Oggi vi porto in un luogo meraviglioso e poco noto delle Alpi Marittime: Ferriere, un delizioso borgo alpino a 1890 m s.l.m in valle Stura (provincia di Cuneo). Ferriere è uno dei tanti ricordi gioiosi (e avventurosi) della mia infanzia. Da piccola andavo in campeggio estivo in una “casa alpina” per vacanze di Bersezio, così il sacerdote che organizzava il tutto metteva ogni anno Ferriere tra le mete delle escursioni a piedi (a inizio settimana, perché era relativamente vicina e si poteva raggiungere anche poco allenati). Visto quanto ho amato questo campeggio, e riconosciuto il suo immenso valore formativo nella mia esistenza, di tanto in tanto torno con grande piacere su quelle belle montagne. Oltre ai bei ricordi , l’anticiclone “Lucifero” e la sua morsa letale mi hanno fatto capire che la gitarella a Ferriere non poteva più essere rimandata oltre. Detto e fatto, (Betulla + Dolcemetà assonnato) venerdì scorso siamo partiti alla volta di questa frazioncina acquattata tra i pendii dell’alta valle. Ora per farla brevissima le indicazioni stradali sono: da Cuneo seguire per il Colle della Maddalena, quindi si risale la valle sino a Bersezio, dove si prende sulla sinistra la strettissima strada asfaltata che a suon di tornanti si inerpica fino a Ferriere. Sottolineo: la strada è asfaltata, ma si tratta di una sola carreggiata con qualche slargo ogni tanto, ergo, quando si incrociano due macchine ( che non stanno una accanto all’altra) una delle due deve tornare indietro e cedere il passo. Insomma, se non vi piacciono le curve, e i dirupi, se non amate guidare in alta montagna (senza segnaletica orizzontale, e senza guard rail) questa non è la strada giusta da fare in auto. Optate per le gambe in spalla (con una bella borraccia perchè la strada è quasi completamente esposta e priva di sorgenti), o guardate le mie foto e quelle dei tanti appassionati che trovate in rete. Vi ho avvertiti, ma è meglio fare Betulla Prudenzia che salire sui monti con faciloneria. Detto questo, cioè dopo 5 km di curve e strapiombi, Ferrere è uno di quei posti magici, remoti e incontaminati del cuneese, che io vi auguro di tutto cuore di vedere prima o poi nella vita. L’abitato è fatto da una manciata di casupole dai tetti aguzzi (un tempo erano ricoperti di paglia di segale, oggi sono in lamiera) strette intorno a due campanili. Negli anni ‘60 gli abitanti di Ferrere hanno via via abbandonato la borgata, trasformando Ferriere in uno dei tanti paesi-fantasma delle nostre vallate. Scriveva Nuto Revelli nel “Mondo dei Vinti”: «Da lontano, Ferriere mi pare intatto, come un villaggio partigiano nell’imminenza di un rastrellamento, come se tutta la popolazione fosse su, bel bosco, nell’attesa, al riparo. Ma più mi avvicino. più mi rendo conto che Ferriere è un villaggio morto. Tetti sfasciati, muri pericolanti, balconi di legno che ciondolano, finestre vuote, spente. Anche il tetto della chiesa ha ceduto e quando le chiese crollano è proprio la fine».
Oggi per fortuna la maggior parte delle casette è stata aggiustata (come casa per vacanze), e almeno in estate Ferriere torna a vivere e ad accogliere i tanti innamorati dei suoi ripidi tetti. A Ferriere ci sono un rifugio (Becchi Rossi, aperto ogni anno dal 1 giugno al 30 settembre), una chiesa, due campanili, un forno a legna, un cimitero, una palestra di roccia artificiale e anche un piccolo museo etnografico («La casa del contrabbandiere »). Ognuna di queste cose si merita la vostra attenzione, le vostre fotografie e le vostre riflessioni (in alta montagna la mente è più lucida e si pensa meglio!).
Da dove comincio? Dal forno, perchè sono sempre una foodblogger. Lo trovate entrando nell’abitato sulla destra. L’ingresso è accanto ad una fontanella, (se trovate qualcuno nei dintorni chiedete in permesso di aprire il portone e visitarlo). Anche nel passato questo forno comunitario veniva acceso poche volte l’anno, tendenzialmente nei mesi autunnali, in corrispondenza con la sospensione dei lavori agricoli. Adesso il forno è acceso ogni 25 luglio, per la festa di San Giacomo, il patrono della frazione. Quando ci sono stata io il profumo di pane, e di legna bruciata avvolgeva ancora la stanza antistante alla bocca del forno, stuzzicando la mia sensibile “memoria olfattiva”. Poco oltre trovate il cimitero (rappresentazione terrena di “Signore delle Cime” e di tutti quei canti popolari, degli alpini o dei partigiani che ineggiavano ad una quiete eterna e libera avvolta dalle cime dei monti).
