Una volta un amico mi raccontò di tenere in casa, accanto al divano, una piccola panchetta di legno. In origine la panchetta doveva servire per fare sedere i suoi nipotini in visita, in realtà era finita che la panchetta da bambini la usava lui stesso: andava a sedercisi per avere un’altra prospettiva sulla propria casa, e sul proprio quotidiano spazio vitale. Più o meno allo stesso modo, negli anni in cui non sono previsti grandi viaggi estivi mi piace utilizzare le domeniche di agosto per conoscere un po’ meglio il mio Piemonte. Le chiamano #vacanzeacasa… ma non hanno davvero nulla da invidiare a itinerari esotici, mete turistiche e canoniche sospensioni dalla realtà.
Ladolcemetà, il quale suo malgrado trascorre buona parte dell’anno in assetto da clericus vagans a zonzo per il mondo, gradirebbe moltissimo l’ozio, il silenzio e un bel nulla rarefatto in cui riposarsi. Peccato che questa sua chimera estiva di panciolle cozzi letteralmente con la mia iperattività e con le numerose gitarelle INTERESSANTISSIME che organizzo appositamente per lui. Con tanta dedizione e amore praticamente è impossibile dirmi di no!
Infatti, la settimana scorsa -al grido di #Betullablogazonzo- siamo partiti alla volta di Bossea, nel comune di Frabosa Soprana (in provincia di Cuneo, nel basso Piemonte), dove si trovano le famose grotte. Io le avevo visitate da piccolissima, serbandone un ricordo di incanto meraviglioso, ed ero davvero curiosa di capire se lo stupore fosse dovuto alla magia dell’infanzia o all’oggettiva bellezza del luogo. Bhe, per fortuna non si è verificata la delusione del Crystal Ball, del Cucciolone, o dei FrizzyPazzy*…le grotte di Bossea si sono rivelate bellissime anche da adulta!
Diciamo subito che Bossea ha un primato importantissimo: è stata la prima grotta italiana aperta al pubblico già dal 1874! Insomma proprio qui è nato il “turismo speleologico” che oggi è molto ben rappresentato in Italia (esiste un’associazione delle grotte turistiche italiane). Le prime esplorazioni della cavità, datate 1850, sono attribuite a tale Domenico Mora, un’intraprendente montanaro che, proprietario di alcuni terreni nella zona d’ingresso alla grotta, si fece aiutare da un folto gruppo di valligiani per aprire lo strettissimo cunicolo d’accesso.
In realtà di recente il responsabile della stazione scientifica presente nella grotta ha rinvenuto casualmente una scritta che anticiperebbe di ben 34 anni la prima spedizione a Bossea (l’iscrizione reca “Matteo Velia 1816”). In ogni caso, chiunque ci abbia messo piede per primo, sono almeno 200 anni che questo luogo affascina l’uomo, ammaliandolo con i suoi ambienti monumentali, con le sue concrezioni bizzarre, e con il rombo sordo del suo potente fiume sotterraneo.
La grotta, per convenzione è divisa in due parti, quella inferiore, caratterizzata da ambienti imponenti, lungo la quale si sviluppa il percorso turistico (dall’ingresso al Lago di Ernestina), e la zona superiore che è invece un reticolo di gallerie e stretti cunicoli chiuso al pubblico.
Nella grotta ci sono costantemente 9° e un’umidità pari al 100%, questo significa sostanzialmente che in estate sembra di entrare in una cella frigorifera (quindi è meglio attrezzarsi con una giacchetta, e con degli scarponcini). L’acqua, presenza costante, e artefice della grotta, offre anche l’accompagnamento musicale della visita: il fiume che a vari livelli la percorre, scorre impetuoso, rumoreggia, gocciola, e plasma costantemente la roccia. Avete presente quando Ovidio diceva “gutta cavat lapidem” (la goccia scava la pietra)? Ecco, questo posto è la rappresentazione spaziale dell’antico motto.
