Cari Amici! Oggi vi racconto di quattro volumi della mia bibliotecagolosa che immancabilmente torno a sfogliare in questa stagione (ovvero tra primavera e estate). Per la natura è una stagione di risvegli…un tempo “verde”, fiorito, intenso e inebriante. E di conseguenza anche la cucina riprende con entusiasmo questi umori gioiosi, vitali e incredibilmente aromatici. I due mondi si intrecciano ed è inevitabile che l’ortolano suggerisca come trattare i vegetali lungamente accuditi, e che ogni cuoco finisca prima o poi per mettere il naso fuori dalla cucina per curiosare tra aiuole, prati e boschi e fare incetta di ingredienti. Questi libri sono per entrambi, e che il giardiniere e il gourmet siano o meno nella stessa persona poco importa!
Prima di passare alle buone letture indugio un momento sul termine “giardino” che, mentre in italiano indica in genere un luogo ameno di piante ornamentali e fiori, secondo un piemontesismo delizioso si riferisce invece all’orto, cioè a quello spazio delimitato da siepi o da recinzioni dove si coltivano le ortaglie (“giardin potagé” secondo l’autorevole, mitico Vittorio di Sant’Albino). Un corto circuito tra utile&dilettevole che naturalmente trovo interessantissimo e illuminante!
Caroline Holmes, ERBE PER IL GIARDINIERE GOURMET. Una guida pratica dal giardino alla tavola, Milano, Guido Tommasi Editore, 2015, 224 pp., Euro 24,90.
Senza dubbio questo libro è il più fresco dei quattro. È pubblicato dalla Guido Tommaso Editori, che nel vasto e pittoresco mondo dei libri di cucina è già una garanzia, inoltre, pur essendo la traduzione di un’opera inglese, si pone sotto l’ala di Orticola di Lombardia, associazione che organizza l’omonima mostra, e molte altre lodevoli iniziative di promozione e valorizzazione del verde pubblico. Mantiene la promessa del titolo, nel senso che rimane lì a metà strada tra il giardiniere e il gourmet senza sbilanciarsi verso l’una o l’altra sfera, ma regalando pagine ghiotte e molto utili a entrambi.
Per ogni “erba” dopo una descrizione con origini, storia e benefici per la salute, sono presenti indicazioni pratiche per la coltivazione e anche “appunti di assaggio” con ricette e consigli gastronomici. Direi con lievità …senza eccedere in tecnicismi né stordire il lettore con informazioni eccessive. Infine igentiliscono le pagine tante deliziose illustrazioni retrò, che oltre alla parte “verde” della pianta cercano di dare risalto anche a radici, fiori e semi.
POSOLOGIA: da leggere come una raccolta di racconti, raccomandata un’erba ogni sera prima di dormire per sonni sereni, freschi e leggeri.
Lina Marenghi, CUCINARE CON I FIORI. Centouno ricette profumate, Ivrea (To), Priuli & Verlucca editori, 143 pp., 1997.
Al giorno d’oggi ci sono collane intere di libri di cucina che hanno la veste grafica di un vecchio quaderno trasformato in ricettario di casa. Nel 1997 invece era una vera rarità trovare un libro che riproduceva interamente un manoscritto domestico, redatto in un bel corsivo ordinato. Anche l’argomento – cucinare con i fiori– è piuttosto inusuale. Oggi i fiori eduli sono ovunque, persino nelle insalate pronte in vaschetta di plastica del supermercato. Ma questa raccolta di ricette non punta all’estetica dei fiori nei piatti (per quanto gradevole), bensì al loro sapore e al contributo determinante che i fiori possono dare come ingrediente. L’autrice (anche superba illustratrice) mantiene nel suo ricettario una sapienza antica, quella della donna avvezza alla campagna piemontese, che unisce ad uno spirito innovativo, amante delle sperimentazioni e degli abbinamenti più arditi.
POSOLOGIA: da leggere in vicinanza di prati e boschi incontaminati (e rigorosamente a primavera inoltrata), perché ad ogni ricetta viene voglia di mettere il libro in un bel cestino di vimini e incamminarsi nel verde a caccia di fiori da cucinare.
Tom Stobart, GUIDA ALLE ERBE, SPEZIE E AROMI, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 254 pp., 1979.
