene sì, risalendo la Durance il Couloubre finì per esalare il suo ultimo respiro sulle alpi più aspre, proprio nei pressi del remoto villaggio che noi oggi conosciamo come Saint-Véran (oltre a dare il nome al luogo il vescovo liberatore è diventato il patrono della parrocchia, ed è celebrato ogni 14 novembre).
Io sono sempre fatalmente attratta da questo genere di leggende legate ai riti delle acque e soprattutto dai valenti “ammazza-draghi” (non perché io abbia la sindrome della principessa che vuol essere salvata, ma perché mi immedesimo nei prodi cavalieri), anche se devo dire che la cosa che mi ha incuriosito di più è il nome della bestia “Couloubre”, che mi ha fatto subito pensare al bellissimo racconto di Dino Buzzati dedicato al “Colombre” (sin dai tempi della scuola media il suo realismo magico suggestiona la mia fantasia). E così, dopo aver scomodato un santo, Petrarca e anche il povero Buzzati per raccontarvi la mia gitarella della domenica, concludo con una nota ben più prosaica: a Saint-Véran c’è un comodo parcheggio ben gestito dal comune (3 euro al giorno), nel paese si trovano delle toilette gratuite, e infine ci sono diversi negozi di souvenir, di articoli sportivi, un giornalaio/libreria e un mini market, tutti posti dove fare man bassa di essenziali quanto inutili cosucce francesi (quali libri di cucina savoiarda, Le Monde fresco di stampa, lattine da borsetta di Cachou La Jaunie, la Crème de Marron Clement Faugier in tubetto da dentifricio da spalmare sul pain complete maison, crozets savoyard tuttigusti più uno, legioni di Petit Lu…e altre frivolezze che causa Covid mancavano come l’aria!).

N.B: Saint-Véran è raggiungibile dall’Italia attraverso la Valle Varaita e il colle dell’Agnello, valico alpino delle Alpi Cozie a 2.748 metri s.l.m. La strada è impervia, aperta solo nella bella stagione e ovviamente piena zeppa di curve e tornanti. Il paesaggio è mozzafiato (a tratti un po’ lunare), ma bisogna essere amanti del genere e non patire l’auto. Inoltre sul versante francese la strada attraversa alcuni piccoli abitati con conseguenti “strettoie” a senso di marcia alternato che possono provocare code e difficoltà. L’ultimo paese italiano prima del colle è Chianale, cui ho dedicato un post qualche anno fa (lo potete legge qui).




Gentilissima Beatrice,
Sono una sua assidua lettrice e il suo blog è per me una fonte di idee e di cultura, e non esagero usando questo termine.
Anch’io sono un’appassionata di libri e di cucina.
Il suo modo di esprimersi, così chiaro e ricco di rimandi amplia i miei orizzonti invitandomi a mia volta ad approfondire gli argomenti trattati.
Purtroppo non conoscevo questo suo “Betullablog” turistico ed è stata per me una piacevolissima sorpresa.
Non potrò mai recarmi a Saint Véran, ma lei è riuscita a farmelo conoscere, lasciandomi il desiderio di poter arrivare “vicino alle stelle”.
Mi è dispiaciuto molto non poter più stampare i suoi blog, pur comprendendo la sua motivazione, purtroppo per me il “cartaceo” è insostituibile, ed ora mi sento un po’ “impoverita” nel non poter conservare i suoi meravigliosi articoli.
Cordiali saluti e… al prossimo aggiornamento.
Marinella
Cara Marinella,
la ringrazio moltissimo per il suo messaggio: per me è sempre molto importante avere un “riscontro” capire se quello che scrivo può in qualche maniera risultare interessante per chi legge questo piccolo spazio (sapere che anche lei ama i libri e la cucina è una cara conferma). La sezione “stradapanoramica” del blog era nata senza alcuna velleità da “guida turistica” e con parecchia ironia, per raccontare i luoghi degni di nota (ma generalmente poco noti) che incontro per caso o per curiosità sul mio cammino. La pandemia ha messo in pausa il tutto, rallentando notevolmente anche l’attività generale del blog, per cui sono davvero contenta che lei abbia apprezzato il post su Saint Véran, che voleva essere contemporaneamente la celebrazione di un minuscolo, poetico, villaggio alpino, e anche quella di un ritorno alle dolci gioie della vita che tanto ci sono mancate.
Mi dispiace moltissimo sapere che i limiti di copia che ho messo sul sito le impediscono di leggere i miei scritti nella maniera che più le è affine, ovvero su cartaceo. Purtroppo, a parte qualche ricetta malamente scopiazzata, il grosso problema è rappresentato dalle foto, che vengono saccheggiate senza ritegno, nella convinzione errata che ciò che “è su internet” non abbia autore, diritti o padrone. Il blocco del tasto destro non ha risolto completamente i furti (per gli esperti ci sono moltissimi modi di copiare comunque le immagini), ma almeno ha arginato un pochino l’emorragia di foto (mi creda che ho trovato le mie immagini nei posti più assurdi, e quando me ne sono accorta non potevo rimanere con le mani in mano senza tentare alcun rimedio).
Quando però leggo i messaggi come il suo, non posso non pensare con rammarico che come sempre le malefatte di pochi pesano ingiustamente su tutti. In ogni caso le dico che se c’è qualche post che le interessa in modo particolare può sempre scrivermi privatamente via mail: sarò ben felice di inviarle il testo dell’articolo pubblicato, in modo che lei possa stamparselo!
Grazie ancora per il pensiero e le parole gentili. A presto!
Saint Verán….descritta magicamente!!!!
Grazie mille, è davvero un piccolo villaggio alpino, ma volendo cercarla c’è tanta poesia! a presto!
Grazie per le foto bellissime che aiutano ad aggirarsi in questo Saint Véran che dev’essere proprio bello.
Scorrendole pare di annusare il profumo così particolare della montagna.
Veramente grazie, spero di poterlo visitare di persona. Lo annoterò tra i miei futuri programmi sperando che la vita torni un po’ alla volta alla normalità.
Oh che bello sapere che tutta la dolce poesia che ho trovato in questo minuscolo paesino è arrivata anche dall’altra parte dello schermo. Non è poco, nè scontato e ne sono felicissima. Abbiamo davvero tutti bisogno di quelle che io chiamo “piccolecosegrandi”, come queste gitarelle che riempiono gli occhi di bellezza e ci avvicinano a una normalità di cui sentivamo la mancanza. Grazie di cuore per il pensiero! a presto…
Bello bello, conosci davvero l’arte del raccontare, con ironia, sensibilità e freschezza, con riferimenti culturali usati ad hoc. Ti apprezzo molto, è un piacere leggerti.
Ma grazie di cuore cara Silvia. Sono davvero felice che il mio piccolo racconto su saint Véran con testa tra le nuvole e sui monti ti sia piaciuto!Grazie per avermi scritto! A presto
Cara Betulla, grazie di avermi portata in un posto che non conoscevo e nemmeno sospettavo. C’è tanta voglia di viaggiare, e questi angoli magici sono i più attraenti, per il senso di pace e serenità che trasmettono. Un abbraccio e grazie ancora. Paola