I profumatori per cassetti fatti con la lavanda del mio giardinetto hanno generato una grande curiosità (e pensare che io la credevo una quisquilia talmente piccola da non essere degna di comparire sul blog!). In ogni caso tutto questo parlare di lavanda mi ha fatto venire voglia di approfondire il discorso della lavanda in Piemonte. Mi si è spalancato un universo di spighe viola, di storie e di ricordi affascinante tanto quanto le più blasonate distese di lavanda provenzali.

Da dove comincio? Da una persona speciale, che con i suoi racconti ha segnato in maniera indelebile la mia infanzia e il mio amore per la narrativa nella vita adulta: Gina la Postina. La signora Gina faceva appunto la postina, e in casa mia la si chiamava sempre così, come se “lapostina” (tutto attaccato) fosse il suo cognome (nella stessa maniera in cui gli album di Richard Scarry insegnavano a identificare i personaggi del villaggio). Gina, vuoi per il suo vagare di casa in casa, vuoi per la sua grande sensibilità era una formidabile dispensatrice di storie bellissime. Nella nostra casa, un po’ isolata, ai bordi del paese, la posta veniva recapitata al termine del giro dei portalettere. Per questo quando Gina arrivava con le buste in mano, mia mamma le proponeva spesso un caffè caldo e corroborante per riprendersi dalla giornata al freddo (specialmente in inverno). Questi momenti, nei tardi pomeriggi invernali, sono scolpiti nella mia memoria come pause estremamente piacevoli in cui Gina raccontava le sue storie, i suoi ricordi, e le sue piccole grandi avventure di donna di montagna catapultata nella modernità. Al centro di questi “caffè narrativi” c’era sempre la sua famiglia, sia quella creata con il marito Tonio, che quella d’origine (i genitori e i due fratelli) con cui Gina aveva condiviso le miserie dei tempi della Guerra, e le gioie semplici e autentiche della vita nei “tetti”. Poi c’erano caramelle per noi bambini, e tanti saggi consigli per la mia mamma. Gina incarnava la memoria del suo piccolo paese, e aveva la missione dichiarata di tramandare questo patrimonio per farlo sopravvivere. Era talmente brava nel tornare ai tempi passati che le sue “sceneggiate” nella Rappresentazione degli Antichi Mestieri del Presepe Vivente di Andonno erano degne di un’attrice consumata. In qualche occasione ho avuto l’onore di partecipare alla sua “scena” del il Presepe Vivente: nelle due o tre serate natalizie venivo imbaccuccata con un paio di strati termici e poi vestita come una bambina di inizio secolo. Stavo tutta la sera intorno a Gina, in un’angolo della stalla a fare la veglia, a ricamare la dote, a lavorare la canapa… Ero la sua ombra. E sono convinta che mentre a qualche adulto questa teatralità potesse sembrare stravagante, fin eccentrica, io da bambina ne comprendevo a pieno il senso. Condividevo senza fatica questa totale immedesimazione, simile al modo fanciullesco di “giocare a qualcosa”. Insomma, mi divertivo un mondo, e da un anno all’altro aspettavo trepidante la nuova edizione del Presepe, o meglio la nuova immaginifica idea di Gina (come per una vera rappresentazione teatrale l’allestimento era filologicamente corretto, per cui richiedeva un lavoro certosino di mesi e mesi).

Sulle orme del fratello Giusep lu pustin, colto autore di poesie e racconti in dialetto andonnese, quando Gina è andata in pensione ha scritto un libro di memorie. Con la scusa di tornare al tetto (casolare alpino) della sua infanzia Gina ha rievocato i momenti fondamentali della vita lassù (la segale, la caccia, la raccolta della lavanda, il bestiame…). Per me è naturalmente un libro duro, sia per le difficoltà che vi sono narrate, sia per la struggente nostalgia che impregna ogni pagina. Aggiungete da quando Gina non c’è più io me lo leggo e rileggo per “sentirla” ancora vicina e capirete che non mi sono mai resa conto del valore “etnografico” di questo racconto. Invece Gina aveva colto i momenti fondamentali di quella stagione estiva e intensissima sui monti che si ripeteva ogni anno. Uno di questi era appunto la lavanda, che per l’altitudine veniva raccolta da inizio agosto in avanti (in genere per Sant’Eusebio, il 2 agosto il comune di Valdieri dava il permesso di cominciare la raccolta).