Scendendo per la ripida viuzza si incontra il campanile n. 2, che probabilmente è il n.1 in quanto ad antichità, ma la cui chiesa è purtroppo diroccata (non ricorda un po’ la torre in cui rifilano Mago Merlino nella Spada della Roccia???). Un poco più in basso, sulla strada proveniente dagli alpeggi vi trovate davanti la « Mizoun dal countrabandìer », ovvero un piccolo museo etnografico allestito appunto come la casa del contrabbandiere. Dovete sapere che qui la Francia è a un tiro di schioppo, (si fa per dire), e in tempi in cui la miseria rendeva disperati, non erano pochi gli abitanti di Ferriere che decidevano di «pasar la colla», ovvero «passare il colle» e dedicarsi al contrabbando. Non immaginate chissà quali sostanze illegali, questa gente contrabbandava generi di prima necessità, quali sale, tabacco, zucchero, e finanche greggi, il tutto quasi sempre a rischio della vita, passando cioè in luoghi che provocano il terrore di alpinisti consumati. Al di là del contrabbando la Mizoun (ricorda il francese Maison, ma è dialetto occitano), è uno spaccato sincero di quella che doveva essere la vita in quota a metà del Novecento. Una vita di stenti, e di fatiche, da cui alla fine, irrimediabilmente, si scappava.
Impossibile non pensare a Giovanna Giavelli, nata a Ferriere, classe 1886, che negli anni ‘70 ha raccontato a Nuto Revelli: «Non si poteva vivere a Ferriere, con poco pane e poco orzo, chi ne aveva. Ci toccava andare via». Infatti Giovanna, orfana di madre, ogni inverno scendeva in Francia con il padre. Mentre lui faceva qualche lavoro stagionale la bambina chiedeva l’elemosina sulle strade di Nizza o a Cannes, facendo ballare le sue marmotte ammaestrate: «le addestravo, le facevo ballare e fischiare. Le battezzavo anche, ogni marmotta aveva il suo nome. Facevo presto a ammaestrare le marmotte, con l’arrivo dell’autunno erano già ‘ndutrinà». Le parole di Giovanna, come gli oggetti presenti nella Mizoun, autentici (consunti e usurati), sono il riflesso di una montagna/matrigna, una montagna ostile, da abbandonare, eppure rimpianta ed evocata sempre con nostalgia. Penso sempre che frequentare questi luoghi significhi per prima cosa onorare la memoria di chi ha eroicamente, quotidianamente vissuto la montagna (fino ad esserne sconfitto). Poi dopo viene tutto il resto, che è la bellezza straordinaria di questo luogo, i pic-nic o le scarpinate indimenticabili che potete farci, e anche la gioia di vedere Ferriere, anno dopo anno, sempre più curata, aggiustata, vissuta. Piccola fenice estiva delle Alpi Marittime, simbolo di una rivincita di cui anche Giovanna, e tutti quelli che nel dopo guerra hanno lasciato Ferriere, sarebbero entusiasti.
giovanni dice
ferrere è un luogo veramente particolare
ampiamente presente in alcune bellissime testimonianze presenti ne “il mondo dei vinti”,
raccolte da Nuto Revelli negli anni ’70
Betulla dice
Caro Giovanni, ha proprio ragione sulle testimonianze presenti ne “il mondo dei vinti”…ogni volta che salgo lassù mi ricordo la storia della signora Giovanna Giavelli e delle sue marmotte. Stringe il cuore leggere le sue parole colme di nostalgia pur verso una vita durissima, eppure credo sia sempre necessario ricordare questo “mondo dei vinti” per capire davvero cos’era la vita su queste montagne. Grazie per i suoi commenti…vedo che anche lei conosce bene e apprezza questi luoghi!
giovanni dice
li ho conosciuti dal libro di Nuto, nel ’77, quando ancora abitavo a Torino
li ho conosciuti dal vero nei miei anni cuneesi (’78/2002)
li amo TANTISSIMO
ne ho TANTA nostalgia (ora sono in Friuli, vicino al Parco Dolomiti Friulane)
Betulla dice
Caro Giovanni, i messaggi come il suo sono quelli che mi fanno più piacere! Capisco profondamente la nostalgia che queste montagne provocano nelle persone che le hanno vissute, amate e percorse… e mi rendo conto che ci sono momenti in cui riguardarle (anche solo attraverso delle fotografie) lenisce un poco la loro mancanza. Mi auguro però che le altrettanto belle Dolomiti Friulane possano colmare il suo grande e vivissimo amore per la montagna. Grazie di cuore per avermi scritto, buona giornata, Beatrice
p.s: i libri di Nuto Revelli (in questo caso sia Il mondo dei Vinti che L’anello forte) sono per me un punto di riferimento prezioso per guardare questi luoghi considerando il passato per apprezzare la bellezza presente. La primavera scorsa ho scritto un altro post dedicato a Ferrere…prima della ricetta del pane trova qualche altra foto del forno e del museo, magari le farà piacere vederle, le trova qui: https://betulla.eu/lartun-pane-di-segale/
giovanni dice
ho conosciuto questi luoghi prima leggendo Nuto, nel ’77, quando ancora abitavo a Torino;
poi ‘dal vero’, nei miei ‘anni cuneesi’ (’78/2002);
li amo IMMENSAMENTE
ora, dal Friuli (vicino al territorio del Parco Dolomiti Friulane) li ricordo con TANTA nostalgia