Cari amici,
ma voi ve lo ricordate Capitan Fracassa di Théophile Gautier? Io l’ho letto da ragazzina (diverse volte qui vi ho raccontato della misera bibliotechina del paesello montanaro fornita praticamente solo di “grandi classici”), e per tanti anni è rimasto un ricordo un po’ confuso di teatri&duelli. Solo da adulta, sfogliandone distrattamente le pagine, mi sono resa conto di quanto Théophile Gautier utilizzasse il cibo per introdurre i suoi lettori negli ambienti o nelle atmosfere che si appresta a descrivere minuziosamente. Ebbene, anche questa vecchia lettura infantile, mi ha offerto lo spunto per approfondire e rifare un piatto davvero affascinante e curioso…
Capitan Fracassa (pubblicato nel 1863) è la rocambolesca vicenda del Barone di Sigognac, nobile decaduto della Guascogna, che in una notte buia e tempestosa, decide di unirsi a una compagnia di attori diretta a Parigi. Le avventure, di cappa, di spada, di cuore e di cucina, hanno il ritmo lento di un viaggio su un carro trainato da buoi (è ambientato nel XVII sec.), ma la prima tappa della sgangherata compagnia di teatranti è un esempio memorabile di questo “languido indugiare” sul cibo (presente o assente) che Gautier pratica con tanta maestria.
La “Locanda del Sole Turchino” è una sperduta osteria con alloggio dove mastro Chirriguirri accoglie gli ospiti affamati e stanchi con mirabolante eloquenza: «La mia casa è provvista di tutto ciò che a gentiluomini si conviene. Ma qual peccato che per esempio non siate arrivati ieri! Avevo preparato una testina di cinghiale coi pistacchi, così deliziosa all’odore, così macerata nelle spezie, così delicata di sapore che, purtroppo, non me n’è rimasta neppure la quantità necessaria per otturare una carie ». E avanti così, perché l’oste si perde nel racconto appassionato di tutto quello che nella sua cucina non c’è, o è appena finito: pasticci di selvaggina di cui altri signori hanno divorato anche le croste, terrine di fegato d’anitra e innumerevoli prelibatezze inviate alle mense del vicino castello. La lingua scaltra di Chirriguirri acuisce l’appetito degli attori, fino a che tutta la sua trionfale retorica viene ridimensionata da dal capo della compagnia, il Pedante, che interviene prontamente: « Ma a che scopo acuirci crudelmente l’appetito con pietanze fantastiche, a quest’ora digerite, e dove certo non avrete risparmiato il pepe, il pimento, la noce moscata? Invece di questi piatti defunti, della cui succulenza non mi permetto di dubitare, ma che non ci potrebbero più sostentare, sciorinateci i piatti del giorno: perché l’aoristo è irritante in cucina, mentre la fame a tavola ambisce all’indicativo presente. Al diavolo il passato: esso è disperazione e digiuno! Il futuro concede almeno allo stomaco sogni piacevoli. Per carità, dunque, non narrate più queste remote gastronomie a dei poveri diavoli affamati e spossati come cani da caccia ».
Insomma l’oste sapeva bene che se la fame è il miglior condimento, immaginare leccornie straordinarie può aiutare a condire la miseria della realtà. Perché la verità è che la Locanda del Sole turchino può offrire soltanto una zuppa, del prosciutto e del merluzzo. I teatranti non questionano, e ordinano semplicemente quel che c’è. Così il bizzarro Chirriguirri, passato il raro momento di vergogna, può riprendere a narrare le glorie della propria cucina, dove, assicura, anche una rustica garbure, è fatta con le migliori verze di Milano stufate nel lardo, e crostini di pane fritti nel più fine grasso d’oca. E la garbure, in effetti, come assicura Chirriguirri, è davvero una minestra da servire alla tavola degli dei!
La garbure è una specialità del Béarn, e in generale della Francia del Sud-Ovest, di cui, come sempre, esistono innumerevoli versioni, legate anche all’avvicendarsi delle stagioni. Di base si tratta di una minestra di cavoli, patate, cipolle, fagioli (o altri legumi come fave e piselli), cotti con erbe aromatiche e insaporiti con il grasso del confit, oppure con un battuto di aglio e lardo, o ancora con un osso di prosciutto. Data l’origine contadina e popolare del piatto, si può dedurre che la garbure fosse in origine appena appena insaporita da qualche cucchiaio di grasso d’oca del confit (metodo di conservazione della carne sotto grasso, in cui anche quest’ultimo doveva essere utilizzato), e non, come oggi arricchita da parti di carne di volatile. Siccome Gautier parla più volte di un pezzo di lardo « rubato a un’esca per topi tanto era sottile », e siccome anche nella fumosa sala da pranzo del Sole Turchino pende, appeso al soffitto con un gancio, un pezzo di lardo, la garbure che propongo qui ha come condimento un battuto di lardo e aglio. Sostituendolo semplicemente con olio di oliva extravergine, si ottiene una minestra comunque molto gustosa (adatta ai vegetariani), e probabilmente più simile ancora a quella del nostro chiacchierone, ma sfornito, Chirriguirri.