Adoro letteralmente questo piccolo libricino bacucco, scovato dalla mia mamma negli anni ’70 in una libreria milanese della zona di Porta Romana. Da allora (cioè da prima che io nascessi) vegeta e prospera sulla mensola della cucina, sempre presente e pronto ad essere consultato per spiegare, illustrare, fugare dubbi e insegnare qualcosa di buono. Tom Stobart è stato una specie di Indiana Jones della filmografia britannica, con una vita avventurosa e mirabolante degna di un film (è noto soprattutto per aver girato “La conquista dell’Everest”, il film ufficiale della spedizione britannica sull’Everest del 1953). Tutte le sue esperienze da giramondo innamorato delle montagne si ritrovano dentro al suo libro, per cui erbe spezie e aromi non sono altro che ottimi spunti per racconti bellissimi. In quegli anni l’editoria italiana a tema cucina era minimalista, direi bruta e asciutta: si pubblicavano libri di ricette e basta, senza perché e percome. Senza storie di contorno. Ecco Tom Stobart ha fatto esattamente il contrario. Il libro ha per tema il vasto mondo degli aromi, ma tra le righe c’è una biografia straordinaria e profumatissima. Riporto qui uno stralcio dell’introduzione, perché meglio di ogni altra cosa i ricordi di Tom spiegano il suo libro:
“Una volta aiutai a dissotterrare dei vasi di terracotta che contenevano ancora avanzi di cibo di forse quattromila anni fa. Ero ospite di un gruppo di ricercatori italiani nelle montagne della Sardegna, e i vasi erano stati trovati scavando sotto una crosta di stalagmiti, nell’angolo di una caverna. Il posto era sperduto tra le montagne, umido come una tomba, i ciottoli all’interno ricoperti di uno strato di fango limaccioso. Riusciva difficile supporre che qualcuno avesse vissuto là perché il posto gli piaceva. Forse doveva essere stato soltanto un rifugio per i momenti di pericolo e il cibo era una scorta d’emergenza. Forse il proprietario era stato ucciso, e ciò spiegava perché non era tornato a prendere i vasi che aveva nascosto.
Nel corso dei secoli il contenuto delle giare si era tramutato in un’indefinibile polvere marrone, anche se probabilmente i laboratori milanesi avrebbero poi saputo dire cosa avessero contenuto un tempo. Assaggiarla era sconsigliabile, al massimo si potevano fare supposizioni su quello che le persone vissute tanto tempo addietro avevano mangiato, e sul sapore del loro cibo.
In ogni modo simili fantasticherie non durano mai a lungo quando si ha freddo e si è bagnati. Era novembre, e le montagne intorno erano coperte di una nebbia fitta e scura. L’ora di cena era ormai passata e ci aspettava una fredda discesa lungo i ghiaioni, una tetra passeggiata con gli abiti zuppi per arrivare in un albergo dove avremmo scoperto che il personale addetto alla cucina se n’era già andato a dormire da un pezzo.
Ma questa era la Sardegna. Proprio fuori della caverna – su un masso sporgente sovrastante il fiume che sboccava dalla roccia come lo Stige – divampava un grosso fuoco aromatico di rami di rosmarino e di leccio.
Lì accanto, su uno spiedo di legno, sfrigolavano due agnelli interi, accuditi da un vecchio pastore in calzoni bianchi e berretto garibaldino. Il locale venditore di frigoriferi – un tipo allegro, grasso, ma energico – dopo il lavoro si era arrampicato fin lassù con parecchi altri amici per assicurarci che fossimo assistiti a dovere. Aveva portato lui stesso lungo il pendio scosceso un enorme bottiglione di vino e pareva averne ingollato parecchio: con la sua voce calda – nell’oscurità che circondava quel tratto di terreno illuminato dal fuoco guizzante – faceva scempio di Verdi, e intanto con un coltello a serramanico tagliava un’enorme pagnotta e un formaggio pecorino quasi altrettanto grande. Mangiammo con le mani, rimboccandoci le maniche mentre il grasso ci colava lungo le braccia nude. L’agnello odorava di fumo di rosmarino, il pane di forno di mattoni, il vino era aspro, ma buono; c’erano delle olive nere piccanti intrise d’olio e il formaggio sapeva di pecora. Il chiarore del fuoco faceva brillare quei visi felici: tutto era bellissimo, né più né meno come un banchetto con cristalli scintillanti sotto i candelabri. In generale questo è il tipo di esperienza gastronomica su cui si basa il libro. Benchè di tanto in tanto abbia bevuto vini pregiatissimi e gustato i piatti più sofisticati, ho mangiato più spesso in case di contadini, nel deserto o in luoghi montagnosi come quelli sardi. E poi è nella cucina contadina che si fa il maggior uso di erbe e spezie, quindi forse il mio genere di esperienza è stato vantaggioso.”
