Come ogni anno ho ricevuto da mia zia una gigantesca fetta di fontina souvenir della sua gitarella in Valle d’Aosta (ve ne avevo parlato in occasione della Crostata di Fontina, quella buonissima la cui pasta è realizzata con il brodo)! Questa volta ho deciso di usarla per fare una “fonduta piemontese”, preparazione base utile per un sacco di piatti deliziosi sparpagliati un po’ in tutte le stagioni dall’autunno, alla primavera inoltrata. Nell’immaginario la fonduta è uno di quei piatti sociali, e aggreganti, un po’ tipo la bagna cauda, da mangiare nelle notti d’inverno stretti stretti intorno a un tavolo con tanti amici, meglio se in uno chalet profumato di pino, e ancor meglio con un bel fuoco crepitante nel camino. In realtà questo uso, con un pentolino al centro del tavolo in cui gli avventori intingono crostini di pane infilzati su lunghe forchettine, appartiene più alle fondute valdostane, o delle Alpi francesi e svizzere (tipica la “fondue del Vallese”). Viceversa la fonduta piemontese è più usata per condire riso, tagliatelle, verdure, per farcire ravioli e vol-au-vent, oppure, nella stagione del tartufo bianco d’Alba, la si serve in piccoli tegamini individuali di terraglia con, appunto, un’abbondante affettata di profumatissimo tartufo (così preparata si tratta di un’antipasto, e mai di un piatto unico).
In generale la fonduta (sia quella alpina che quella piemontese) gode di pessima fama: viene spesso considerata, a torto, un piatto difficile da realizzare, con una connotazione eccessivamente rustica e montanara (anche nella digeribilità e nelle calorie). A questa reputazione probabilmente ha contribuito anche Pellegrino Artusi, che a dirla tutta non apprezzava molto i sapori piemontesi e ancor meno quelli che lui considerava i “francesismi” della nostra cucina (il Pellegrino nazionale la inserisce nel suo mitico ricettario con il termine toscano “cacimperio”, cita quella di Brillant Savarin a base di gruyere, ma ne prende subito le distanze « sembrandomi non possa servire che come principio in una colazione o per ripiego quando manca di meglio»).
Ciò nonostante la fonduta piemontese, usata nella giusta misura, è una preparazione incredibilmente raffinata (amatissima dalla borghesia piemontese dell’Ottocento), ed è anche facile da fare a patto di metterla a bagno nel latte intero per una notte e di cuocerla in un bagnomaria. Vi ho avvertiti…;-)
E così ne approfitto anche per farvi vedere questa adorata carabattola, comodissima per fare appunto le cotture a bagnomaria di piccole quantità (mi vengono in mente zabaglione, cioccolato e fonduta, tutte delizie piemontesi eh eh!).
Ah dimenticavo, pubblico la Fonduta in questo periodo perché al di là dello stereotipo che la vorrebbe piatto della stagione fredda, secondo me è invece una presenza preziosa anche dei menù primaverili, specialmente nell’abbinamento felice con carciofi, asparagi, fave e piselli!
FONDUTA PIEMONTESE
Visto che la fettona di Fontina che ricevo ha sempre un peso diverso, alla fine ho messo a punto questa proporzione che così anche voi potrete adattare alla quantità che vorrete preparare:
ogni 100 g di Fontina DOP (pulita e senza crosta)
1 tuorlo
10 g di burro
4 g di farina
un pizzico di pepe nero macinato fresco
latte
Procedimento:
Tagliare la Fontina a dadini e coprirla di latte, metterla in frigorifero coperta e farla riposare tutta la notte. Il giorno seguente scolare appena la Fontina (i dadini ddi formaggio devono rimanere abbastanza bagnati di latte) e metterla in un bagnomaria con tuorli, burro e farina. Mettere il bagnomaria sul fuoco più piccolo del gas e accenderlo al minimo (l’acqua non dovrà mai bollire). Rimestare pazientemente con un cucchiaio di legno girando sempre nello stesso senso: i dadini poco a poco cominceranno a fondere filando un pochino, per poi diventare una crema densa e gialla (se avete un termometro da cucina mantenete la fonduta indicativamente sui 60°). Ovviamente il tempo dipende dalla quantità degli ingredienti, ma considerate che per 300 g di Fontina io calcolo circa 20 minuti (se non la usate subito calda toglietela dal bagnomaria, raffreddandosi si addenserà). Ad eccezione di quando si aggiungono i tartufi completate la Fonduta con una bella macinata di pepe nero o bianco a seconda dei gusti.
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