In valle Gesso la lavanda si chiama «Isòp», ovvero Issopo. L’issòpo in realtà è una pianta ben diversa dalla lavanda, con cui ha in comune semplicemente la forma spigata e il colore. L’origine di questa “confusione” ha radici molto antiche, probabilmente legate alle pratiche religiose, o meglio, al salmo latino Miserere mei Deus cantato durante i funerali. Il versetto «Asperges me hyssopo et mundabor, lavabis me, et super nivem dealbabor» (cospargimi di issopo e sarò pulito, lavami e sarò più bianco della neve), sembra spiegare la prevalenza del termine Isòp sull’italiano Lavanda, avvalorato anche dalla pratica comune di pulire la casa di un defunto con acqua profumata alla lavanda, proprio per allontanare “l’odore della morte”. Come racconta Gina, nei primi giorni di agosto si aspettava con trepidazione il suono della trombetta del messo comunale che annunciava alla popolazione l’inizio della raccolta. Il giorno successivo a queste “grida” (krià) i pendii della valle si riempivano di raccoglitori: adulti e bambini due ore dopo alla levata del sole (la rugiada doveva essere già evaporata, perchè i fiori dovevano essere asciutti), si inerpicavano tra i cespugli blu/viola per tagliare quanta più lavanda possibile. Per una ventina di giorni ogni altra attività era sospesa, la lavanda , che in Valle Gesso cresceva spontanea e abbondantissima, costituiva un introito fondamentale alla risicata economia montanara, per cui ogni membro della famiglia doveva contribuire. Le donne e i bambini usavano una speciale tasca in stoffa legata in vita in cui riponevano i fiori (la kiuara), mentre invece gli uomini disponevano il raccolto in grossi teli di stoffa chiamati fiarerà (come quelli usati per il fieno) che contenevano anche 50 o 60 kg di lavanda. Il prezioso raccolto doveva essere poi portato in paese (Andonno o Valdieri), dove veniva acquistato dai grossisti appaltatori che in molti casi distillavano direttamente in loco (a Valdieri un grande alambicco di rame era visibile all’ingresso del paese sino ad una ventina di anni fa, mentre ad Andonno gli alambicchi erano portati stagionalmente dietro alla Cappella della Madonna delle Grazie o del Gerbetto). Per circa un secolo, dall’unità d’Italia -1861- al 1960 circa, la lavanda delle Alpi Marittime, e il pregiato olio essenziale che se ne ricava, costituisce un tassello fondamentale dell’economia della Valle Gesso, che proprio a inizio secolo raggiunge il culmine demografico di 8616 abitanti. Come scriveva Gina, la lavanda era così importante che «per venti giorni non si riusciva neanche più a lavarsi la faccia». Poi «dopo tutti questi giorni di lavoro, di sera uscivamo di nuovo nel cortile a sentire nostro padre raccontare; poi cominciavamo a cantare e continuavamo, magari fino a tardi; dal Vallone dei Cugn, dai Bàral, ci applaudivano sempre. Poi si beveva un mestolo di buon latte appena munto, era ancora tiepido, e poi si saliva sul soppalco, nella paglia spezzettata ognuno aveva il suo nido».

Tante sono le cause della fine dell’epoca della lavanda in Valle Gesso: da un lato il progresso scientifico dell’industria profumiera, che in concomitanza con il boom economico mise a punto prodotti sintetici a basso costo, dall’altro lo spopolamento della montagna, e anche la costruzione degli impianti idroelettrici in alta Valle, e l’apertura delle cave di estrazione mineraria (intorno agli anni ‘60 i giovani preferirono abbandonare l’attività agricola/pastorale dei loro genitori a favore di questi impieghi più redditizi e certi). Infine occorre considerare che in valle Gesso la presenza spontanea della lavanda sui pendii montanari (e la sua raccolta totalmente artigianale) non si è mai evoluta in una coltivazione industrializzata e razionale. Insomma tutte queste concause contribuirono all’improvviso declino di questa attività tradizionale, che per più di un secolo segnò la vita degli abitanti della Valle Gesso. La lavanda però è stata talmente importante che non poteva scomparire del tutto: da circa dieci anni la prima domenica di agosto Andonno celebra una genuina festa della lavanda. In memoria delle fatiche dei tempi andati, quando questo piccolo fiore viola contribuiva alla vita alpina, il paese intero rievoca i momenti fondamentali del periodo della raccolta.

