Delle castagne sono innamorata per tanti motivi (qualche anno fa ci ho fatto anche una amabile serata di chiacchiere alla libreria Sognalibro di Borgo San Dalmazzo). Ma sicuramente parte del grande fascino che esercitano su di me è dovuto al fatto che non esiste altro frutto capace di incarnare la povertà e del “tirar la cinghia”, e allo stesso tempo essere simbolo della raffinatezza dei salotti borghesi e della più sublime arte pasticcera. Da un lato la miseria delle montagne: castagne bollite, arrostite, secche e trasformate in farina, mangiate per sopravvivere all’inverno, al massimo trasformate in un castagnaccio (decisamente un dolce poco dolce!). Dall’altro la ricchezza cittadina: marron glacé canditi a lungo, e poi glassati uno ad uno, per luccicare peccaminosi in ogni vetrina e concludere deliziosamente ogni felice, lussuoso convivio altolocato.
In mezzo, secondo me, c’è il Montebianco, che è un po’ l’ago della bilancia in fatto di dolci alle castagne. È povero, perché in origine non era altro che l’abbinamento castagne bollite schiacciate e panna: nasce al limitar del bosco, sulla porta della stalla, come espressione schietta delle risorse sempre disponibili tra i montanari. Eppure, sceso dalle alture, arricchito di zucchero, liquore (e a volte cacao) è un dolce nobilissimo, di quelli che fanno perdere la testa a tutti per la loro semplice, appagante bontà.
Le ricette naturalmente si sprecano: ogni libro della mia pur nutrita #bibliotecagolosa contiene un suo Montebianco. Ogni cuoco ha la sua versione, e i suoi trucchi. Il mio è quello di cuocere una seconda volta le castagne bollite con latte, cacao e zucchero (il passato finale rimane incredibilmente morbido). Ma sinceramente è un dolce talmente semplice e povero di ingredienti che è difficile incappare in una ricetta sbagliata. Attenzione però, la grande semplicità di esecuzione è purtroppo direttamente proporzionale all’impossibilità di mangiare in pasticceria o al ristorante un vero Montebiaco. Si salva, forse, qualche sperduta osteria, non ancora raggiunta da spume, sifone, arie e misture molecolari. Per il resto, ricordo sempre un articolo pubblicato qualche anno fa su La Stampa: un giornalista gastronomico voleva fare la classifica delle migliori pasticcerie torinesi dove gustare il classico, piemontesissimo Montebianco. Ebbene, l’articolo era un capolavoro di delusione e rimpianti, e si concludeva laconicamente così: « il consiglio per chi voglia ritrovare i sapori del vero Montebianco è di prepararselo in casa!».
E in effetti c’è chi usa confetture di marroni, semilavorati, meringate, semifreddi, creme di marron glacé, panna stabilizzata… ordinare un Montebianco è come ordinare un piatto di gnocchi, per quanto summa di semplicità culinaria difficilmente conterrà vere patate e ancor più difficilmente somiglierà a quelli fatti in casa! Insomma come già scritto è un dolce povero, e semplice, ma la pazienza necessaria a sbucciare le castagne fa sì che si cerchino scorciatoie per ovviare a tale laborioso procedimento.
Ah, dimenticavo due parole circa la violetta candita sulla sommità (sostituibile, come ho fatto io, con una violetta di zucchero Marca Leone). L’unione felice di violetta e castagna è quanto di più torinese, borghese, ottocentesco possiate immaginare! Ma a ben guardare, oltre al vezzo, c’è una comunione di sapori che rende inconfondibile il vostro dolce. La violetta lassù, primo delicatissimo boccone, diventerà irrinunciabile. Oltre che essere il segno delle cose ben fatte: se parlate con qualche signora anziana – io in fatto di cibo attacco bottone con tutti, al mercato, in coda alla posta, e anche su Fb – vi confermerà che sì, il Montebianco vuole le violette!
