Un antico detto diffuso in valle Gesso (provincia di Cuneo) dice:«Lou sél l’è lou pan, e lou pan l’è la vita», ovvero «La segale è il pane, e il pane è la vita». In poche parole è concentrato il ruolo essenziale che questo cereale ha avuto nell’economia e nell’alimentazione delle popolazioni alpine nei tempi passati. Originaria dell’Asia Minore, la segale era inizialmente considerata un infestante delle coltivazioni di grano e orzo. In seguito la grande rusticità della pianta, capace di adattarsi ai climi rigidi e ai terreni magri e sabbiosi, e la sua ottima resa, hanno fatto in modo che la coltivazione della segale fosse favorita ad altre varietà nelle zone di agricoltura marginale (praticamente su tutto l’arco alpino). In Piemonte sono stati rinvenuti chicchi di segale in contesti della medio-tarda età del Bronzo (in località Borgo Moretta ad Alba) e dell’età del Ferro (a Montaldo di Mondovì): si può quindi affermare che la presenza di questo cereale appartiene alla preistoria della regione, dove ancora oggi la si coltiva spesso in avvicendamento alla patata (altra pianta tipica dell’agricoltura montanara, sebbene di introduzione molto più recente).
La segale si inseriva perfettamente nell’organizzazione delle attività lavorative delle comunità montanare: la semina avveniva tra agosto e ottobre (secondo l’altitudine), e comunque in seguito al rientro del bestiame dall’alpeggio, per essere raccolta fra metà luglio e metà agosto dell’anno successivo (mediamente cioè dopo 14 mesi). Tutta la popolazione era impegnata nella mietitura: gli steli andavano tagliati il più vicino possibile al terreno per una buona resa anche della paglia, quindi c’era chi tagliava, e chi legava i covoni, che dopo qualche giorno di essiccazione all’aria venivano battuti per recuperare la granella. Le lunghe spighe raccolte venivano battute sull’aia con il correggiato (nelle alpi Marittime chiamato “cavaglio”), uno strumento composto da due bastoni uniti al centro da una striscia di cuoio. Uno dei due bastoni aveva funzione di manico, mentre l’altro veniva fatto roteare con forza dal battitore come un battacchio.
La granella di segale ottenuta dopo questa operazione era utilizzata per produrre l’alimento base della dieta montanara, ovvero il pane nero. Si trattava di pagnotte scure, dal sapore acidulo: era un pane cotto una sola volta l’anno nei forni comunitari (spesso nel tardo autunno o inizio inverno), e conservato per i successivi dodici mesi su apposite rastrelliere in legno. Con il passare del tempo il pane si induriva, tanto che per consumarlo lo si doveva frantumare a fatica con un apposito coltello agganciato ad un pesante tagliere.
«Mah, allora c’era la miseria, si viveva a pane di segala. Quel pane non era ben cotto e ammuffiva. A tagliarlo con il taiun, fumava, faceva polvere» ricorda Giovanni Tolosano (classe 1889) in una delle tante, strazianti testimonianze raccolte ancora negli anni Settanta da Nuto Revelli nel “Mondo dei Vinti”. Le difficoltà di panificare esclusivamente con farine di segale erano evidenti (scarsa presenza di glutine, quindi scarsa lievitazione), per cui si cercava sempre di avere una minima percentuale di farina di frumento per rendere migliore il pane. La miscela di grano e segale però non avveniva solo al momento della panificazione, ma direttamente nel campo. L’astuzia montanara mescolava spesso i semi dei due cereali già durante la semina: la segale, resistente alle temperature rigide, ma non ai forti venti, era supportata dal frumento, dotato invece di una spiga avara e sensibile alle avversità climatiche, ma anche di uno stelo corto e robusto. In questo modo si otteneva, nelle annate buone, una farina “mista”e gustosa, e in quelle “di magra” almeno la sostanziosa farina di segale per sopravvivere. Da questa antica tecnica di coltura delle piccole terrazze di montagna deriva il Pan Barbarià (pane Imbarbarito o Imbastardito), che già nel nome reca le difficoltà e gli stenti della sua produzione.
L’uso della segale non era tuttavia confinato all’alimentazione: lo stelo della pianta era utilizzato nelle stalle, come lettiera per gli animali, per intrecciare cappelli, per impagliare le sedie, oppure come copertura dei tetti delle abitazioni (in alcune vallate cuneesi -valle Gesso, Vermenagna e Stura sono visibili abitazioni con i tetti di paglia). La segale quindi, un po’ come il castagno, è stata per secoli il pilastro della vita nelle cosiddette “terre alte” dell’arco alpino.
Il rapporto simbiotico tra la Segale e le civiltà montanare era però troppo radicato per essere cancellato definitivamente dalla pur profondissima crisi del mondo contadino e dallo spopolamento delle montagne degli anni Cinquanta e Sessanta. La segale era così fondamentale e radicata nella vita di montagna che non poteva essere dimenticata: oggi per fortuna assistiamo ad un suo timido ritorno*, o almeno alla sua meritata celebrazione attraverso iniziative e manifestazioni in tutto l’arco alpino. Tra queste in Piemonte la Festa della Segale di Sant’Anna di Valdieri (organizzata ogni anno ad agosto dalla comunità locale insieme al Parco Naturale delle Alpi Marittime). E naturalmente il mitico, bizzarro Orso di Segale che ogni anno compare a Valdieri, sempre in valle Gesso per il Carnevale alpino (quest’anno correrà per le vie del paese con il suo domatore domenica prossima, il 24 febbraio 2019, qui il programma dell’evento).
Le recenti considerazioni salutistiche, che rivalutano le virtù dei “cereali antichi” nella dieta, unite a queste iniziative di valorizzazione turistica nei luoghi di coltivazione, stanno lentamente riportando la segale e i suoi derivati nella vita d’altura contemporanea. Gli usi della segale oggi infatti possono essere numerosi quanto un tempo, dall’alimentazione alla produzione della birra, fino alla bioedilizia (non entro nel dettaglio, ma all’Ecomuseo della Segale di Sant’Anna di Valdieri di possono scoprire usi davvero curiosi e inaspettati di questo cereale tenace e caparbio come tutti i montanari).
*attualmente i campi di segale in Italia occupano circa 6000 ettari concentrati nelle aree alpine di Piemonte, Lombardia e Trentino, con numerosi esempi di progetti dedicati al ritorno della sua coltivazione.
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Accossano mauro dice
Salve qualcuno mi sa indicare qualcuno che ha da vendere della paglia da vendere per una copertura 3389263883 grazie
Betulla dice
Buonasera, le consiglio di provare a contattare il Parco Naturale delle Alpi Marittime, magari le sapranno indicare i coltivatori di segale della Valle Gesso che aderiscono ai loro progetti o i fornitori che hanno utilizzato per le coperture dei loro edifici. Cordialmente