Il tempo lento e raccolto dell’inverno mi porta inevitabilmente alla pasta fresca ripiena: piatto festivo d’eccellenza, e baluardo della cucina di casa, la cui origine si perde nella notte dei tempi (più o meno nel cuore della pianura Padana dalle parti del rinascimento o giù di lì). Pare che nel seicento valorosi fagottini di pasta ripieni abbiano raggiunto la piana alessandrina, colonizzando da lì tutto il Piemonte e dando luogo ad infinite gustose varianti locali. La cucina ricca e borghese dell’ottocento ha infine codificato una distinzione decisiva, da un lato il raviolo, con ripieno vegetale, dall’altro “l’agnellotto”, con ripieno di carne e servito quasi sempre in brodo. Per essere sincera ad oggi questa distinzione è caduta, ma rimane il fatto che il Piemonte definisce volentieri come “agnolotti” la propria pasta fresca ripiena.
Gli ultimi 50 anni di successo e interesse verso la zona collinare delle Langhe (i cui paesaggi vignaioli sono diventati nel 2014 patrimonio dell’Unesco), hanno fatto conoscere al mondo i celebri, minuscoli Plin, che nonostante la loro straordinaria bontà, non sono che una delle tante paste ripiene di questa zona. Con mio marito parlavamo del fatto che sua nonna (la mitica Orsolina, già comparsa su questi schermi per le “raviole turge”), pur vivendo a soli 8 km da Alba non avesse mai assaggiato, né fatto i plin in vita sua, considerandoli una specialità di pochissimi paesi della collina albese (li chiamava “pessià” -pizzicati). Insomma, anche se ad oggi i plin sono il vessillo della gastronomia piemontese nel mondo si può dire tranquillamente che un altro tipo pasta ripiena unisse in maniera trasversale le cucine del basso Piemonte, dalle montagne cuneesi sino ai confini pianeggianti della Lomellina: il classico agnolotto quadrato, fatto con il raviolatore, con lo stampino o semplicemente con la sola rondella tagliapasta (detta anche speronella). Le varianti sono nella carne, in genere vitello (sottopaletta o “arrosto della vena”, macinata) e maiale (polpa, salsiccia o prosciutto cotto), e sul tipo di verdura (cavolo, spinaci, bietola o scarola). Senza andare troppo per il sottile questi agnolotti si fanno quel che si ha in cucina…poi c’è chi non li condisce affatto e una volta scolati li adagia sulla tovaglia/tovagliolo di canapa (“la curdunà”), chi li annega in una scodella di vino, chi li vuole “a culo nudo” (solo con formaggio grana grattugiato), chi con burro e salvia, e chi con un buon sugo d’arrosto. In ogni caso sono sempre banditi i condimenti rossi a base di sugo al pomodoro, i ragout di carne, le boscaiole ai funghi che coprirebbero irrimediabilmente l’armonia del ripieno. Dopo innumerevoli prove io mi trovo particolarmente bene con un raviolatore della Calder per agnolotti quadrati da 3×3 cm di lato (è in alluminio quindi un po’ più tagliente), ovvio che per simpatia ogni tanto uso anche lo storico “raviolamp da 36” di famiglia (da notare l’etichetta “Caudano” piazza Carlo Felice Torino), i cui agnolotti sono però risultano un filino più grossi (3,4×3,4 cm). Il metodo della polpettina di ripieno, per quando affascinante e adatto alle piccole imprese famigliari delle feste, è per me sempre un po’ troppo lungo…
Ah, dimenticavo la pasta: se mi leggete da un po’ sapete della mia personale battaglia contro certe paste all’uovo inutilmente gialle perchè zeppe di tuorli. Le uova delle 18 galline di Orsolina finivano tutte in un bel “cavagnin” (cestino) in vendita al mercato, tenerne qualcuna per la pasta fresca della domenica era già un lusso, per cui io, come lei, mi attengo alla regola aurea di massimo 1 uovo per ogni etto di farina.
Concludo questa chiacchierata sull’agnolotto alla piemontese con le sagge parole di Giovanni Goria, insuperato cantore dei sapori del Piemonte collinare e vignaiolo, e con le sue ricette, amatissimo mentore della mia cucina. Sono, a mio parere, le parole più belle che siano mai state scritte sugli agnolotti. Non manco mai di rileggerle prima di allacciare il grembiule, e mi fanno compagnia nella testa, ispirandomi mentre lavoro. Alla fine con la cucina infarinata fino al soffitto, l’acqua che bolle i vetri appannati e la pancia che langue mi chiedo: sono agnolotti belli come bambini? Sì, e mi siedo soddisfatta a mangiare!
“Invero l’agnolotto fresco e perfetto, appena fatto, è la cosa più bella che ci sia per noi piemontesi; con quel suo lieve profumo di fior di frumento e uova impastate a far la sfoglia, con quel suo odore grasso e ricco di carne stufata tritata e amalgamata con formaggio con uova e con erbette e con spezie, ci rammenta e ci compendia tutti i sentori olfattivi della nostra campagna, delle nostre cucine di una volta, odorose, grandi e pulite, piene di promesse di cibi gustosi e ben noti, semplici e felicitanti; persino, con la sua forma morbida e gobbuta, con il suo colore tra il candido e il giallino sfumante nell’ombra scura dell’opulento ripieno, con la sua geometria di allineamento sull’asse di legno cosparso di farina gialla e coperto del bianco telo di canapa o lino, l’agnolotto è bello di una bellezza quieta, spirituale e carnale insieme. Non per niente, ricordo, una volta che volevo fare un grande, grandissimo complimento a una giovane donna che molto ammiravo, sapendo quanto sarenne stata sensibile a una lode dei suoi bambini, le dissi: “Sai, i tuoi figli sono buoni e belli come agnolotti”. Lai era una grande cuoca, e faceva gli agnolotti più stupendi di tutto il Monferrato.”