Montebianco
ingredienti per 4/6 porzioni:
300 g di castagne bollite e pelate
25 g di zucchero semolato
10 g di cacao amaro
300 ml di latte
i semi di 1/3 di bacca di vaniglia
20 ml di Rum
15 ml di latte fresco intero
per decorazione:
100 ml di panna fresca da montare (controllate la quantità di materia grassa contenuta: deve essere almeno al 35%) fredda di frigorifero
20 g di zucchero a velo
i semi di 2 cm di bacca di vaniglia
per servire:
Violette candite o violette di zucchero
Procedimento:
1. Bollire le castagne (operazione che si può fare anche la sera precedente): lavare rapidamente i marroni sotto l’acqua corrente. Rovesciarli in una pentola capace e coprirli d’acqua fredda (l’acqua deve essere circa 5 cm sopra alle castagne, che cuociono meglio in una pentola abbondante!). Aggiungere un cucchiaino colmo di sale grosso, e circa 5 g di semi di finocchio. Da quando l’acqua comincia a bollire calcolate circa 35/40 minuti di bollitura (con pentola semi-coperta). Assaggiate una castagna per verificarne la giusta cottura, poi scolate tutte e fatele riposare in un canovaccio circa 15 o 20 minuti prima di cominciare a pelarle (sono come le galline, devono “covare” al calduccio). Pulire le castagne rimuovendo entrambe le bucce (ci vuole solo un po’ di pazienza!). Pesarne circa 300 g (non è importante che le castagne rimangano intere, anzi, i pezzettoni sono ancora meglio per questa preparazione)
2. Mettere i 300 g di castagne bollite in una pentola, coprirle con ugual peso di latte, lo zucchero semolato, il cacao amaro setacciato e i semi di 1/3 di bacca di vaniglia. Accendere il fornello e fare cuocere a fuoco dolcissimo per 15/20 minuti. Rimestare continuamente perché si deve ottenere una specie di “pappetta” al cioccolato. Quando questa crema sarà piuttosto densa (guardate le foto) spegnere il fornello, aggiungere il Rum, mescolare bene fare raffreddare circa mezz’oretta.
3. A questo punto unire alla crema 15 ml di latte intero (volendo si può usare anche la panna), mescolare bene e schiacciare il tutto una prima volta nello schiacciapatate. Fare scendere i vermicelli marroni in una ciotola, ed eventualmente mescolare bene in modo che i piccoli frammenti di castagne (pezzetti bianchi) spariscano (l’operazione serve a rendere il composto omogeneo e soffice). Questo “passato” di marroni è il vostro Montebianco, che potrete usare immediatamente o entro un paio di giorni (in frigorifero si conserva in una ciotola con chiusura ermetica anche 3 giorni), l’importante è che al momento di servirlo sia a temperatura ambiente.
4. Al momento di servire schiacciate direttamente il “passato” di marroni con lo schiacciapatate sopra ad ogni coppetta che porterete in tavola (si posso fare sia le porzioni individuali che un piatto unico). Poi preparate la panna (rovesciare la panna nella ciotola che è stata almeno un quarto d’ora in freezer, aggiungere i semi di mezza bacca di vaniglia e lo zucchero a velo. Sbattere energicamente con le fruste elettriche fino a che la panna si inspessisce formando delle onde).
5. Decorate ogni montagnola di vermicelli di marroni con una cucchiaiata di panna montata (non è il caso di usare la sac-à-poche perchè è un dolce che deve mantenere la sua rusticità), e servite con due o tre violette di zucchero.
N.B: come sempre TUTTE le fotografie sono mie, nono sono utilizzabili senza permesso, e i ladri furbetti saranno puniti con la “maledizione delle torte mosce” e dei dolci crudi (sì è una minaccia serissima)! 😉
Cinzia dice
Ciao, bellissimo il tuo Monte Bianco 🙂 Anche io l’ho fatto ma….lo zucchero sono davvero 25 grammi oppure 250? Perchè se davvero sono solo 25 grammi allora sono io che ho sempre esagerato :-))
Ciao e grazie
Cinzia
Betulla dice
Cara Cinzia, grazie mille per il commento! Ebbene sì, nel mio Montebianco ci sono solo 25 grammi di zucchero su 300 di castagne bollite (praticamente un cucchiaio). In effetti il composto finale risulta dolce, ma non eccessivamente stucchevole, considerata anche la panna zuccherata e vanigliata che lo ricopre (oltre alla fantasiosa possibilità di decorarlo con meringhette e marron glacè che spuntano come rocce tra le nevi)! Il fatto di cuocere le castagne una seconda volta in latte e cacao, cioè non usando il cacao crudo (amaro e intenso), fa emergere il sapore naturalmente dolce delle castagne! Questo “equilibrio” per ora è stato sempre apprezzato e lodato abbondantemente dai miei commensali…poi sai, come ho scritto le ricette del Montebianco sono infinite, e come sempre non ce n’è una perfetta o più giusta dell’altra. Alla fine lo si prepara un paio di volte all’anno, e se tu sei abituata a farlo “dolcissimo”, bhe, per una volta va bene così, no? 😉 un caro saluto, a presto!