Sabato scorso ho partecipato ad un bellissimo press-tour interamente dedicato alla scoperta delle eccellenze gastronomiche dell’alta Valle Sangone (in provincia di Torino). Già l’anno passato avevo partecipato alla Festa Rurale del Cevrin di Coazze (qui potete rileggere tutto il mio entusiasmo), che nel mese di ottobre celebra appunto il rinomato formaggio presidio slow food. Mentre però la Festa Rurale ruota interamente intorno al Cevrin (la maggior parte della produzione viene venduta proprio in occasione della suggestiva Festa, la prossima edizione sarà il 15 ottobre 2017) la giornata di sabato è stata organizzata da Turismo Torino e Provincia insieme ai comuni di Coazze e Giaveno per mettere in risalto due prodotti gastronomici di punta del territorio ovvero i formaggi e il pane.
Per quanto riguarda i prodotti caseari al mattino siamo saliti in alta valle, regione Sellery, nella malga della famiglia Lussiana. Qui il casaro Giancarlo ci ha pazientemente illustrato le fasi di lavorazione del latte vaccino munto in mattinata. Vedere di persona la produzione del formaggio (una bella Toma di 7 kg) è stata davvero una grande emozione, anche perché a differenza di quel che immaginavo il processo è interamente manuale e legato alle abilità di gesti ancestrali, che Giancarlo ha appreso dalla propria nonna, Maria Teresa. I 70 litri di latte sono stati scaldati in un pentolone di acciaio insieme al caglio animale.
Al raggiungimento dei 37° con l’apposito bastone Giancarlo ha rotto la cagliata riducendola a granelli “grossi come un chicco di mais”. Quando il tutto ha visibilmente cambiato colore (virando dal bianco al giallo), Giancarlo ha spento il fornello a gas e ha trasferito questa cagliata in un panno di stoffa adagiato su un un bancone inclinato. Subito dopo furia di pieghe, forza e olio di gomito (per fare fuoriuscire dalla tela il siero residuo) Giancarlo ha dato la forma alla cagliata leggermente salata, che in quattro e quattr’otto è diventata una bella forma di “tuma”. Insomma praticamente una magia profumata di latte, accompagnata dai racconti appassionati di Giancarlo, di sua moglie e dei loro due bambini (Marco e Elisa). Ancora per qualche giorno la famiglia Lussiana vivrà nella malga in quota, poi per l’inverno si trasferiranno tutti a Coazze (la discesa del bestiame dai pascoli coincide con la festa del Cevrin, caratterizzata dalle caprette camosciate che attraversano in maniera furibonda e gioiosa le vie del paese pieno di bancarelle).
Dopo la visita al caratteristico locale di affinamento dove le forme riposano al buio su stagere in legno siamo saliti al vero e proprio alpeggio dove ogni giorno pascolano una trentina di mucche da latte, e un centinaio di capre camosciate.
Le nuvole rade come brandelli di nebbia impigliati sulle cime, l’aria frizzante, il suono dei campanacci delle mucche, i pendii ormai quasi completamente secchi, e soprattutto la vista mozzafiato sulla valle Sangone hanno reso memorabile questa visita. Ho capito davvero tutta la fatica del lavoro di Giancarlo e della sua famiglia. L’entusiasmo sincero per noi visitatori, così curiosi e interessati alla loro “straordinaria” quotidianità, e i sorrisi disponibili e pazienti con cui l’intera famiglia ha risposto alle nostre domande hanno reso speciale questa mattinata! Se da un lato ho potuto sbirciare da privilegiata nel variegato e colorito universo dei formaggi (del quale mi sembra sempre di sapere troppo poco), mi sono resa conto di quanto questi saperi siano preziosi…quasi quanto il coraggio di fare del formaggio la propria scelta di vita.
Per il pranzo siamo scesi a Giaveno, e da qui risaliti alla frazione Maddalene, dove due sorridenti sorelle gestiscono l’ex scuola elementare della borgata, ora trasformata in rifugio/ristoro e polo didattico. Il pranzo ruspante e gustoso che Carla&Caterina hanno preparato per noi è stato l’occasione per scoprire un altro rinomato prodotto della valle Sangone, ovvero i Funghi.

In particolare ho avuto la fortuna di sedermi accanto alla micologa Giorgia, che tra una portata e l’atra mi ha descritto le virtù culinarie di un fungo molto apprezzato a livello locale, ma pressochè sconosciuto fuori dalla valle: il Mütun, il cui nome in dialetto richiama la forma simile al vello del montone (il nome scientifico è Grifola frondosa). Ho scoperto così che i profumatissimi funghi raccolti nei boschi di Giaveno sono così rinomati da avere una festa dedicata ( domenica 1 e 8 ottobre 2017) e anche un mercato specifico (in stagione si possono acquistare tutti i giorni i funghi trovati dai “boulajour” -cercatori- e rigorosamente controllati dal micologo).
Dopo il lauto pasto, ovviamente a base di funghi, abbiamo visitato un forno dove tre simpatici panettieri (dei panifici Calcagno, Morisciano e Chiambretto) in rappresentanza dell’intero consorzio, ci hanno illustrato l’interessante progetto che ha portato al riconoscimento del Pane tradizionale di Giaveno, (nelle forme Micca, Stirotto, Mezzana e Biova) insignito del riconoscimento De.Co (denominazione comunale di origine) che ne stabilisce ingredienti e le fasi della lavorazione per ottenerli. Io sono sempre felice quando posso passare del tempo in un “pastin” (in dialetto il laboratorio del fornaio) a chiacchierare di lieviti, grissini, dolci tradizionali ed esperimenti.

Il pane, come il formaggio, si compongono di gesti antichi, rituali e simbolici, che sanno rendere questi alimenti qualcosa di più che un semplice prodotto gastronomico. C’è un aspetto magico nel latte che caglia, nel pane che lievita: un piccolo grande incanto che va perduto se chi si occupa di questi processi non è innamorato di questa magia. Sabato in valle Sangone ho ascoltato i racconti di persone che custodiscono questo “incanto”, e che lavorano per farne ciò che distingue i loro prodotti dalle numerose eccellente gastronomiche della regione.
E come sempre per i miei lettori 3 consigli gastronomici a tema. Gli imperdibili della Valle Sangone secondo Betulla sono: Cevrin e tometta di capra fresca (se salirete a piedi fino all’alpeggio Sellery inferiore apprezzerete ancora di più il formaggio) da mangiare con il delizioso pane De.Co oppure con il “pane del pellegrino” (un pane nero con fichi e noci ideato di recente in memoria dell’antichissima via francigena). Infine la “focaccia dolce di Giaveno”, una treccia di pasta brioches zuccherata in superficie (il trionfo dei sapori autentici e della semplicità appagante che regna in questi luoghi).
Infine qualche indirizzo utile:
Quantunque montanara inside, non ho mai assistito alla lavorazione del formaggio, benché la cosa mi attiri. Vado sempre in montagna per camminare e tutte le altre attività che si possono fare…le rimando sempre alla prossima volta ! Mi piacciono sempre molto i tuoi reportage sulle vallate alpine: stimolano il mio desiderio di conoscere montagne molto diverse dalle “mie” amatissime dolomiti. Ciao Betulla 🙂