Mentre l’etimologia della garbure rimane un mistero (forse deriverebbe dallo spagnolo garbias, ovvero ragout?), era tradizione in guascogna, fare il chabrot, o la goulade, cioè, giunti quasi al fondo della calotte (la scodella da zuppa), la si riempiva nuovamente, non di minestra, ma di vino rosso. Il cucchiaio doveva scomparire nel vino, e questo rabbocco ovviamente era più abbondante se il vino apparteneva a qualche convitato.
Tutti gli anni, il primo week-end di settembre, a Oloron-Sainte-Marie (Pyrénées-Atlantiques) si tiene il campionato del mondo di Garbure, la Garburade, concorso durante il quale più di trenta équipes di cuochi si sfidano per preparare la migliore Garbure del mondo.
GARBURE DEL SOLE TURCHINO
Ingredienti:
(per 8 commensali tempo di preparazione 30 minuti, tempo di cottura 2 ore circa, tempo totale 2, 5 ore, difficoltà 2 forchettine)
Le dosi sono da intendersi tutte al netto degli scarti. Volendo si possono ridurre i tempi della preparazione utilizzando fagioli in scatola, che possono essere sostituiti anche con fave o piselli.
1 verza riccia (500 g circa)
200 g carote
200 g di cipolle
350 g di patate
200 g di rape
100 g di sedano
150 g di fagioli bianchi secchi
150 g di pancetta (anche affumicata)
3 lt di buon brodo vegetale
3 spicchi di aglio
1 bouquet garni (composto da prezzemolo, timo, foglie di alloro, chiodi di garofano)
olio extravergine di oliva, sale pepe nero, burro q.b
2 o 3 fette di pane raffermo per ogni commensale
Procedimento:
1. La sera precedente sciacquare i fagioli secchi sotto il getto del rubinetto, poi metterli a bagno in abbondante acqua fredda lasciando il contenitore a temperatura ambiente per tutta la notte (circa 12 ore).
2. Su un tagliere fare un battuto finissimo di lardo e aglio e metterlo da parte. Poi lavare e mondare sedano, carote, cipolla e rape, infine tagliarle in una piccola dadolata.
3. In una pentola capiente scaldare 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, farvi rosolare rapidamente il battuto di lardo e aglio, aggiungervi le verdure in dadolata. Mescolare con un cucchiaio di legno, facendo rosolare a fuoco vivo per qualche minuto, aggiungere i fagioli secchi scolati, poi coprire il tutto con circa 1 litro di brodo vegetale (non caldo). Unire il bouquet garni, riportare a bollore e fare cuocere dolcemente per circa 40 minuti (o comunque sino a che i fagioli non sono teneri).
4.Nel frattempo lavare e mondare la verza e ridurla in striscioline sottili. Portare a bollore un pentolone di acqua non salata, e sbollentarvi rapidamente la verza (5 minuti circa). Scolarla e farla raffreddare. A parte, su un tagliere e tagliare a dadini le patate pelate.
5. Quando i fagioli saranno teneri, aggiungere alla minestra la verza sbollentata e le patate. Mescolare bene, poi coprire il tutto con 1 lt e mezzo circa di brodo bollente (tenere mezzo litro di sicurezza se la minestra dovesse asciugare troppo). Fare sobbollire per circa mezz’ora, sino a che tutte le verdure saranno ben cotte. Rimuovere il bouquet garni, e verificare i condimentii: eventualmente aggiustare di sale.
6. Per servire cospargere le fette di pane raffermo di sale e pepe nero secondo i gusti. Poi abbrustolirle rapidamente in una padella antiaderente con un filo d’olio o con del burro. Disporre due o tre fette di pane croccante sul bordo delle fondine, poi scodellarvi due mestoli circa di garbure.
*Testi tratti da Capitan Fracassa, di Théophile Gautier, (traduzione di A. Jesi), Bur, Milano 1990.
S&V a colazione dice
Questo post è una delizia cara Betulla, a partire dalle chiacchiere dell’astuto oste fino a quella scodella colma di verdure. Non me la farò mancare una delle prossime sere, magari sfogliando il mio vecchio Capitan Fracassa.
Un abbraccio,
V.
Manuela dice
Un piacere averti scoperto! Questa delizia non la conoscevo, ti ringrazio! noi amiamo tantissimo le verdure, zuppe e minestroni: la proporrò alla mia ciurma!
un abbraccio