Giovanni Goria, L’agnolotto nella tradizione piemontese, in Ricette di sua maestà il Raviolo, di Luigino Bruni, Slow Food Editore, 1993.
Agnolotti alla piemontese
Pasta fresca:
45 ml di acqua
3 uova (circa 150 g)
un pizzico di sale
375 g di farina
+ quella per la spianatoia e la semola di grano duro o fumetto di mais per il raviolatore
Per il ripieno:
250 g di carne di maiale (o salsiccia di Bra)
250 g di carne di vitello
2 spicchi di aglio
un rametto di rosmarino
brodo
500 g di spinaci freschi
burro
2 uova
100 g di formaggio grana
olio extravergine di oliva
sale
pepe
noce moscata
Attrezzatura: spianatoia o asse per la pasta fresca, macchinetta sfogliatrice, un raviolatore, una rondella tagliapasta, mattarello, vassoi di cartone per riporre i ravioli.
Procedimento:
1. Preparare la pasta: disponete la farina a fontana sulla spianatoia e rompervi al centro le uova, poi aggiungete una parte dell’acqua e un pizzico di sale. Sbattete le uova con una forchetta, quindi iniziate a incorporarvi la farina con la punta delle dita. Lavorate la pasta con la parte bassa del palmo delle mani per qualche minuto, cospargendo di tanto in tanto la spianatoia con un po’ di farina extra. Impastate con forza, ripiegando la pasta più volte, per ottenere un composto ben amalgamato e sodo. Formate una palla e prima di utilizzare la pasta lasciatela riposare avvolta in pellicola alimentare, o sotto una ciotola.
2.Preparare il ripieno: tagliate la carne a pezzi regolari e rosolatela in una casseruola con il burro o con due cucchiai di olio, due spicchi d’aglio (pelati e privati dell’anima) e un rametto di rosmarino. Quando la carne sarà ben rosolata, salarla peparla, e portarla a cottura con un poco di brodo (un mestolino) o con un bicchiere di vino bianco. Fate consumare quasi completamente i liquidi, poi spegnete il fornello fate raffreddare la carne trasferendola in una terrina. Tenete però da parte il sugo rimasto sul fondo della casseruola (servirà come condimento degli agnolotti).
3. Mondate e lavare gli spinaci, e scolateli bene. Fateli cuocere in una casseruola antiaderente capiente “con la sola acqua rimasta aderente alle foglie dopo la lavatura”(come dicevano le nonne)!. In breve tempo si ridurranno notevolmente di volume. Mescolateli con cura e concludete la cottura con un pezzettino di burro, sale e una macinata di pepe nero.
4. Sul tagliere con la mezzaluna (o in un minipimer) tritate finemente la carne (rimuovere aglio e rosmarino), e gli spinaci. Mettete entrambi in una terrina, e amalgamarvi due uova intere e il formaggio grattugiato, aggiustare infine con sale, pepe e un pizzico di noce moscata grattugiata fresca. Lasciate riposare il ripieno nel frigorifero. (n.b: per questo genere di agnolotto il ripieno deve essere piuttosto “fine”, legato e compatto, direi come quello per una mini polpetta, che sta bene insieme una volta arrotondata con i palmi delle mani).
5. Tirare le sfoglie con l’apposita macchinetta sino ad ottenere due strisce di pasta di 8/10 cm di larghezza che coprono completamente il raviolatore (io con la sfogliatrice Marcato tiro progressivamente la sfoglia sino alla tacca n.7 che indicativamente corrisponde ad uno spessore di 1 mm). Infarinate bene il raviolatore spolverandolo con della semola, adagiatevi la prima sfoglia di pasta. Con le dita infarinate segnate l’incavo dei ravioli, poi inserire in ognuno di questi spazi un poco di ripieno (una nocciola circa). Coprite con la seconda sfoglia, e fatela aderire delicatamente premendo con le mani per fare fuoriuscire eventuali bolle d’aria. Sigillate passando sul raviolatore l’apposito mattarellino, e girate sottosopra sulla spianatoia ben infarinata la striscia di ravioli. Con una rondella tagliapasta dividete i ravioli e adagiateli con cura su un vassoio di carta infarinato (sempre meglio la semola- io per la pasta fresca uso i vassoi “millerighe”). Procedete così sino ad esaurire ripieno e pasta.
Eventualmente fate riposare al fresco gli agnolotti per qualche ora, in modo che asciughino leggermente. Poi fateli cuocere in abbondante acqua salata (3 minuti circa), e conditeli con burro fuso e salvia o con il sugo d’arrosto (basta aggiungere mezzo mestolino di brodo e un pezzetto di burro al fondo della padella dove hanno cotto le carni, fare restringere un po’ il liquido, e usarlo per condire i ravioli).
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