Non immaginate una festa turistica di saponette lilla (o meglio, ci sono anche quelle ma si può andare oltre), la cosa davvero bella è che qui si rivedono quei gesti antichi, quello stesso complesso rituale codificato (l’incanto all’ingrosso, l’asta con il sistema delle candela vergine, la krià del messo comunale, il raccolto, la pesatura, la distillazione) che regolava la faticosa stagione estiva della lavanda. E nelle nuvole di vapore profumatissime che si alzano (di nuovo) sull’alambicco di rame mi sembra sempre di rivederla, Gina, che dal centro del paese si incammina verso il Téit Gjuzei, e ricomincia a raccontare…

N.B: la festa si tiene ogni due anni a tra fine luglio e inizio agosto (l’ultima edizione è dello scorso w.e 29/30 luglio 2017). Sul sito del Parco delle Alpi Marittime si trovano informazioni aggiornate sulla manifestazione. Come si può vedere dalle foto che ho fatto nel mese scorso in Valle Gesso grazie ad un accordo tra gli agricoltori locali e il Parco la lavanda (coltivata) è tornata a macchiare di viola i campi della valle (qui maggiori informazioni sul progetto). Questa lavanda viene distillata e utilizzata per prodotti cosmetici (acquistabili in diversi negozi della Valle, tra cui la locanda I Batteur di sant’Anna di Valdieri). Infine nel piccolo paese di Andonno segnalo il prezioso museo etnografico Lu pustin d’Ëndonn, intitolato alla memoria del postino Giuseppe (il fratello di Gina); i bellissimi murales dei mestieri (nati su iniziativa dei pittori Bruno e Paolo Giraudo) distribuiti per tutto l’abitato, i vecchi lavatoi (ancora utilizzati), e la divertente escursione che dal centro del paese porta a Lu Castlàs (i ruderi dell’antica torre di avvistamento a pianta quadrata che sovrasta il paese). Insomma, idee sparse per un pomeriggio insolito (anche questo a soli 20 minuti da Cuneo città).
Come sempre tutte le foto sono mie ed è vietato utilizzarle senza permesso.


Sei una scrittrice fantastica….adoro leggerti!!!❤
Grazie di cuore! mi piace talmente tanto scrivere di queste cose che mi dimentico di non fare poemi e sentimentalismi. In fondo poi penso che raccontare è l’unica cosa che mi importa…e per fortuna ci sono persone come te che apprezzano e capiscono! Grazie davvero!
Sono storie lontane e diverse da quelle delle mie colline e dei miei vecchi, ma possiedono la stessa poesia delle cose che, mentre le racconti per farle durare di più, senti svanire tra le dita. Un regalo prezioso, quello della Gina! ☺
Hai detto bene cara Silvia…sono storie che viene voglia di raccontare perchè non scappino via troppo in fretta! Bentornata, spero di leggere presto delle tue vacanze!
Ciao Beatrice carissima! Oggi navigando su Intrnet ho scoperto, per puro caso, questo tuo interessantissimo blog, ma in modo particolare, mi ha fatto estremamente piacere leggere del limpidissimo e commovente ricordo che tu conservi di mia madre. Grazie infinite! Se ti capita di avere l’occasione di passare da Boves, sentiamoci un po’ prima, e stai sicura che un buon caffè qui da noi lo trovi, e con tutti i pasticcini che vuoi!!! Sei davvero in gamba, complimenti, Livio
Caro Livio, porto sempre la tua mamma nel cuore. Per me lei è stata come, e più, di una nonna: affettuosa, sincera e sempre presente nelle nostre vite (sempre, nelle difficoltà come nella gioia) con il suo entusiasmo, i suoi racconti e il suo amore sconfinato per Andonno, per i “tempi andati” e con il suo cuore grande! Questo mio blog è un po’ un diario: dalla cucina divago spesso e volentieri in storie, montagne e ricordi. Inevitabilmente è il riflesso della mia vita, e ad un certo punto mi è venuto spontaneo di scrivere anche di lei e del significato prezioso che ha avuto per me e per la mia mamma. Sono davvero felice che tu abbia trovato il mio post…non mancherò di scriverti ancora, e magari venirvi a trovare: mi farebbe piacere rivedervi e chiacchierare un po’ di Gina&Tonio. Un abbraccio Beatrice
Splendido racconto che mi ha riportato dentro una “me” che avevo purtroppo “accantonato” in un angolo remoto. Io ho avuto la fortuna di conoscere Gina e Giuseppe nella mia infanzia e nella loro gioventu’. Purtroppo. forse perchè tropo giovane, non ho colto quanto tu sei invece stata capace di fare così magnificamente. Grazie veramente tanto per quanto hai scritto
Cara Carmen, grazie di cuore per queste tue parole! Scrivo questo blog (anche) per tenere viva la memoria di questi luoghi, e soprattutto per tenere “al caldo” i ricordi di persone speciali come Gina e Tonio, che hanno contribuito in maniera determinante alla mia infanzia incantata…per cui, ecco, sono davvero felice di averti riportata nel passato, verso la tua fanciullina interiore! Probabilmente non esiste complimento più bello…