POSOLOGIA: per riscoprire il fascino e la poesia degli aromi prima (e della cucina poi). Lo stato d’animo dev’essere quello dei versi di Hikmet:
Amo in te l’avventura della nave che va verso il polo,
amo in te l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte,
amo in te le cose lontane,
amo in te l’impossibile,
(Nazim Hikmet)
Aldo Molinengo, ORTO DI CASA. Antico segno alpino della famiglia contadina tra ortaggi, piante aromatiche ed ornamentali, Ivrea (To), Priuli & Verlucca editori, 73 pp., 2000.
Anche questo è un librino bacucco e ormai datato, parte della collana dei “Quaderni di cultura Alpina” di Priuli & Verlucca (infatti è specificatamente dedicato agli orti della Valle Varaita). Mi ha colpito nell’introduzione il paragone l’orto e la cucina, entrambi cuore vitale di ogni famiglia, eppure per anni relegati nelle parti meno in vista degli spazi domestici: davanti alla casa ci doveva essere un bel giardino con graziose piante ornamentali per saziare l’estetica, così come gli ospiti si ricevevano in una sala da pranzo sempre perfettamente in ordine e luccicante. Se l’orto c’è è meglio che non si veda, così come il locale cucina che negli affanni confusi della preparazione di un pasto sarebbe forse troppo sincero e poco degno per accogliere ospiti. In questo velato occultamento di orto e cucina l’autore leggeva l’intento di elevarsi socialmente ed economicamente cancellando il ricordo di una vita meno agiata e i simboli di un passato faticato e ancora molto doloroso della vita contadina (se pensiamo all’angolo cottura, o a certi microscopici cucinini degli anni 70 come dargli torto?). Oggi per fortuna entrambi questi spazi sono stati rivalutati. Questo libro, custode della memoria più antica degli orti alpini, finisce proprio sul tavolo della cucina dove si preparano piatti schietti e senza fronzoli della tradizione montanara. Nota di merito alle foto in bianco e nero degli orti delle “Terre Alte” (con ripari, staccionate, spaventa passeri e attrezzi) che mi hanno fatto capire l’importanza di documentare con foto i bellissimi orti alpini che incontro vagando in montagna!
POSOLOGIA: leggere questo libro poi organizzare una bella camminata in Valle Varaita. Fotografare ogni orto storto (in pendenza) che si incontra, e fermarsi a chiacchierare amabilmente con ortolani montanari (o viceversa). Sostituire Monti a Orti nell’aforisma di Goethe, e predisporsi in quiete all’apprendimento:
I Monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi.
(Johann Wolfgang von Goethe)
N.B: come sempre TUTTE le foto sono mie e chi ruba puzza (in più gli arriveranno gli afidi sulle rose, la dorifora sulle patate, le formiche nei pic nic, e le talpe nell’orto). Occhio che la “maledizione della baboja panatera” è irreversibile! 😉
Roselva dice
Complimenti cara Beatrice per le tue Aromatiche in vaso ! Mi ricordano il giardino della mia zia Rina(ligure) dove in una aiuola andavo a cogliere :basilico,maggiorana,timo,finocchietto … e ogni volta ne aspiravo il profumo Ho voluto anch’io il mio piccolo orto ma qui , tra le risaie, le piante aromatiche non hanno l’intensità delle “sorelle liguri ” . In cucina per me le aromatiche sono indispensabili. Hai scelto libri molto i teressanti. Mi incuriosisce : Cucinare con i fiori. Lo comprero’ Grazie! Come sempre sai piacevolmente coinvolgere i tuoi lettori. Buone vacanze!