I riferimenti classici però non finiscono qui: sarà che io immaginavo le emozioni dei primi esploratori ottocenteschi, sarà per le dimensioni grandiose degli ambienti (costituiti da detriti incastrati alla perfezione), sarà perchè la guida si è soffermata più volte sulla parola “rovine” e sulle 2500 scosse sismiche registrate annualmente nella cavità, ma devo dire di aver capito davvero bene il concetto di “delightful horror” (l’orrendo che affascina). Avete presente l’estetica del Sublime e tutta la fascinazione romantica per gli aspetti più terrificanti e possenti della natura?
Ecco Bossea è così: è l’incanto di guardare da dentro l’opera immensa della terra e dell’acqua, che continuamente distruggono e creano. Insomma, per quel che mi riguarda Turner avrebbe potuto venire a Bossea, e farsi legare a un masso per dipingere una bella tempesta di rocce (un celebre aneddoto riporta che si era fatto “legare all’albero maestro di una nave per provare in prima persona la drammatica esperienza” per poi riportarla sulla tela).
C’è qualcosa di bellissimo nell’azzurro dell’acqua del fiume sotterraneo, nelle bizzarre concrezioni calcaree, nei colori dei minerali, e allo stesso tempo c’è qualcosa di terribile nel rendersi conto della forza che ha distrutto le forme dei millenni, che ha incastrato massi ciclopici, e che scorre implacabile nei cunicoli carsici sotto i tuoi piedi!
E tanto per rimanere in tema di cose di mostruosa bellezza, non si può parlare di Bossea senza parlare del mitico ursus spelaeus, un grosso plantigrado estintosi circa 15.000 anni fa, alla fine dell’ultima grande era glaciale (Würm). Pare che questo orso utilizzasse le caverne per il letargo, per la nascita e l’allattamento dei cuccioli. Non si sa bene perchè, però le cavità naturali sono state anche il suo cimitero prediletto**, tanto che nelle grotte di mezza Europa sono state rinvenute migliaia di ossa di ursus spelaeus.
Bossea non fa eccezione…e con i poveri resti di almeno 60 orsi si è potuto ricostruire uno scheletro intero visibile in una teca nella “Sala del tempio”, ad uso consumo e suggestionabile fantasia dei visitatori. L’orso delle caverne era un vero e proprio colosso (è stato il più grande orso che sia vissuto sulla Terra, paragonabile all’attuale orso gigante dell’Alaska), ed il suo cranio, con aguzza dentatura era uno dei trofei più ambiti e gettonati delle esplorazioni ottocentesche (?). Lo so…gusti macabri! Ma vi sarà di conforto sapere che al momento la grotta ha abitanti un po’ meno ingombranti: ospita 64 specie di bestiole cavernicole di cui ben 15 endemiche, in ogni caso nessuna raggiunge la mole dell’ursus e i suoi canini (in posizione eretto l’orso arrivava a 3 metri per 500 kg di peso).
Che dire… Bossea è un gioiellino (per me) a due passi da casa! La gita ha impressionato anche il sapiente giramondo, che si è dilettato amabilmente per tutto il tempo della visita (dura circa 1h e 30, si percorrono circa 2,5 km per un dislivello di oltre 100 mt). Infine, dato che il monregalese è terra di ottimo mais, e dato che l’autrice di queste puntate di “Strada Panoramica” è comunque una foodblogger consiglio vivamente di concludere la giornata con la degustazione/acquisto delle celebri “Paste di Meliga”.
N.B: Tutte le fotografie sono farina del mio sacco (quindi chi volesse usarle senza il mio permesso incapperà nella mia maledizione del canino cadente, e in quella dell’ursus del sonno/letargo disturbato)! Ovviamente sono foto fatte senza filtri: la grotta ha davvero questi colori spettacolari!
*Bambinate anni ’80 estremamente deludenti provate da adulti.
**In realtà il perchè dovrebbe essere questo: i resti di orso delle caverne si trovano così numerosi nelle grotte perché gli individui che non avevano accumulato sufficienti riserve di grasso, soprattutto i giovani, i vecchi e le femmine gravide, morivano durante il letargo.
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